Se entro in seminario devo dire che sono gay?
Ci scrive Andreas, risponde Gianni Geraci
Salve, sono un ragazzo di 30 anni e sin da bambino ho avuto il desiderio del sacerdozio; desiderio questo che il disappunto della mia famiglia, l’immaturità dell’adolescenza e altri eventi affievolirono.
Nel frattempo ho scoperto di essere gay, ho avuto storie d’amore meravigliose, mi sono laureato e ho un lavoro che mi da soddisfazione, ma sento che la mia vocazione è vivere per il Signore e servirlo, mi sento pronto per questo passo importante, sono riuscito a dominare la mia sessualità (con enormi sacrifici) ho rinunciato, con grande dolore, ad una stupenda storia d’amore, lascerò il lavoro.
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Ciao Andreas, ho letto la tua storia con grande senso di partecipazione, anche perché, in qualche modo mi sono riconosciuto parzialmente nel percorso che stai vivendo. Anch’io ho pensato di diventare prete.
Anch’io ho rinunciato a questo progetto per le perplessità della mia famiglia e per un’immaturità affettiva di cui allora non mi rendevo conto. Anch’io, più o meno alla tua età, ho preso in considerazione l’idea di fare il grande passo e di entrare in un ordine religioso.
Rispetto a te c’erano però anche due differenze importanti. La prima riguarda l’accettazione dell’omosessualità. Mentre infatti tu scrivi di aver avuto delle storie d’amore importanti che ti hanno aiutato ad accettare serenamente la tua omosessualità, io ci ho messo molto più tempo di te e sono arrivato ad accettarla solo qualche anno fa, dopo aver passato i quarant’anni.
La seconda riguarda il fatto che il tipo di vita che conduci non è in contraddizione con la scelta celibataria che sei chiamato a vivere. Io ero molto meno bravo di te e continuavo a girare vorticosamente in quel circolo vizioso che molti omosessuali della mia età hanno sperimentato, un circolo in cui si condanna l’omosessualità, ma poi la si vive nella promiscuità con grandi sensi di colpa che non fanno altro che alimentare questa stessa condanna.
Il religioso che seguiva il mio percorso vocazionale era convinto che questa mia situazione, di cui lo tenevo informato, non fosse incompatibile con la vocazione religiosa: sosteneva infatti (e a distanza di anni posso dire che avesse ragione) che con il tempo sarei maturato e avrei trovato un equilibrio.
Io però avevo paura di fare una scelta sbagliata e così ho deciso di chiedere il parere a un maestro del monachesimo italiano, a quel Giuseppe Dossetti che era stato uno dei protagonisti della storia della nostra Repubblica prima e del Concilio Vaticano II poi.
Gli ho scritto senza nascondergli nulla, chiedendogli di dire quello che pensava al mio direttore spirituale che sarebbe andato a trovarlo di lì a poco. La risposta che Dossetti ha dato è stata profetica: «Non è per l’omosessualità, ma allo stato attuale non mi pare opportuno che questo giovane diventi monaco. Digli però di conservare la speranza».
Questa espressione, «conservare la speranza», pensavo fosse un invito a me per incitarmi a non abbandonare il mio progetto di abbracciare la vocazione religiosa. Solo più tardi, grazie a un episodio che mi è capitato nel 1997, l’ho riletto come un invito a lavorare perché gli omosessuali non perdessero la speranza che nasce dall’incontro con il Signore.
E quando l’ho riletto in questo modo ho capito che quella era davvero la vocazione a cui il Signore mi chiamava. Una vocazione che ancora adesso ho la gioia di vivere all’interno della mia vita di laico.
Alla luce di questa esperienze mi permetto di fornirti alcuni spunti su cui riflettere per decidere come comportarti. Il primo spunto riguarda il fatto che, al di là di quello che si pensa, non c’è incompatibilità tra orientamento omosessuale e vita consacrata.
A conforto di questa mia opinione c’è l’esperienza di tanti sacerdoti omosessuali che conosco e che sono dei bravissimi sacerdoti. Anche la Chiesa, da questo punto di vista, al di là dei messaggi ipocriti che fa passare presentando alcuni suoi documenti, non ha mai ritenuto l’orientamento omosessuale incompatibile con una scelta come quella che tu vuoi fare.
Il secondo spunto riguarda invece la promessa di celibato (o il voto di castità nella vita religiosa) che va comunque presa molto sul serio. In particolare occorre ricordare che un impegno di questo tipo può essere mantenuto solo da una persona davvero adulta, che ha quindi integrato il proprio orientamento sessuale. Non è rimuovendo l’omosessualità che si creano le premesse per la maturità affettiva.
Ambiti, ci tengo a precisarlo, che per una persona consacrata, non possono essere quelli di una relazione di coppia almeno per ora (magari in futuro la Chiesa cattolica romana seguirà la strada già intrapresa dalla Chiesa veterocattolica).Quanti sono infatti i preti che conducono una doppia vita e che non riescono a vivere concretamente la promessa di celibato che la chiesa impone loro? Non voglio giudicarli. Probabilmente sono anche degli ottimi preti che quando hanno scelto la vita religiosa credevano di poterla vivere in pienezza senza problemi.
Se però sono delle persone che prendono sul serio il Vangelo che sono chiamati ad annunciare non possono non vivere con disagio l’ipocrisia in cui sono costretti a vivere.
Ed è proprio per non correre il rischio di vivere questa stessa ipocrisia che ti consiglio di non nascondere la tua omosessualità nei colloqui che avrai prima di entrare in seminario. Non c’è niente di sbagliato nell’essere omosessuali e proprio per questo motivo non bisogna vergognarsene.