Sono cattolico e gay, sono solo me stesso
Testimonianza di Cristian del Gruppo La Fonte di Milano del 10 settembre 2008
La mia credo in fondo sia la storia di molti, un’infanzia tranquilla e senza traumi, una famiglia d’origine senza problemi particolari che, nonostante le incomprensioni, mi è vicina, un percorso quasi già tracciato tra lo studio, l’impegno in oratorio e le amicizie cresciute e vissute in un paese vicino a Milano, con ancora tutte le dinamiche del piccolo centro di provincia.
Ho trascorso un’infanzia ed un’adolescenza in apparenza tranquille, eppure capivo che c’era qualcosa per cui i conti non tornavano.
Il modo idealizzato in cui vedevo i rapporti con le ragazze, l’imbarazzo nei confronti della mia corporeità, l’immaginario emotivo che si era andato definendo con gli anni erano indizi, ho poi capito più avanti, di qualcosa che stava al di fuori degli schemi che mi erano stati forniti e pertanto non gestibile tramite essi.
A 19 anni, senza aver mai avuto contatti diretti e in modo conscio con una qualche realtà inerente l’omosessualità, mi sono guardato allo specchio ed ho realizzato che quella era la parola chiave per capire molte delle cose che non quadravano allora nella mia vita.
Fu però in grado di darmi la sicurezza di non essere completamente solo e, dopo una crisi molto profonda, ricominciai ad avere di nuovo speranza nel futuro, nella possibilità di una vita normalmente felice.
Poco dopo venni a conoscenza, grazie ad un articolo di giornale, letto in modo del tutto fortuito, dell’esistenza a Milano di un professore universitario che si occupava di “fede e omosessualità”.
Gli scrissi, scoprendo che era sacerdote e che seguiva un gruppo di persone con lo stesso tipo di esperienza, era il 1996 e da allora frequento il gruppo La Fonte (ndr. di Milano).
Fino ad allora infatti non mi era mai capitato di trovare un ambiente in cui vivere entrambe liberamente; in parrocchia non era cosa saggia uscire allo scoperto sull’argomento omosessualità, sebbene avessi frequentato da adolescente anche un corso di “educazione all’amore in oratorio, su questo tipo di argomenti c’era stato e c’era un silenzio totale; negli ambienti di divertimento era la fede a non essere un argomento gradito di conversazione.
Anche a scuola ed in famiglia l’argomento omosessualità era impensabile, gli unici accenni venivano dai mass-media, ma a volte in toni così esasperati da contribuire alla confusione anziché aiutare a fare chiarezza.
Il silenzio era allora assordante; le cose del resto non sono cambiate di molto, il cicaleccio del gossip, le reiterate provocazioni e conseguenti alzate di scudi, non aiutano una seria riflessione su un argomento che tocca così nel profondo la vita di tanti.
Mi rendo conto che affrontare l’argomento è cosa delicata, aperture pubbliche ed esplicite potrebbero creare incomprensioni, ciononostante sono sicuro che vi siano realtà ed episodi che potrebbero contribuire a fare chiarezza senza fraintendimenti.
Penso alla condanna esplicita dell’omofobia quando essa si manifesta, alla creazione di una pastorale specifica per gli omosessuali e per le loro famiglie di origine, al mettere a disposizione gli strumenti culturali adatti ad affrontare la situazione nel segno dell’accoglienza e del rispetto per i pastori e gli educatori, soprattutto per quelli a contatto con la fascia degli adolescenti, ma anche con le persone sposate e consacrate.
Ho imparato, frequentando il gruppo, la necessità di far cadere gli alibi e stare di fronte a se stessi, al proprio modo di vivere e rapportarsi con gli altri, senza la scusante del doversi nascondere o del non sentirsi accettati; nelle persone vi è la necessità di trovare risposte a casi concreti dell’esistenza, così negli anni si è modellata l’impostazione dei nostri incontri in cui si è chiamati a condividere non tanto le opinioni ma le esperienze di vita; non si è costretti ad intervenire, non si viene giudicati per quel che si dice, non vengono fornite soluzioni miracolose.
Il confronto con altri che vivono o hanno vissuto situazioni simili, già di per sé demolisce la sensazione di inadeguatezza e solitudine, aiuta a relativizzare problemi che paiono a volte insormontabili e che rischiano di bloccare la maturazione delle capacità di relazionali con gli amici, i colleghi, i genitori, Gesù.
Di fatto, finché ho cercato di tenere nascosta la mia sessualità per vergogna, tutte le mie energie erano spese per questo fine. Raggiunta invece la serenità dell’essere amato per quello che sono, ho trovato tempo e voglia per spendermi in attività meno auto-referenziali ed aprirmi agli altri ed ai loro bisogni.
