Viaggio tra le famiglie cristiane con figli gay, lesbiche e trans
Interviste di Lidia Borghi, gruppo Bethel di Genova, 28 maggio 2011
Don Piero Borelli si definisce “un battitore libero”. Quando giunse a Genova, un anno circa prima del Gay Pride nazionale, non pensava che sarebbe rimasto a lungo nel capoluogo ligure.
Da allora sono passati diversi anni, durante i quali ha avviato e curato diversi progetti di accoglienza pastorale: uno per le persone separate e divorziate, il secondo per la numerosa comunità latinoamericana della sua parrocchia e il terzo dedicato ad un gruppo formato, a quel tempo, di lesbiche e gay credenti.
Quando don Piero contattò l’allora presidente del comitato provinciale genovese di Arcigay, Francesco Serreli, al fine di invitarlo in parrocchia – insieme ad una lesbica di nome Laura – a rilasciare una testimonianza personale sul suo difficile cammino di gay credente, il mondo omosessuale era per lui sconosciuto, «se si eccettuano – così mi racconta durante un’intervista – rari incontri in confessionale, durante i quali mi muovevo a disagio e stavo male mentre ascoltavo i racconti di persone che mi confessavano la loro realtà. (…) C’era da parte mia una grande impotenza. Riuscivo solo a dare una risposta che predisponesse alla serenità. Era, la mia, una risposta di assoluzione».
Da quel primo, timido approccio sono passati due anni, durante i quali questo prete di frontiera ha voluto mettere insieme un vero e proprio gruppo di persone LGBT (acronimo per Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali) che, con costanza e tenacia, ha portato avanti, mese dopo mese, attraverso incontri di riflessione e di preghiera con proficui scambi di idee.
Durante l’ultima riunione, tenutasi in parrocchia lo scorso mese di maggio 2011, don Piero ha affermato, poco prima della consueta recita del Padre Nostro: «Il coraggio della verità vince».
Una madre cattolica osservante
Grazia è una persona ultrasettantenne; è madre di Cinzia, la figlia lesbica quarantenne la cui compagna, V., viene definita, ancora oggi, dalla donna, “l’amica”, nonostante sua figlia tenda, ogni volta, a sottolineare che la sua non è un’amica, ma la persona amata.
Quando Cinzia fece il suo coming out (in gergo americano la dichiarazione del proprio orientamento omosessuale a famigliari, amici e colleghi di lavoro) in famiglia, Grazia ricorda di aver lanciato un grido di disperazione.
Stando al suo racconto, pare che il papà della ragazza abbia accolto la notizia con angoscia, mentre il fratello avrebbe manifestato incredulità. Per quel che riguarda gli altri esponenti della famiglia, solo lo zio e la cugina sanno, mentre «ad amici e conoscenti – continua – non ritengo sia giusto raccontare i fatti nostri. Battutine e commenti (anche se velati) sono difficili da ingoiare».
Il suo pensiero in merito all’omosessualità giunge ad una biforcazione quando, nell’esprimere il suo parere a proposito delle persone velate, come “l’amica” di Cinzia, asserisce di essere alquanto irritata dal di lei atteggiamento poiché, mentre V. può trascorrere le feste cattoliche con sua figlia, lo stesso non accade all’interno della famiglia di V. la quale, secondo Grazia «preferisce lasciare sua mamma e suo fratello nell’ignoranza.
Questo (…) è spesso motivo di screzio con mia figlia – aggiunge Grazia – È troppo comodo affrontare così la vita, se poi chi ha questo problema (sic) pensa di battersi per la verità e la libertà di chi non ha il coraggio di esporsi».
La dicotomia diventa ancor più netta quando Grazia prova a commentare l’omonegatività sociale della chiesa cattolica nei confronti delle persone omosessuali: «Io amo mia figlia da morire sia per la sua rettitudine che moralità ma nel contempo rispetto la chiesa».
Una sorella racconta
Maria frequenta il gruppo Bethel di persone LGBT credenti (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali) liguri da molti mesi. La sua presenza discreta conferisce un valore aggiunto alla compagine messa su da don Piero. Sua sorella, Regina, ha affrontato la transizione di genere fino in fondo ed oggi è donna a tutti gli effetti, nel fisico e a livello giuridico. Non è stato facile, per i famigliari della donna, accettare la realtà.
Maria nacque in Sicilia da genitori emigranti. Il fulcro della sua numerosa famiglia era costituito da una madre credente che, tutte le sere, invitava figlie e figli a recitare il rosario con lei. Se oggi Maria ha un rapporto sereno anche con Regina, lo deve agli insegnamenti di quella madre, che educò le tre femmine ed i cinque maschi che aveva messo al mondo a restare uniti e a volersi bene sempre.
Alessandro e Mauro, i fratelli più giovani, nacquero con parto gemellare. Il primo morì ancor giovane per una dose tagliata male di eroina.
Il secondo intraprese, all’età di venticinque anni, la trasformazione fisica che lo avrebbe portato, di li a qualche anno, ad essere ciò che sentiva dentro, una femmina: «Tutto inizia lentamente – ricorda Maria – facendosi rifare prima il seno e, poi, ad intervenire con la chirurgia per i fianchi e i glutei. Lui diventa una lei ed avviene così una trasformazione fisica, capelli biondi, tacchi a spillo, vestiti aderenti e corti che sottolineano maggiormente seno e glutei».
Maria rammenta anche di aver vissuto la transizione di genere di Mauro come una profonda lacerazione, soprattutto a causa del disagio e della vergogna che le causavano le dicerie del vicinato. Poi il tempo, in modo lento ma inesorabile, curò sia le ferite del cuore che quelle del fisico e Mauro divenne Regina, la quale si trasferì a Viareggio «per non creare disagi alla famiglia – continua Maria – e lì ha iniziato una battaglia contro l’omofobia e lo sfruttamento verso le transessuali soprattutto brasiliane (Regina è ora vice presidente nazionale dell’associazione TransGenere – Movimento di Identità Transessuale. n.d.a.) diventando la presidente di un consultorio voluto dalla regione Toscana per le persone che devono (…) prepararsi ad una trasformazione».
Maria ama Regina. La conclusione della sua testimonianza è di grande speranza, nonostante lo stigma sociale cui la sorella è sottoposta: «Ho sempre cercato di non giudicarla (…), facendole sempre sentire il mio amore senza condannarla, c’è già un mondo che la condannerà».