Vivere oltre il sesso: l’enigma dell’asessualità
Diaologo con una persona asessuale di Mario G., volontario di “Progetto Gionata”.
L’arcobaleno delle persone queer, ossia delle persone che non si rispecchiano nell’eterosessualità o nel binarsimo uomo-donna, è molto variegato e ricco di quanto tanti, superficialmente, vorrebbero far credere. Dentro allo spettro luminoso ricadono anche le persone asessuali, enigmatiche, per molti aspetti, per la maggior parte di noi. Chi sono? Come vivono le persone asessuali? Cosa possono insegnarci sull’amore e sulla fede? S., una persona asessuale, ha accettato di farsi intervistare per il Progetto Gionata, aiutandoci a fare un po’ di luce su questa dimensione dell’essere umano.
Per cominciare, potresti dirci che cosa significa essere asessuali?
Essere asessuali significa in sostanza non avere intrinsecamente attrazione sessuale, indipendentemente dalle condizioni, dai momenti o dalle persone con cui ci si rapporta. Ciò vuol dire che non si proverà nessun tipo di spinta sessuale attrattiva, conscia o inconscia, verso un genere piuttosto che un altro.
Tu mi hai anche detto di essere una persona agender, oltre che asessuale. Una persona asessuale è necessariamente una persona che non s’identifica con un’identità di genere?
No, per niente. Nel mio caso sono presenti tre A (asessualità, aromanticismo, agender) ma questo non è comune tra le persone asessuali. La maggior parte di noi s’identifica con uno dei generi. Fino ad ora so soltanto di quattro persone sia asessuali che agender.
Come hai vissuto la tua asessualità e il tuo essere agender, in un ambiente culturale estremamente sessualizzato?
Beh, in realtà non saprei dire se ci sia stato un vero e proprio conflitto, oppure se le cose siano andate tranquillamente. In cuor mio sapevo già chi fossi, e mentre crescevo mi sono posto delle domande che mi hanno reso cosciente del fatto che in me non c’erano quelli elementi che molti danno per scontati.
A un certo punto ho semplicemente capito che la mia natura era priva di ciò che spinge altre persone a cercare un compagno o una compagna, ad avere un certo tipo di contatto e provare determinati sentimenti. Da quel momento avevo preso coscienza della realtà. Le domande che mi facevo ogni volta che vedevo due persone baciarsi appassionatamente, o litigare per ragioni che non riuscivo per niente a capire, avevano risposta.
Hai incontrato difficoltà od ostilità in chi ti circonda? Hai dovuto affrontare anche tu un coming out con la tua famiglia e i tuoi amici?
Allora, diciamo che principalmente l’unico “contrasto” che ho avuto nel mio ambiente è stato, come dicevo prima, il non capire le ragioni di determinati comportamenti, che probabilmente mi faceva apparire una persona molto strana. Per il resto non ho avuto problemi.
Di solito la gente tende a non credermi, e risponde cose come “per ora dici così, ma crescerai”, “è una cosa momentanea”, e cose di questo genere. Comprendo perfettamente questo tipo di reazioni, perché non è facile distaccarsi dalla propria natura e ragionare secondo quella altrui, sempre che sia possibile. Anche per me è molto difficile fare altrettanto!
Per quanto riguarda il coming out, al momento solo due persone sanno della natura della mia sessualità: mia madre e un mio amico. Entrambi non hanno avuto alcun problema. Tendenzialmente non sento l’esigenza del coming out ma, se capita l’argomento, anche in maniera indiretta, ne parlo senza problemi.
Veniamo a un altro problema spinoso per il mondo queer: il linguaggio. Nella lingua italiana il genere neutro non esiste: come riesci a comunicare gli altri la tua non identificazione di genere con un linguaggio binario?
Ah, il linguaggio, nota dolente. Sì, è un casino! In italiano il neutro è stato assorbito dal maschile, ma esistono moltissime parole non declinate nel genere. Di solito faccio dei giri di parole per ovviare alla limitazione della lingua. Invece di dire “sono un/una operaio/a presso un’azienda”, dirò: “Lavoro come operante (il participio è indefinito) alle macchine utensili”.
Ci sono molti trucchetti per evitare di specificare il genere. In alcuni casi non si può fare altrimenti, purtroppo, a allora introduco il sostantivo “persona”. Costruisco la frase al femminile, ma “persona” rende comunque la frase neutra. Altra “tecnica” che uso è il sopprimere l’articolo determinativo, se possibile. Ad esempio, invece di dire “sono un/una seguace di Cristo” dirò “Sono seguace di Cristo”. Quando proprio non è possibile creare una costruzione neutra uso il maschile, che in italiano vale come generico.
Il Progetto Gionata si occupa del dialogo tra la religione e il mondo queer. Sei una persona religiosa?
Dipende cosa si intende per “religiosa”. La Via che seguo non la considero una religione, ma semplicemente una realtà che, ringraziando Yahu, ho incontrato. Credo nell’Assoluto, l’Uno, il Tutto, creatore della realtà e realtà Esso stesso. Cerco e desidero di fare la Sua volontà, per vita e per morte. Questo al di là di ogni altra concezione o credo o sistema.
