L’omosessualità spiegata a mia madre
Testo di Abdellah Taia* tratto dal settimanale Tel Quel (Marocco), n. 367, 4-10 aprile 2009, liberamente tradotto da Dino
Mia cara famiglia, E’ la prima volta che vi scrivo. Una lettera indirizzata a tutti voi. A te, mamma M’Barka. A voi, sorelle mie, le mie sei sorelle. E a voi, miei due fratelli. Vi scrivo con tutto il mio cuore queste righe che oggi escono inarrestabili dal mio profondo. Non posso più non esprimerle, non scriverle. Non inviarvele. Spiegare il mio cammino, ciò che sono, ciò che scrivo e perchè lo faccio. Spiegare?!
Sì spiegare, in primo luogo perché ne sento il bisogno interiore e perché voi, che siete la mia famiglia, non vi siete presi la briga di leggere, di leggere con attenzione, quello che ho pubblicato – libri, articoli, interviste…
Spiegare, perché da molto tempo questo è quello che a noi manca in Marocco: che veniamo finalmente considerati come esseri degni di ricevere spiegazioni, che possiamo davvero partecipare a ciò che riguarda questo paese e che cessino le umiliazioni che riceviamo giorno dopo giorno.
So di essere motivo di scandalo. Per voi. E per gli altri che vi stanno intorno: i vicini, i colleghi di lavoro, gli amici, le madrine… So quanto io involontariamente vi faccia del male, vi dia preoccupazioni.
Mi sto esponendo firmando col mio vero nome e cognome e costringo voi ad esporvi insieme a me. Vi trascino in questa avventura che per me e per quelli come me costituisce l’inizio di un fatto: poter finalmente esistere!
Uscire dall’ombra! Risollevare la testa! Dire la verità, la mia verità! Essere Abdellah. Essere Taia. Essere entrambi. Da solo. E nello stesso tempo non solo. Al di là della mia omosessualità, che rivendico ed affermo, so che quello che vi sorprende, che vi fa paura, è che io vi sfugga: io rimango la stessa persona, sempre magro, sempre con questo viso da eterno bambino; ma nello stesso tempo non sono più la stessa persona.
Voi non mi riconoscete più e dite: “Ma da dove gli vengono queste idee bizzarre? Da dove gli viene questa audacia? Non è stato educato in questo modo… Non solo parla pubblicamente della sua sessualità, no, questo non gli basta più, lui parla di omosessualità, di politica, di libertà… chi si crede di essere?”
Io provengo dal Marocco. Conosco il Marocco. Lì l’aver successo, l’esistere, consiste nell’avere denaro. Schiacciare gli altri col proprio denaro. Fin da quando sono nato, nel 1973 a Rabat, è questo l’ideale marocchino, il modello da seguire. Come voi anch’io sono nato povero, sono cresciuto nella povertà a Salé. In un certo senso ancora oggi rimango povero.
Ma io rifiuto questo sterile ideale marocchino. Questa grettezza. Non mi si confà. Lo supero. L’ideale marocchino io, nel mio piccolo, lo reinvento. Lo riempio con un nuovo contenuto, con un significato, con del coraggio e con dei dubbi…
E in fondo è proprio questo che vi colpisce: io mi sto rivelando diverso, qualcosa che voi non avete previsto, che non pensavate potesse arrivare mai. Un mostro. Tanto più che accanto a voi sono sempre stato tanto gentile, tanto studioso e beneducato.
Penso che voi vi poniate ogni giorno la stessa domanda: cosa gli hanno fatto? Cosa gli hanno fatto per meritare tutto ciò, per meritare questo scandalo? Credo che sicuramente adesso mi detestiate, che mi mandiate maledizioni. Senza dubbio per voi non sono più un buon musulmano.
Forse anche provate paura per me: sto rischiando esponendomi in questo modo nei libri e sui giornali.
Madre mia: so che non sei d’accordo con le mie scelte, ma che ugualmente continui a pregare per me. E questo mi tocca. Ho bisogno, da lontano, di credere anche tu stia reinventando il mondo e le preghiere musulmane.
Madre mia, certo non sai che il desiderio di ribellione sei stata tu a darmelo. In casa nostra tu sei sempre stata la guida, la stratega, la ribelle. La realizzatrice.
Madre mia, anche se analfabeta, sola con te stessa, durante i venticinque anni che ho trascorso accanto a te, eri una scuola di femminismo. E che scuola! Ti ammiro. Oltre ad amarti, lo ripeto, faccio di più: io ti ammiro! Tu hai imposto le tue scelte a mio padre e a noi tutti. Hai realizzato la tua opera: la casa di Hay Salam. Sei stata tu a mettere da parte il denaro, a comprare il cemento, la sabbia, i mattoni, eri tu ad assumere i muratori e a trattare con il “moqaddem”.
Hai fatto presto a capire che non avevi altra scelta che quella di essere tu un uomo al posto degli uomini di famiglia. In modo migliore e con più coraggio di tutti gli uomini che ci stavano attorno. Certo, la tua determinazione ad andare a fondo delle cose a volte diventava una dittatura. Certo, il tuo modo di parlare era quello di gridare, ancora e ancora gridare. Certo, era impossibile discutere con te. Ma comunque, quanto ho imparato restando al tuo fianco!
