Dopo il monte Tabor ci attendono dure prove (Luca 9,28-36 e 13,31-35)
Riflessioni bibliche di Kharma Amos, Deborah A. Appler e Greg Carey tratte dal sito Out in Scripture (Stati Uniti), del gennaio 2013, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
I passi del lezionario per questa seconda domenica di Quaresima contemplano una sostanziosa dose di realismo sui pericoli e le difficoltà che deve affrontare chi ha accettato una visione inclusiva di Gesù.
La sofferenza, il sacrificio e l’umiliazione saranno una caratteristica della vita e del ministero di chi resisterà all’influenza normalizzante del pensiero dominante e del potere.
Ma intrecciata a questi passi c’è anche una tenace parola di incoraggiamento per farsi forza e perseverare sulla strada dell’inclusione, della riconciliazione e della pace.
Nel vangelo di Luca e nel libro degli Atti, Gerusalemme è la patria di Gesù. Nella città santa il neonato Gesù viene presentato, il giovane Gesù insegna nella “casa del Padre” (2,49), compie la sua “dipartita” (9,31), muore e, a Pentecoste, nasce la nuova Chiesa. Infatti la buona novella comincia a Gerusalemme e si diffonde attraverso la Giudea e la Samaria, fino a raggiungere gli estremi confini della terra (Atti 1,8).
Preparandosi a compiere il viaggio a Gerusalemme (vedi Luca 9,51) Gesù informa i discepoli del destino che lì si compirà (9,21-22). Poi avverte tutti i possibili discepoli che la sua strada può riservare loro lo stesso destino – bisogna prendere giornalmente la propria croce e perdere la propria vita per Gesù per trovarla (9,23-27).
Gesù sta quindi tornando a casa quando tre dei suoi seguaci fanno l’esperienza di una gloriosa rivelazione (Luca 9,28-36). Gesù prende con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e va su un monte per pregare. Là i tre vedono l’aspetto di Gesù totalmente trasformato. Le vesti di Gesù emanano un candore abbagliante e i discepoli vedono Gesù conversare con Mosè ed Elia.
– Quali sono state le “esperienze in cima a un monte” o i momenti storici che hanno dato forza ai credenti gay, lesbiche, bisessuali e transgender anche quando essi, come noi, hanno affrontato delle difficoltà?
La storia della trasfigurazione di Gesù ci ricorda quanto può essere forte la tentazione di provare a conservare quei brevi momenti che sono le esperienze di estasi religiosa che abbiamo vissuto. Ci sono stati dei momenti e dei luoghi in cui abbiamo intravisto il potenziale di una chiesa aperta, in cui le persone LGBT sono state pienamente accolte e celebrate nel culto.
Momenti e luoghi che includono servizi di culto come Witness Our Welcome, i culti della fierezza LGBT nelle cappelle dei seminari, i rifugi sicuri delle congregazioni che hanno preso l’impegno ufficiale di accoglierci e sostenerci e le denominazioni che guardano alla comunità LGBT come fondamentale per il loro ministero. Eppure dobbiamo anche predicare a un mondo che non sempre è così amico.
Il vangelo è chiaro sul fatto che coloro che seguono Gesù affronteranno continue difficoltà e frustrazioni. È ugualmente chiaro che tale realtà non deve rallentare il progresso sulla strada verso la pace e la riconciliazione. Dobbiamo andare sempre avanti verso il segno della nostra alta vocazione e vivere imitando le vie di Cristo (Filippesi 3,14 e 3,17-4,1), che trasformerà la nostra umiliazione.
Teniamo a mente anche il luogo della Trasfigurazione nel racconto di Luca. In risposta alla frettolosa proposta di Pietro di costruire un tabernacolo in onore di Gesù, Mosè ed Elia, dalla nuvola arriva una voce che sommerge i discepoli: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Luca 9,35). La voce ricorda ai discepoli le dure parole di Gesù solo otto giorni prima: “Il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, come i suoi seguaci” (vedi Luca 9,22-27). I discepoli sperimentano questa rivelazione mentre si preparano per Gerusalemme, dove Gesù morirà e dove saranno messi alla prova.