Il rischio è che queste nuove energie, una volta libere, vengano usate per alimentare meccanismi auto-referenziali seppur diversi dalla dissimulazione per difesa; ma questa è la scelta che ogni uomo deve fare, se e quanto centrarsi sul sé o aprirsi agli altri.
Ho incontrato tantissime persone libere dai tabù sulla propria sessualità che usano tutte le loro energie per “consumare” la vita in tutti i modi possibili senza curarsi minimamente del prossimo, amico, compagno o genitore che sia. Questo comunque è il rischio sempre presente del perdersi nella logica del mondo.
Mi ritengo fortunato, la necessità che avevo di frequentare il gruppo mi ha anche fornito gli strumenti per cercare di compiere un cammino di fede. Non è stato necessario, come è successo a molti, dover smarrire Cristo per non voler perdere se stessi.
A me è stata data una possibilità in più, poter essere testimone in una terra di frontiera dove molti rischiano di smarrirsi, avere la concreta possibilità di aiutare fratelli che si sentono scoraggiati, essere nel mio piccolo “scandalo per i Giudei e pazzia per i Greci” purché possa essere di tanto in tanto sbiadito barlume della Carità di Dio verso un fratello che fatica.
Il gruppo aiuta tantissimo in questo, la scelta di fondo di stare nella fede e nella Chiesa cattolica, il confronto con chi ha raggiunto una fede più matura ed un equilibrio maggiore, la preghiera comune, i ritiri spirituali, le sollecitazioni culturali e spirituali, il vedere fratelli compiere parte del cammino che si è già affrontato, stimolano chi lo frequenta a non lasciarsi sopraffare dal risentimento e dallo scoramento generati anche da taluni atteggiamenti della gerarchia, ad avere un atteggiamento propositivo e fecondo nei confronti dei fratelli, ad essere testimoni di una diversa possibilità di impostazione di vita che non sia solo all’insegna del consumismo, dell’edonismo, dell’indifferenza o della recriminazione e del vittimismo.
Personalmente l’esperienza del gruppo mi ha anche stimolato a cercare di avere una sessualità più responsabile e meno disordinata.
Al momento vivo una relazione da 4 anni con un coetaneo col quale stiamo cercando di vivere innanzi tutto un percorso di crescita condiviso, nella fedeltà e nel sostegno reciproco, nell’apertura e nell’ascolto dell’altro anche al di fuori della coppia.
Una relazione stabile che mi ha insegnato molto: la condivisione anche concreta degli spazi e delle risorse, l’attenzione ai bisogni dell’altro anche quando sono taciuti, la capacità di affrontare i problemi per risolverli senza scoraggiarsi alle prime difficoltà, la bellezza di donare e ricevere affetto invece che abbandonarsi a relazioni fugaci e bulimiche, alla ricerca di una fisicità spesso sopravvalutata e quasi sempre usata come falso rimedio alla solitudine, all’inadeguatezza, al senso di indigenza e come strumento di cupidigia.
Vivere una relazione stabile senza di fatto l’appoggio delle famiglie e della società non è affatto facile; molte volte siamo stati tentati di scegliere la strada più semplice del disimpegno, per fortuna fino ad ora il supporto anche pratico degli amici, l’unico su cui possiamo fare affidamento, ci è bastato per non sprecare quella che consideriamo una grande occasione di vivere l’amore che Dio ha messo nel cuore di ognuno.
Nell’approfondimento dell’amore di Cristo la fecondità trova sbocchi nuovi, nel lavoro, nelle relazioni con i parenti, gli amici, persino con gli sconosciuti che si incontrano per via. Non che non sarebbe stato possibile seguire l’insegnamento di Gesù in altri ambiti o con un diverso percorso di vita, ma a me è toccato questo e di questo ringrazio il Signore.
Ringrazio di essere omosessuale, perché è l’omosessualità che mi ha messo in crisi, è grazie ad essa che mi sono sentito povero e disperato, è nella povertà e nella disperazione che Lui mi ha preso per mano, mi ha rialzato dal fango dove mi ero accasciato e mi ha fatto coraggio affinché riprendessi il cammino dietro a Lui.
Spesso ripensando alla mia breve storia prego con il Salmo 73 quando recita:
Quando si agitava il mio cuore
e nell’intimo mi tormentavo,
io ero stolto e non capivo,
davanti a Te stavo come una bestia.
Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
E poi mi accoglierai nella tua gloria.