Madre mia, il tuo nome è magnifico. M’Barka. Proviene dalla campagna di Oulad Brahim. La tua storia e il tuo percorso, da Tadla fino a Salé, passando per El Jadida e Rabat, quando ci penso, ancora mi stupiscono. Un’epopea. Senza lacrime.
Tu non hai mai rinunciato. Non sempre sei stata giusta, in particolare con le mie sorelle ma, ancora oggi, ogni mattina ti faccio i miei complimenti. E riconosco i miei debiti verso di te.
La tua lingua, madre mia, è la mia lingua. Scrivo ispirandomi al tuo modo poetico di vedere il mondo e di inventarti degli strani rituali, che sono tanto belli, tanto affascinanti. Scrivo ricordandomi delle tue grida. Oggi io grido per rendere omaggio alle tue grida. Per fissarle. Per farle vedere. Per farle entrare nei libri, nella letteratura.
Ed è questa, tra le altre, la mia ambizione. Le tue grida come un’immagine del Marocco. Il tuo nome come simbolo della donna marocchina. Madre mia, posso fare tutto questo per te. E’ la mia unica ricchezza. Il mio regalo. Il mio dovere. Madre mia, il Marocco non è costituito dagli altri, dal governo, i religiosi, gli eterni burloni, gli spacconi, gli oppositori, i gelosi, i meschini…
Il Marocco tutto intero, quello che ho dentro di me e quello al quale parlo anche tramite questa lettera, sei tu. E’ un Marocco che non è perfetto. Un Marocco in tensione, con la febbre. Un Marocco che corre avanti. In preda ad una possessione.
Madre mia, non mi importa niente delle cose negative che gli altri dicono di me. Invece ciò che dici tu, anche se non sono d’accordo con la tua dittatura, lo ascolto, lo analizzo. E sento il desiderio di risponderti.
Il Marocco, sei tu. La mia verità, il mio “io” del quale fa parte, che io lo voglia o no, anche la mia omosessualità, i miei libri già pubblicati e quelli che verranno, è per te. Per me è importante che a tua volta tu mi ascolti. Che tu sappia che io sono come te. Non mi ribello per le stesse tue cause, ma comunque lo faccio come fai tu.
Sei tu quella che voglio convincere. Noi ci telefoniamo spesso. Ma non sono capace di dirti tutto al telefono. Ritorno un bambino timido e un po’ sciocco. E così te lo scrivo. Credimi madre mia, non ho alcuna intenzione di sporcarti, di umiliarti, di coprirti di vergogna. Ma ho bisogno di rivelarti la verità, la mia verità. Ho bisogno di comunicarti quello che cambia in me. In Marocco. Il cambiamento passa prima di tutto attraverso di te.
Tu hai imposto le tue idee a mio padre, al quartiere. Al mondo. Non ho altra scelta che quella di imporre a te le mie. Griderai. Hai gridato “ci sbraneremo ancora”. Ma questo non è grave. Non amo la tranquillità.
Il portoghese Fernando Pessoa è il mio poeta preferito. Lo scozzese Francis Bacon è il mio pittore favorito. La francese, di origine algerina , Isabelle Adjani è la mia stella. Nessuno di questi tre eccezionali personaggi era (o è) tranquillo. Non li conosci? Ti ripeto i loro nomi, sono artisti molto importanti per me e per il mio impegno nella vita: Fernando Pessoa, Francis Bacon, Isabelle Adjani. Sei analfabeta e non conosci niente della cultura?
Permettimi di dubitarne. Tu conosci il mistero, il mondo invisibile. Tu conosci la trasgressione. La cultura, tutta la cultura, non è altro che questo. Dire ciò che si vede. Ciò che arriva. Imporre la propria diversità. E la propria lingua. Superarsi. Trasformarsi. La letteratura, la pittura, il cinema, non sono altro che questo. La rivelazione.
Poi la rivoluzione. Dì tutto questo alle mie sorelle e ai miei fratelli. La mia ambizione, la mia modestia, la mia intransigenza. Non sono il solo in Marocco, madre mia. Qualcosa sta iniziando in questo paese. Una vera e propria rottura nei confronti delle generazioni precedenti, che ora sono decadute, o sono state recuperate. Noi siamo il 21° secolo.
Cercano di intimidirci. Di ricondurci ad un cosiddetto ordine morale, di farci tornare ai nostri cosiddetti valori fondamentali. Innanzitutto quali? E chi decide di quali di questi valori il Marocchino d’oggi ha bisogno? In questo momento il mondo sta attraversando una crisi senza precedenti. Il mondo sta facendo la sua autocritica. Si sta muovendo. Il mondo accoglie Barack Obama come una speranza immensa. E che si fa in Marocco?
Ci stanno spaventando ancora una volta. Ricetta vecchia. Ci riportano indietro. Fino a quando questa cecità? Fino a quando questa arroganza? Fino a quando continueranno ad ignorare e uccidere la giovinezza di questo paese? fino a quando questa politica che è solo apparenza? Il Marocco merita di meglio! Una vera modernità? Una vera rivoluzione delle mentalità?
