Essere un migrante non è reato! È umano
Artivcolo di Federico Tulli pubblicato su Adista Segni Nuovi n° 37 del 20 ottobre 2017, pag.16
Il 3 ottobre 2013 un barcone proveniente dalla Libia con a bordo oltre 500 migranti di nazionalità in prevalenza eritrea e somala si ribaltò a poche decine di metri da una delle più belle spiagge del mondo. E i fondali dell’Isola dei Conigli a Lampedusa divennero in pochi attimi la tomba di 366 persone, tra cui decine di donne, bambini e adolescenti. Al numero delle vittime si aggiungeranno anche 20 dispersi, mentre in 155 si salvarono nuotando fino a riva oppure grazie all’intervento dei soccorsi. Ciascun “passeggero” aveva pagato 3mila dollari ai trafficanti di uomini. Immediatamente, di fronte a quello che a tutt’oggi è uno dei più cruenti naufragi del Mediterraneo del XXI secolo, scattò la gara solidarietà nazionale. Almeno a parole. All’indomani della tragedia l’allora sindaco della Capitale, Ignazio Marino, disse che «Roma prenderà un’iniziativa concreta» e annunciò che la città avrebbe accolto i 155 superstiti «grazie alla collaborazione del Ministero dell’Interno». Il destino dei migranti, osservava Marino, «è anche il nostro».
Qualcosa però s’inceppò nel motore della macchina della solidarietà capitolina. Proprio in quei giorni il Centro accoglienza richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, a una quarantina di chilometri dal centro di Roma, era parzialmente inagibile per un allagamento. Non fu possibile ospitare tutti i sopravvissuti. Chi restò senza un tetto si trovò in poco tempo praticamente abbandonato a sé stesso. Fino al 12 ottobre. Nove giorni dopo il naufragio, nell’ambito dell’operazione “Tsunami tour”, i movimenti per il diritto alla casa occuparono diversi edifici abbandonati nella Capitale. Uno di questi era il palazzo di via Curtatone 3, desolatamente vuoto e inutilizzato da tempo.
Decine di eritrei in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato vi trovarono riparo. Cominciò in questo modo “l’occupazione” a due passi da piazza Indipendenza, divenuta tristemente nota in tutto il mondo per lo sgombero del 19 agosto 2017 e per le cariche, gli idranti e le manganellate del 24 agosto successivo a donne, bambini e uomini. «Un’operazione di cleaning perfettamente riuscita», l’ha definita il prefetto di Roma, Paola Basilone. Come se l’uso dell’inglese potesse attenuare la violenza del termine “pulizia” riferito a un’attività di polizia rivolta contro degli esseri umani. Donne e bambini compresi.
Riavvolgiamo il nastro. Da cosa scappavano i migranti naufragati il 3 ottobre 2013? Dalla guerra civile e dalla dittatura. In Eritrea c’era e c’è il feroce regime di Isaias Afewerki, paragonabile a quello di Kim Jong-un in Corea del Nord. Chi protesta od oppone una qualsiasi forma di resistenza finisce nei campi di prigionia o di lavoro forzato, mentre per i dissidenti e i giornalisti “indipendenti” c’è direttamente il carcere.
In Somalia il conflitto iniziato nel 1991 è ancora in corso, come dimostra il camion bomba che il 16 ottobre a Mogadiscio ha ucciso oltre 200 persone, ferendone almeno il doppio. In entrambi i Paesi del Corno d’Africa, rileva l’Onu, le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno: torture, sparizioni forzate, esecuzioni sommarie senza processo. Gran parte delle rispettive popolazioni vive in estrema povertà e in un costante stato di terrore.
A Roma, almeno il terrore non c’è. C’è però il razzismo dei media e dei politici che soffiano sul fuoco della xenofobia strizzando l’occhio al ventre molle del Paese per calcolo economico e/o elettorale. Oppure proprio per convinzione. Un calcolo in ogni caso miope e dal respiro corto.
L’esigenza di trovare un luogo per realizzare la propria identità spingerà sempre i sopravvissuti della mattanza di Mogadiscio così come i superstiti di Raqqa liberata dall’Isis o i perseguitati da Afewerki a fuggire lontano. E ci sarà sempre una società civile pronta a sfidare i razzisti del III millennio pur di accoglierli e di pretendere che siano rispettati i loro diritti in quanto persone, con manifestazioni come quella del 21 ottobre a Roma. Perché essere un migrante #Nonèreato! È umano.