– In che modo i credenti LGBT possono collegarsi alle sofferenze di Cristo? Che cosa in questo collegamento può disturbarci? In che modo può invece offrirci speranza?
Luca 13,31-35 ritrae la predicazione di Gesù come un ministero che non verrà fermato o rallentato dall’influenza di chi ha il potere, anche quello di uccidere. Di fronte al pericolo Gesù ribadisce il suo impegno a guarire chi ne ha bisogno, a portare sollievo a chi soffre, a vivere giorno dopo giorno in armonia con la sua vocazione.
Gesù lamenta “quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto” (versetto 34). Chi crede a questa visione inclusiva secondo la quale tutti i figli di Dio verranno riuniti insieme, deve includervi le persone LGBT e altri che vivono ai margini della Chiesa e della società.
Essi forse troveranno che queste parole esprimono la loro frustrazione nei confronti di coloro che hanno il potere di escludere o delegittimare le nette prese di posizione a favore dell’inclusione.
Questo ci ricorda il coraggio dei pastori che hanno subito processi ecclesiastici, la revoca delle credenziali o l’assegnazione a incarichi meno qualificati quando si sono rifiutati di cessare le loro decise azioni di accoglienza e inclusione radicali, anche quando dovevano affrontare minacce e pericoli reali da parte di chi deteneva il potere.
Filippesi 3,17-4,1 espone alcuni dei consigli più difficili di Paolo: “Fatevi miei imitatori” (3,17). A prima vista sembra che Paolo proponga il conformismo nel nome di Gesù. In questo frangente culturale l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è il conformismo! Forse però Paolo merita di essere ascoltato meglio. Quando Paolo invita a imitarlo vuole dire sempre e soltanto una cosa: servire gli altri prima di pensare a se stessi.
Paolo si appella all’esempio di Gesù, che abbandonò i suoi privilegi per la salvezza dell’umanità (Filippesi 2,5-11). Allo stesso modo egli confronta il suo ministero con quello di chi lo usa per espandere il suo potere e costruirsi dei privilegi: “essi hanno come dio il loro ventre” (versetto 19).
Paolo invece ha seguito Gesù fino ad essere imprigionato. Imitare Paolo significa occuparsi dei bisogni della comunità prima dei nostri. (Questa insistenza sull’”imitare” Paolo e sul servire la comunità si trova anche in altri luoghi dei suoi scritti; vedi 1 Corinzi 4,16 e 4,6-13 e anche 1 Corinzi 11,1 e 10,23-33)
– Conoscete degli esempi di persone che hanno sacrificato il privilegio o il potere, o persino la propria vita, a favore della comunità? In che modo la loro testimonianza costituisce una sfida per voi e per la vostra comunità di fede?
Può il Gesù che soffre portare la buona novella, oggi, alle comunità emarginate? Può la predicazione paolina del sacrificio di sé favorire la liberazione? Prima di pronunciare un sì o un no, considerate le specifiche situazioni in cui il modello di Paolo funziona.
Nella prima lettera ai Corinzi Paolo si pronuncia contro quei cristiani che usano il loro status e i loro doni per umiliare gli altri; in quella ai Filippesi dichiara di opporsi alle versioni del vangelo che fanno soprattutto il gioco di chi le predica. In altre parole l’Apostolo non invita chi è debole a esserlo ancora di più; piuttosto invita i forti a essere solidali con i deboli. Questo esempio ci forza a discernere le nostre relazioni con chi è potente e chi è debole.
– Chi, tra le nostre sorelle e i nostri fratelli LGBT, ha particolarmente bisogno di incoraggiamento, supporto e conforto da chi ha forza da condividere con gli altri? Per voi e per i vostri amici questo è il momento di cercare oppure di offrire forza, oppure tutte e due le cose?
