Alla scoperta di un mondo nuovo. Dopo aver saputo che lui è gay
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Nei primi giorni dopo la sua rivelazione, fui molto tentata di chiudere il rapporto con Paolo, di non vederlo più, di mandarlo a quel paese, di arrabbiarmi con lui come non mi ero mai arrabbiata con nessuno, neppure con mio marito.
Per quanto ci pensassi non capivo perché non mi avesse detto prima, per tempo, che lui “si sentiva attratto dagli uomini”. Forse non mi sarei neppure separata da mio marito. Forse. O forse era stato meglio così, perchè se non mi fossi separata, se non avessi trovato la forza di separarmi, probabilmente la mia vita sarebbe stata un disastro, e quella dei ragazzi pure, in un matrimonio che era diventato una trappola. Chi lo sa?
Certo, nel faticoso cammino verso la separazione, sognare una vita con Paolo mi era stato di grande conforto. La vicinanza di Paolo mi aveva dato giorno dopo giorno la forza di chiudere con un matrimonio che forse non si doveva neppure fare, per quanto eravamo diversi, io e mio ex marito.
Forse a quel tempo Paolo ha fatto bene a tacere: se avessi saputo prima che i miei sogni erano poggiati sulle nuvole, come avrei reagito? E poi, quando ci siamo conosciuti, come mi ricordava spesso Paolo, avevo già tanti pesi da sopportare: come avrei potuto sopportarne altri?
Però se avessi chiuso con lui, non lo avrei mai più visto. Non avrei più avuto di lui neppure l’amicizia. Non avrei più avuto di lui neppure la tenerezza. E i discorsi, le discussioni, lo stimolo di uno scambio di pensieri intelligente, caloroso … non avrei più avuto di lui nulla.
Non avrei saputo se era felice o meno, e non avrei potuto fare nulla, neppure come amica, per renderlo felice. Se avessi chiuso con lui.
Non riuscivo a tollerarlo. L’idea di una vita senza Paolo non era neppure immaginabile, per me, dieci anni fa. Perchè chiudere sarebbe stato come buttare via gli anni precedenti, buttare via tutto l’amore che avevo vissuto per lui. Chiudere sarebbe stato privarmi della possibilità di avere la sua amicizia, e dell’offrirgli la mia, se l’avesse desiderata.
Ma soprattutto avevo bisogno di continuare a parlarne con lui. Di tutto questo. Di tutto ciò che avevamo vissuto, in fondo, assieme. Una riflessione seria sull’AMORE assieme a Paolo era necessaria. Mi si era spalancata una porta su un mondo sconosciuto: avevo bisogno sapere, di conoscere, di capire.
Del resto anche a lui, allora, pareva interessasse mantenere viva la nostra amicizia: non sarebbe arrivato puntuale all’appuntamento di chiarificazione, se non lo avesse davvero voluto. Io sapevo, sentivo che mi voleva bene. Il bene possibile. Non ho mai dubitato che lui mi avesse voluto bene. Un Bene vero.
A distanza di tempo riconosco che la mia fu una decisione di pancia, più che di testa. Feci quello che in fondo avevo voglia di fare, e non quello che a tante persone sarebbe sembrato più giusto fare. O forse chiudere, in fondo, era troppo facile.
Decisi di non chiudere, di incamminarmi nel difficilissimo tentativo di trasformare l’Amore, quello del desiderio e della passione, in Amicizia. Dall’Eros alla Filìa, o all’Agape, forse. Una follia. Ma decisi almeno di provarci.
Mi hanno sempre attratto i compiti più difficili. Le cose facili mi annoiano. Mi hanno sempre annoiato. Fuggire era facile. Difficile era starci. Ma solo standoci avrei avuto modo di capire. Di imparare qualcosa in più nella vita.
In quel tempo frequentavo, per motivi professionali, un corso universitario, e ad una lezione un giorno si parlava di perdite, di perdere persone care, dell’Amore che unisce le persone, anche dopo che i legami si sono sciolti. Chiesi al professore cosa si potesse fare se una persona amata non ricambia l’Amore. “Ami e soffri”, rispose il Prof. Ami e soffri. E impari a sopportare la sofferenza. Che non è eludibile. Ma è uno stato dell’animo. Uno dei possibili stati dell’animo. Accanto alla gioia, c’è anche il dolore. Che ha diritto di essere accolto, perché fa parte della vita, di tutti.
Era una possibilità anche quella: continuare ad amare, nella consapevolezza che sarebbe stato un amare senza la naturale speranza di vita comune, anzi. Sarebbe stato amare ancora Paolo, nella consapevolezza che lo avrei visto amato da un altro, e lo avrei visto amare un altro. Non me. Almeno: non come avrei voluto io tempo prima.