Secondariamente, ho riscontrato l’origine divina dell’alleanza che YHWH fece con Israel nella persona di Moshé, pertanto prendo su di me il Patto e cerco di seguirlo secondo l’insegnamento di R. Yehshua bar Yosef, mio signore e personale salvatore e redentore, nonché maestro. Questo è in sostanza ciò in cui credo e la Via che seguo. Uso in generale l’intero tramandamento ebraico e quello esseno, oltre che la Storia e tutto il discorso relativo alla critica testuale.
Quindi, sostanzialmente, sei di fede ebraica. Come ti relazioni al contesto ebraico, anch’esso fortemente binario?
Non nel modo conflittuale che si potrebbe immaginare. Partiamo innanzitutto dal discorso del binarismo. L’ebraismo in realtà concepisce ben sei generi sessuali, distinti l’uno dall’altro, con caratteristiche e regole giuridiche proprie e che vengono discussi nel Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo. Esiste molto materiale per fare un discorso relativo all’identità di genere, da questo punto di vista l’ebraismo è molto complesso e per nulla binario. Nel Talmud alcuni personaggi biblici sono descritti come non binari.
Per quanto riguarda invece il discorso asessualità, bisogna notare che Yehshua ne parla nel suo discorso relativo al diritto matrimoniale, in riferimento alla normativa del divorzio. Dopo aver ascoltato l’insegnamento del maestro (secondo il quale il divorzio era ammissibile solo in caso di “porneia”, impudicizia), i discepoli rispondono “se tale è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene prender moglie”.
A questo punto Yehshua risponde: “Non tutti possono adempiere questa parola, ma solo coloro ai quali è dato”. Il maestro faceva riferimento, da ciò che ho capito, a “non conviene prender moglie”. Qui in pratica il messia stava dicendo che non tutti possono rimanere celibi (a causa del desiderio), ma solo coloro ai quali è dato. Segue un discorso riguardo agli eunuchi, i quali vengono distinti in “nati così dal grembo della madre”, “fatti tali dagli uomini”, e “fatti tali da sé a motivo del regno dei cieli”.
Poiché si sta parlando del desiderio, tra gli eunuchi “nati così dal grembo della madre” è compreso anche chi è asessuale, o asessuale e aromantico. Notiamo che Yehshua conclude con: “Chi lo può fare, lo faccia”. Non vi è nessun problema, anzi: chi può non sposarsi, perché non lo desidera, non deve farlo o essere forzato a ciò.
Tema difficile, per chi prova attrazione sessuale, è il rapporto tra asessualità e amore. Essere asessuali impedisce di innamorarsi? Come ama una persona asessuale? Esitono omoaffettività ed eteroaffettività tra le persone asessuali?
No, in nessun modo l’asessualità impedisce di innamorarsi. Semmai, essa rende, o può rendere, l’esperienza diversa. Gli orientamenti attrattivi sono sostanzialmente due, quello sessuale e quello romantico. Essere asessuali indica semplicemente l’assenza di attrazione sessuale, ma nulla dice dell’aspetto romantico/o affettivo. Ci sono persone asessuali omoromantiche, biromantiche ed eteroromantiche, e tutte le varie possibilità pensabili. Orientamento sessuale e romantico sono due realtà ontologicamente distinte, sebbene siano interdipendenti tra di loro, se coincidono. Per quanto riguarda invece il modo in cui un asessuale ama, probabilmente non sono la persona più adatta a rispondere, essendo anche una persona aromantica.
In generale credo, da quanto ho capito finora, che si abbia un modo di percepire le cose e di comportarsi un po’ diverso rispetto ad un non asessuale. Senza attrazione sessuale non ci sarà l’istinto a cercare un certo tipo di rapporto, ma l’intera spinta amorosa verrà espressa totalmente in modo non sessuale, senza i vari stimoli erotici consci o inconsci. L’amore è sempre lo stesso, cambia il modo di comunicare e di sentire, oltre che i desideri e i bisogni ovviamente.
Capita molto spesso che in una coppia “mista”, ossia dove uno dei due è asessuale, la comunicazione e la condivisione siano difficili, ma non sono problemi insormontabili: l’amore che lega le due persone, se davvero si vuole mandare avanti il rapporto e si tiene al partner, può far si che si creino equilibri molto interessanti nel rispetto delle proprie diversità.
Da quando le persone asessuali sono riuscite a organizzare un proprio movimento strutturato? Ci sono associazioni impegnate politicamente o nel campo dell’educazione?
Soltanto da pochi anni si è formata una comunità strutturata che si occupi attivamente dell’argomento e che faccia da rappresentanza della realtà di cui si occupa. La prima comunità asessuale, AVEN (Asexual Visibility and Education Network) fu fondata da David Jay nel 2001. AVEN è nata come comunità online e portale di informazioni, nonché punto di riferimento per coloro che, ad un certo punto della loro vita, hanno preso coscienza della loro asessualità o sono ancora in fase di scoperta.
È presente come portale in molte lingue: è una struttura sostanzialmente internazionale, che conta molti membri. Oltre a questo, se non erro, ci sono alcune associazioni “concrete” che lavorano con l’Arcigay. Esse si occupano di fare informazione, realizzare progetti e tutto ciò che può essere utile o necessario per divulgare la conoscenza di questa realtà.
Qui si chiude la nostra intervista. Non posso che ringraziarti ancora per il tempo che ci hai dedicato, e augurarti il meglio per il tuo futuro. Se ci saranno nuove domande, potremmo tornare da te?
Anch’io vi ringrazio molto. Certo, se ci saranno altre domande, sarò a vostra disposizione.