Alan Bennett e il suo “Scritto sul corpo”
Recensione di Silvia Lanzi
È duro essere gay nell’Inghilterra degli anni ’50, specie se ad esserlo è un ragazzino gracile e timido come Alan Bennett. Il famoso autore si racconta e racconta le sue paure di adolescente “sui generis” in Scritto sul corpo.
Non è la prima volta che Bennett utilizza spunti autobiografici per le sue opere (l’aveva già fatto ne La signora nel furgone e nello struggente Una vita come le altre), ma qui, in questo agile libretto – una sessantina di pagine circa – l’argomento principale è la presa di coscienza della propria omosessualità.
Con l’ironia e il disincanto che lo contraddistingue, l’autore ci regala un angolo privilegiato da cui osservare la sua vita: il ragazzino “crocefisso sul quadro svedese” che non si sviluppa e che ha paura del confronto con i suoi coetanei; quello talmente chiuso in se stesso da non riconoscere – o meglio da rimuovere – i segnali che lo spingono verso il suo stesso sesso; il giovane uomo restio alle gioie del sesso; quello introverso, occhialuto e sempre chino sui libri; il bravo ragazzo che accompagna la madre ai te o a far compere; quello “imbranato con le ragazze e poco interessato all’altro sesso”; quello troppo timido per uscire allo scoperto con se stesso e con gli altri.
Uno spaccato di un’epoca, ma soprattutto un racconto lieve, amaro e ironico di una presa di coscienza tardiva e sofferta, un coming-out inconsueto: nei confronti di se stesso prima che degli altri. Un racconto, come da sempre ci ha abituato il miglior Bennett, leggero ma introspettivo, assolutamente british.
Alan Bennet, Scritto sul corpo, ed. Adelphi, 2006, pp. 57