L’omofobia tradizionale africana, un mito duro a morire
Articolo di Bernardine Evaristo pubblicato sul sito del quotidiano The Guardian (Gran Bretagna) l’8 marzo 2014, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
L’Africa contiene 54 Paesi e più di un miliardo di abitanti. Una delle leggende più ridicole che la riguardano è quella secondo la quale l’omosessualità non esisteva nel continente prima che l’uomo bianco ve la introducesse. Robert Mugabe [Presidente dello Zimbabwe n.d.t.], che ha definito l’omosessualità “qualcosa di non africano” e “una malattia bianca”, è un assertore di questa teoria.
Nella storia del mondo, gli esseri umani hanno sempre esplorato e sperimentato la loro sessualità; un desiderio che non è mai stato confinato in luoghi specifici perché è universale. Eppure oggi il mito dell’innocenza (o, per meglio dire, ignoranza) sessuale precoloniale viene usato per giustificare le leggi anti-gay e accendere le persecuzioni omofobiche in Africa. Nel Paese di mio padre, la Nigeria, a gennaio [2014] è stata approvata una nuova legge che prevede 14 anni di carcere per il matrimonio tra persone dello stesso sesso e fino a 10 anni per l’appartenenza o la promozione di gruppi omosessuali. In Uganda, invece, si rischia l’ergastolo. La responsabilità delle continue persecuzioni è imputabile, in parte, agli evangelicali di vecchio stampo arrivati dagli Stati Uniti, ma anche i leader politici africani, come il gambiano Yahya Jammeh e l’ugandese Yoweri Museveni, utilizzano la demagogia anti-gay per consolidare il potere e la popolarità.
Molto è stato scritto su questa pericolosa svolta, poco sulle sue origini. Due studi innovativi – “Boy Wives and Female Husbands”, a cura di Stephen O’Murray e Will Roscoe, e “Heterosexual Africa?” di Marc Epprecht – demoliscono le argomentazioni dei revisionisti su Africa e sesso.
L’omosessualità è stata documentata in Africa a partire dal XVI secolo da missionari, avventurieri e militari europei, che l’hanno utilizzata per rafforzare l’opinione che le società africane dovessero essere ripulite dal cristianesimo. I Portoghesi furono tra i primi Europei a esplorare il continente. Notarono la gamma di relazioni di genere nelle società africane e raccontarono della “maledizione contronatura” costituita dal sesso tra uomini in Congo.
Andrew Battell, un Inglese che viaggiò in Africa intorno al 1590, scrisse degli Imbangala dell’Angola: “Vivono come le bestie, perché tra loro ci sono uomini vestiti da donna che alcuni tengono tra le loro mogli”. Il travestitismo è stato documentato in molti luoghi, tra cui il Madagascar e l’Etiopia.
Tra i Pangwe degli odierni Camerun e Gabon i rapporti omosessuali erano comuni tra i maschi di tutte le età: si credeva che, così facendo, si trasmettesse la ricchezza. Per gli Nzima del Ghana era tradizione che gli uomini adulti sposassero altri uomini: le coppie avevano una differenza d’età di circa dieci anni.
La tribù Zande del Sudan aveva una tradizione simile alla pederastia dell’antica Grecia: i guerrieri usavano sposare dei ragazzi pagando la relativa dote ai genitori, come nei matrimoni eterosessuali. Quando quei ragazzi crescevano, diventavano a loro volta dei guerrieri che sposavano ragazzi. Nelle famiglie poligamiche della stessa tribù si praticavano i rapporti saffici.
Nel XVIII secolo i Khoikhoi dell’Africa Meridionale utilizzavano la parola “koetsire” per descrivere gli uomini considerati disponibili ai rapporti omosessuali e la parola “soregus” per descrivere le amicizie tra persone dello stesso sesso in cui si praticava la masturbazione reciproca. L’omosessualità è registrata tra i Siwa dell’Egitto e in Benin era considerata un rito di passaggio per gli adolescenti. Il matrimonio lesbico con tanto di dote è esistito in più di trenta società africane, dalla Nigeria al Kenya al Sudafrica.
A quando risale l’omosessualità in Africa? Forse le pitture parietali possono esserci d’aiuto: migliaia di anni fa, i San dello Zimbabwe hanno raffigurato il sesso anale tra uomini. La realtà è che, come in tutto il mondo, i popoli africani hanno espresso una vasta gamma di comportamenti sessuali. Ben lungi dal portarla con sé, le potenze cristiane e islamiche lottarono per sradicarla e, disprezzando i sistemi socioreligiosi indigeni, contribuirono alla demonizzazione e alla persecuzione dell’omosessualità in Africa e prepararono la strada ai tabù odierni.
Il protagonista del mio ultimo romanzo “Mr Loverman”, Barrington Walker, è un gay settantaquattrenne di colore. Sposato con due figlie, nasconde la sua omosessualità da 50 anni. Poco dopo la pubblicazione del libro un giovane nigeriano mi scrisse dicendo di avere paura che la sua vita potesse essere come quella di Barrington.
Non sapevo cosa suggerirgli se non che, se voleva vivere alla luce del sole e nella legalità in quanto omosessuale, doveva lasciare il suo Paese. Cos’altro potevo dirgli? Milioni di gay in Africa devono affrontare lo stesso dubbio.
Se rimangono, o reprimono la loro sessualità o rischiano di perdere la libertà e la vita. L’eredita del colonialismo è viva e vegeta. Come dice un altro personaggio del mio romanzo: “È l’omofobia, non l’omosessualità, ad essere stata importata in Africa”.
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Testo originale: The idea that African homosexuality was a colonial import is a myth