Sventola l’aquilone. Perche, banalmente, sono gay
Brano tratto dal libro Sventola l’aquilone di Donata Testa, Ed. SUI, 2013, pp.43-45
Adesso basta, basta, porca miseria, basta. Sono stanca, non ce la faccio più. Ora me lo devi dire, lo devi dire per intero, figlio mio. Eh sì, adesso è proprio ora che tu me lo dica, che tu lo gridi, se è il caso, no, tu non lo griderai lo so, ma dirlo sì, anche con voce bassa, magari in un sussurro. Diccelo figlio mio, a me, a tuo padre, a tuo fratello. Liberaci tutti dal male dell’atte- sa, te e noi. Fallo, bimbo mio adorato, fallo.
E succede in un giorno di fine agosto, c’è anche Dario, coincidenza benefica, e c’è Giulio. Prima sono solo loro tre: Dario, Edoardo e Maria.
Si parla un po’ e poi, poi, poi lei fa una domanda, un’altra, gira in tondo, non sa come fare a far saltar fuori il rospo, per liberarlo.
Infine, stufa com’è, stanca dell’anno trascorso a vedere e non sapere, a illudersi senza speranze, domanda in fretta:
– Chi è Massimo? – Un amico.
– È omosessuale? – Sì.
– Perché ti piace stare con lui?
– Perché, banalmente, lo sono anch’io.
Ecco, è finita, l’ha detto.Di colpo niente è più segreto, niente è ancora da svelare. Finito, detto e finito. E la scelta dell’avverbio «banalmente» la sorprende e la confonde. Come fa a essere banale? Cosa c’è di banale nel dichiararsi omosessuale? Edoardo, le parole le pesa, lo sappiamo, le usa con garbo e rispetto, le centellina. E dunque immagina davvero banale la sofferta, travagliata scelta?
Forse, quando arriviamo alla fine di un percorso, una volta saliti su, in alta quota, con uno sforzo be-stiale ci guardiamo indietro, guardiamo il fondovalle e diciamo: Non era mica difficile, no, proprio una salita da niente, banale addirittura. È così?
– Ho passato un anno di merda, ero depresso, e nessuno mi ha aiutato, nessuno ha capito.
E Maria qui s’incazza, ma s’incazza proprio. Nessuno ha visto, nessuno ha aiutato? No, non ce lo puoi dire, Edoardo, non ce lo meritiamo, noi ti abbiamo visto, ma tu non ci hai guardati. Hai visto tuo fratello, hai visto me? No, non potevi farlo, lo sappiamo, ma ora non puoi nemmeno permetterti di pensare che noi, che io… Abbiamo sofferto insieme, sebbene separati da muraglie. Abbiamo aspettato questo momento, tutti, fermi, in attesa di te.
Questa accusa no, molte altre me le puoi rivolgere perché bizzeffe di errori ho fatto con Dario, con voi, con la vita, ma questa proprio no.
E ancor oggi Maria non sa se suo figlio abbia davvero compreso cosa hanno vissuto tutti, uno per uno, lo spera, spera che abbia sentito le sue parole un po’ urlate e toccato con mano anche la fatica altrui.
Perché in questa storia ciascuno ha fatto un pezzo, un bel pezzo di fatica. Edoardo ha patito in maggior misura, è ovvio, ma la sofferenza non si dovrebbe pesare. È sofferenza e basta, e non serve fare il confronto con quella del vicino.
No, non serve proprio a niente.
Quando arriva Giulio non ci crede, pensa siano le cattive compagnie, forse lo spera, ma pratico e sincero com’è gli dice:
– Per favore, solo per favore, non fare la checca, i versetti, i sospiri, le movenze, no, per favore, quelle no.
Ci metterà un bel po’ ad accettare, per un sacco di tempo nemmeno ne parlerà con gli amici, con il suo amore. Coverà il suo rancore per mesi e poi amerà di nuovo, e profondamente, il suo fratellino, quello da buttare giù per le scale, e lo rispetterà. Ma ci vorrà tempo. Per tutti e per ognuno.
A Dario la dichiarazione pare non faccia effetto, sembra quasi scivolargli addosso, ma lo capiamo perché ideologicamente è più forte e la strada accidentata dell’ultimo anno, lui l’ha vista in trasferta, solo qualche fotogramma ogni tanto, e mai davvero da vicino.