Dopo qualche settimana, finite le vacanze estive, con la ripresa della vita normale ricominciammo a vederci con la consueta regolarità: “Apri l’agenda, segniamo il giorno e blindiamolo”, era la frase che ci dicevamo al telefono, per accordarci affinché non accadesse di metterci altri impegni, in quell’occasione. Così per molto tempo ci vedemmo più o meno una volta al mese, un pranzo assieme in qualche trattoria da raggiungere facilmente, e poi qualche ora di chiacchiere, di passeggiate, di scambi di pensieri, di idee, nutrendo i nostri discorsi come sempre. E poi un saluto, come sempre, in attesa di ri-scriverci, di telefonarci, di tenere vivo il dialogo, e di custodire il filo dei reciproci discorsi. Con una piccola avvertenza, non da poco: prima di me veniva Fabio. Se c’era lui, non c’erano i nostri pranzi e le nostre chiacchierate.
C’erano anche le occasioni comuni, assieme anche ai miei figli, che conoscevano già da tempo Paolo, e conobbero anche Fabio. Ma io ci tenevo soprattutto alle “nostre” occasioni. Quelle nelle quali continuava il dialogo tra noi due.
Nei primi tempi mi capitava spesso, con lui, di aver voglia di piangere. Non potevo farne a meno. Era più forte di me, anche se ero consapevole che quel mio pianto gli doveva essere pesante. Provavo a trattenermi, ma non ci riuscivo. Non molto, almeno. Ancora oggi non so cosa lui pensasse, cosa provasse, in qui momenti. L’imbarazzo era grande: io che non avrei voluto piangere, e lui che non aveva modo di consolarmi.
Ma nonostante tutto furono belli, molto belli i mesi che seguirono. Paolo fu molto generoso nel raccontarmi, nello spiegarmi, nel fare in modo che io capissi tutto quello che avevo bisogno di capire. Mi permise di entrare in un mondo per me fino ad allora sconosciuto. Perché quando nel mondo etero si afferma che “rispettiamo le scelte di ognuno”, è un po’ come se dicessimo:”Fate come volete, che non ci riguarda”. Come a chiudere una porta, mantenere chiusi e ben separati due mondi che continuano ad esistere in modo parallelo, ma senza contaminarsi, senza conoscersi, senza arricchirsi vicendevolmente. Mi sono fatta l’idea che noi etero manteniamo chiusa quella porta perché sostanzialmente ci imbarazza, mentre l’omosessuale la mantiene chiusa per difesa.
Mi sono fatta l’idea che in realtà l’omosessuale sa tutto dell’eterosessuale, perché è stato cresciuto come eterosessuale. E’ l’eterosessuale che non sa niente dell’omosessuale, perché è cresciuto come se l’omosessualità non esistesse. Così mi sentivo io in quel periodo: alla scoperta di un mondo che non conoscevo, di cui sapevo l’esistenza, sì, ma lo credevo lontano da me. Pensavo che non mi riguardasse. E invece era così vicino, ma così vicino, al punto da aver assorbito anche il mio sentimento, ritrovandomi poi, senza consapevolezza alcuna della realtà delle cose, a desiderare tutto di quell’uomo, e soprattutto a desiderare di vederlo felice.
Da persona etero quale sono, essendo stata anche moglie e madre, conoscevo bene quello che può accadere tra un uomo e una donna, quando si amano. Ma tra due uomini che si amano, come funzionava la faccenda? E non intendo solo la questione, diciamo così, “ginnica”, che pure mi era misteriosa. Intendo proprio i dettagli, le sfumature, il “come” avvenga l’innamoramento tra due uomini. Si guardano? Si capiscono da cosa? Batte il cuore? Com’è l’innamorarsi di due uomini? Come se lo dicono? Come se lo vivono?
E ancora prima, come avviene che un ragazzo si scopre omosessuale? Come se ne rende conto? Cosa pensa? Cosa prova?
Mille e mille erano le domande che mi affioravano nell’animo. E Paolo rispondeva. A tutte. A tutti i particolari, a tutte le sfumature.
Mi raccontò di sé, finalmente, senza alcuna censura. Mi raccontò le sue scoperte di se stesso, le sue gioie, le sue paure, i suoi equilibri interiori, i suoi sogni, i suoi desideri. Dissetò la mia sete di sapere, di capire. Certo, non di tutto il mondo omosessuale, ma almeno di lui sì, della sua esperienza, della sua vita.
Raccolsi i suoi segreti come si raccolgono pietre preziose. Conservo ancora oggi nel più profondo del cuore i suoi racconti di quei giorni. E sarebbe molto bello poterli condividere in questo luogo. Ma riguardano lui. Non mi posso permettere di parlare di lui senza il suo permesso.
Però di me sì, posso parlare. Di come mi sono incamminata in questo territorio che non conoscevo, di cui non sapevo nulla. E invece era così importante che io capissi, che conoscessi.