Genesi 15,1-12 e 17-18 è il patto con il patriarca ebreo Abramo, ma anche, dopo di lui, con i suoi discendenti. Le tre grandi fedi abramitiche – giudaismo, cristianesimo e islam – si ritrovano in questo racconto e celebrano la loro parte del retaggio di Abramo.
Eppure le persone LGBT spesso si sentono escluse da questa tradizione; è stato detto loro che essa non li riguarda. Per le persone LGBT la novella dell’elezione è un bicchiere di acqua fresca in una giornata torrida. A coloro le cui comunità di fede hanno tradizionalmente detto di no, Dio dice di sì. Molti di noi conoscono la gioia che prorompe quando le persone LGBT vengono valorizzate nel contesto del culto. Le comunità che dicono di sì alle persone LGBT celebrano la loro fede libera e liberante, pienamente fiduciose nel Sì divino.
Il racconto di Abramo narra il Sì di Dio al patriarca e ai suoi discendenti ma anche molti No. No ad Agar e suo figlio, che non sarà l’erede di Abramo (Genesi 21,8-21); No agli abitanti della terra che Dio ha promesso ad Abramo (notare che il lezionario esclude i versetti che parlano dei popoli esclusi dal patto: Genesi 15,13-16 e 19-21).
Spesso Genesi qualifica i vicini di Israele e le persone al di fuori della Chiesa come malvagi, privi della benedizione. A volte, sembra, chi si identifica con gli LGBT deve dire di No al contributo della Scrittura alla disumanizzazione e al rifiuto.
Il Salmo 26 (27) loda il completo affidamento in Dio, nel quale chi è escluso o disprezzato deve porre la propria speranza. Le comunità LGBT – che sono rimaste a lungo nascoste per paura delle ripercussioni che attendono chi è aperto e onesto sulla propria sessualità – possono cantare “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” (versetto 1). Anche se riconosciamo il pericolo reale che corrono la vita e il sostentamento di molte persone LGBT e dei loro alleati nella Chiesa a seguito del coming out, dobbiamo continuare a lavorare per creare un luogo dove tutti lodino e adorino Dio apertamente e sinceramente.
Anche se siamo consapevoli che alcuni verranno diseredati o dimenticati dai genitori e dai parenti, non dobbiamo abbandonare la nostra fede di vedere la bontà di Dio per tutti i popoli “nella terra dei viventi” (versetto 13). Forse dovremo attendere, ma non possiamo rinunciare alla visione. Che il nostro cuore prenda coraggio mentre la nostra attesa si caratterizza per l’impegno attivo e instancabile di creare accoglienza per gli emarginati e gli esclusi.
Le letture di oggi ci forzano a coltivare il discernimento e la fedeltà coraggiosa. Nell’elezione di Abramo troviamo il nostro senso di appartenenza. Il cammino di Gesù, articolato da Luca e Paolo, invita i suoi seguaci a condurre senza ambiguità la vita nella via della pace. Gesù ci chiama ad essere disponibili al sacrificio a favore di coloro che sono esclusi.
– Come esprimete la vostra gratitudine a Dio per essere stati scelti, eletti e chiamati “seguaci”? Cosa evoca, in voi e in altri LGBT, la vocazione al sacrificio?
La nostra preghiera
Spirito di Gesù
che hai desiderato raccogliere tutti i figli di Dio
corrobora la nostra passione per l’accoglienza e l’amore per tutte le persone
specialmente per chi è emarginato ed escluso.
Siamo consapevoli della realtà
che attende chi ti segue: sofferenza e lotta;
ma tu confortaci.
Non siamo soli, non siamo lontani dal tuo abbraccio.
Dacci la forza di perseverare nella tua via di pace.
Amen
Testo originale (PDF): 2nd Sunday in Lent, Year C