A ben guardare questa rivoluzione ha già avuto inizio. L’unico problema è che non sempre vogliamo vederla. In Marocco c’è chi ha un evidente interesse a che la nostra identità marocchina non cambi di una virgola. Ma ormai da anni essa non è più la stessa. I giovani Marocchini di oggi hanno peraltro ben compreso questa complessa questione. Sono anche molto profondi nel riflettere a questo riguardo.
Potremmo anche dire che in un certo senso sono già nell’epoca post-moderna. Ma chi in Marocco riesce a comprendere tutto questo? Chi li aiuterà in questo cambiamento? Chi li riallaccerà in un modo diverso al Marocco e darà loro fiducia in questo paese?
Perdonami mamma se parlo come nei libri. Ma voi, sorelle e fratelli miei, voi capite ciò che sto dicendo. Voi avete studiato come me. Come me avete letto i libri che nostro padre ci portava dalla Biblioteca Generale di Rabat, dove lavorava come usciere.
Avete i mezzi intellettuali per comprendere ciò che dico. Non ditemi che parlo al vento, che me la prendo per niente, che la mia battaglia è persa in partenza. Non ditemi anche voi come gli altri che devo rientrare nei ranghi. Che devo allinearmi. Che devo dire “Wana mali” (“Buona fortuna”).
Non posso. Sono designato. Ho cioè una certa responsabilità verso me stesso e verso la società da cui provengo. Mi sto mettendo in discussione. Un libro, viene da sè, interpella il mondo, la società. Non posso fare le cose a metà. Me ne faccio carico fino alla fine. Non voglio più abbassare la testa.
Non sono un eroe. E’ che non sopporto più l’ipocrisia e le sue devastazioni in Marocco. Non sopporto più che venga data di noi un’immagine stereotipata, “folklorizzata” allo scopo di attirare il turista. Non sopporto più che non si veda la reale ricchezza di questo paese: l’immaginario, le storie, il mistero. LA GIOVINEZZA.
Non sopporto più che il Marocco non venga aiutato in modo efficace a risollevarsi e a crescere. Non sopporto più questo sistema che da mattina a sera opprime il Marocchino e mette a tacere le nuove voci che emergono per affermare che questo paese è diverso. Non sopporto più questa mediocrità e questa piccolezza che ci vengono imposte. Per me il Marocco è più grande di tutto ciò. Spetta a noi farlo conoscere nel modo migliore.
Anche se per fare ciò è necessario battersi, guerreggiare e dare a qualcuno l’impressione di tradire. Mia cara famiglia, ti tendo la mano. E’ un gesto sincero, spontaneo. Sono io: io sono così. Non vi chiedo di comprendere le mie nevrosi, e nemmeno di aiutarmi ad uscirne. No. Vi prego soltanto di non farmi sentire un paria, un miscredente. Sono, a modo mio, in continuità con la vostra storia, con la nostra storia.
Quella delle origini. Non posso offrirvi niente perché di fronte alla società possiate essere fieri di me. Per lo meno non oggi. Non è questo il mio scopo. Non amo l’orgoglio, sentimento che blocca i rapporti.
Sogno invece di poter avere un dialogo. Quel dialogo fino ad oggi impossibile. Io non sono in minoranza. Sono voi, sono con voi, sempre con voi, anche quando spezzo i tabù. Anche quando rubo le vostre vite per trasformarle in frammenti letterari.
Nei miei libri e nelle mie conferenze vi difendo. Parlo di voi. Vi faccio esistere. Sogno che un giorno, se qualcuno dovesse insultarmi davanti a voi dicendo: “Tuo figlio è un finocchio”, voi rispondiate: “No, non è finocchio, è mathali”.
Una parola, semplicemente una piccola parola che cambia tutto. Una parola-rivoluzione. Guardate voi stessi. Io non pretendo niente. Io vado avanti. Volo come posso. Prego, come mia madre, a modo mio: scrivendo. Da noi c’è questa cosa terribile: l’odio del Marocchino! Da dove proviene? Perché esiste ancora? Perché non avere il coraggio di essere se stessi: di liberarsi?
Liberarsi anche con la provocazione e lo scandalo. In ogni caso, non ci sono altri mezzi. E così dimenticare la paura ed andare nudi ad affrontare il mondo.. Ecco. Ancora una volta, con tutta dolcezza, la mia verità. Per voi.
Non mi piacciono le dispute inutili. Sono per le battaglie necessarie. Quella che sto portando avanti a favore e nello stesso tempo contro il Marocco è utile. Lo credo sinceramente. Non sono il solo. Posso parlare, scrivere. Per me stesso e per gli altri. Lo faccio. E’ un dovere.
Calorosi saluti a tutti voi.
* Lontano da ogni polemica, lontano dai tabù e dalle leggi, lo scrittore (marocchino) Abdellah Taia (autore de L’armée du salut e di Une mélancolie) parla, in questo suo scritto esclusivo, della sua diversità alla persona a lui più cara: la madre.
Testo originale: L’homosexualité expliquée à ma mère