Cercavo soprattutto di capire come avevo potuto confondermi così tanto. Che sì, va bene, lui avrebbe dovuto dirmi per tempo, ma anche io avrei dovuto accorgermi. E se mi ero innamorata di un uomo omosessuale, voleva dire anche che un omosessuale era degno di essere oggetto d’amore, del mio amore, in particolare. Perché comunque Paolo era un uomo con grandi qualità umane. E come poteva un uomo con grandi qualità umane, come poteva essere ANCHE omosessuale? Non doveva essere un uomo con disturbi della personalità? I disturbi io non glieli vedevo. Non li aveva. O, almeno, non così eclatanti come mi potevo aspettare, pregiudizialmente.
Era DAVVERO normale, anzi, più che normale. Mi stupivo di questo. Non potevo essermi innamorata di una persona con problemi. Non è da me. E comunque tra noi due quella che in quel periodo era più in difficoltà nella vita ero io. Almeno mi sembrava. E lui mi stava aiutando, mi aveva sempre sostenuto, in un modo che mi aveva fatto crescere. In questa storia ero cresciuta. Mi sentivo migliore. Sì, la sua amicizia fu un Dono, un vero dono per me, in quel tempo.
Era uno scoprirsi reciproco, un raccontarsi finalmente autentico. “Non pensavo che fosse possibile sentirmi così leggero!”, mi disse un giorno Paolo. No, neppure lui pensava che fosse così bello poter essere se stessi, senza bisogno di nascondersi! E potersi accettare, e sentirsi accettati finalmente per quello che si era. Questo mi disse. E io me ne stupii. Stavo imparando a guardare le cose dal suo punto di vista. Finalmente, almeno un poco.
Era alla fine di quella estate, incominciata con tutte altre aspettative da parte mia, quando in una delle nostre passeggiate, finimmo a chiacchierare in una radura in mezzo ad un boschetto. Ci si coccolava, finalmente, era possibile coccolarsi. E in uno di questi abbracci Paolo se ne uscì dicendomi, sconsolato: “Ma tu non hai la barba!!!”. Già. Io non avevo, non ho, non ho mai avuto né la barba né altro. E quindi il nostro era un abbraccio d’amici. Punto. No, Paolo. Io non ho mai avuto la barba. Anche se, Dio solo sa quanto avrei voluto averla, solo per te, la barba!
Da quanto so, sono stata la prima persona a cui Paolo ha rivelato la sua vicenda. Lo considero un grande onore. Ho raccolto, fra le mie lacrime, il suo coming out. Ed ho avuto il privilegio di poterci stare in quel mondo che non conoscevo, accompagnata da lui, che me lo spiegava, passo dopo passo.
Fu in quel periodo che mi tuffai in internet per cercare di capire. E scoprii Gionata.org. In quegli anni il portale era diverso da oggi. Allora si poteva scrivere e commentare i vari articoli. Scrissi parecchi commenti. Mi firmavo semplicemente “m”. Marta, appunto. Mi colpivano soprattutto gli interventi di mogli che avevano scoperto l’omosessualità del marito. E, pur con una storia molto diversa, mi sentivo vicina a loro.
Erano gli anni in cui ebbe un grande successo il film “I segreti di Brokeback Mountain”, che vidi e rividi, nel tentativo di cogliere con maggiore profondità l’intera questione. Mi scoprii a piangere come una ragazzina alla scena, verso la fine del film, della cameriera del bar, che si era invaghita di Ennis, e che non riusciva a spiegarsi come mai lui la rifiutasse. Già. Come si può rifiutare un amore che ti viene regalato con il solo scopo di vederti felice.
Mi feci l’idea che non possiamo più vivere separati, noi etero e voi omosessuali, in questo mondo che vorremmo felice per tutti. Se rimaniamo separati, saremo sempre sostanzialmente sconosciuti gli uni agli altri. Che ci vuole altro che il solo rispettare le reciproche scelte. “Scelte”? Ma l’omosessualità non è una scelta. Non è certo una scelta! È una condizione. Non posso neppure lontanamente pensare che Paolo abbia “scelto” di non corrispondere al mio amore, perché se così fosse, lo picchierei a morte! Lui semplicemente “non poteva” corrispondere al mio amore. È questo che dovevo comprendere fino in fondo. È questo che un po’ alla volta, con fatica, ho imparato a comprendere.
Ho sentito anche su di me la responsabilità di tanto nascondimento. Siamo responsabili anche noi etero se gli omosessuali si devono nascondere.
Sarà merito anche nostro se assieme riusciremo a costruire un mondo migliore.
Attraverso Gionata.org ho potuto anche riflettere se queste “creature” omosessuali rientravano o meno nel Disegno di Dio. Se il non corrispondere al mio amore, da parte di Paolo, e vederlo invece innamorato di Fabio, era un peccato, o una gioia, davanti agli occhi di Dio. E come è potuto succedere che una persona così bella come Paolo (bella sì, perché se no non me ne sarei innamorata!) fosse cresciuta e vissuta tanti anni, nascondendo il suo vero cuore nell’”armadio”?
Chi lo aveva costretto, consigliato, sostenuto, a stare nell’armadio, e soprattutto perchè? Ecco. Di questo un’altra volta.
* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.