1994. Gli omosessuali credenti del Guado di Milano si raccontano
Articolo di Silvia Giacomoni pubblicato su Repubblica del 6 giugno 1994
Erano gli anni ’90 quando i media, con una certa sorpresa, iniziarono a interessarsi ai gruppi di gay credenti che, pian piano, erono sorti anche in Italia.
Una realtà complessa e inedita per l’Italia, che muoveva i suoi passi in una chiesa ancora incerta sul da farsi, tra accoglienza e rifiuto. Era il 1994, cosa sognavano e chiedevano i gay credenti di allora? E oggi qualcosa è cambiato?
Dalla linea rossa della metropolitana si scende a Pasteur. Cinquanta metri, e a sinistra si trova il campanello sulla grata di una cantina. Si attraversa l’ androne, si scende la scala ed ecco il Guado, il circolo dei gay cattolici (si tratta della vecchia sede del Guado ndr).
Entrandoci, mercoledì sera, Carlo si è guardato attorno stupito perché ha sentito l’ odore di muffa, ha notato i tubi a vista e i mobili scompagnati, ma le persone che parevano aspettarlo non avevano niente di alternativo.
Uomini di età e condizioni sociali diverse, tutti molto educati, conversavano a gruppi. “Ci definiamo omosessuali credenti” dice quello coi riccetti grigi. “Siamo credenti cui capita di essere omosessuali” dice quello che si appoggia al bastone.
Carlo sorride e, rivelando un piccolo accento siciliano, esprime le sue aspettative: “So che fate dibattiti – dice – e mi piacerebbe confrontarmi su tante cose. Ho bisogno di parlare liberamente, perché a casa e alla Bocconi mi camuffo sempre per discutere di cose che non mi interessano affatto. Amici gay ne ho pochi e li vedo solo per una birra. Sono solo, vivo praticamente come un eremita perché sento distante anche la religione in cui credo.”
Lo interrompe un ragazzo che pure viene dal Sud: “Io ho avuto la fortuna di scoprire che mi piacevano gli uomini quando ero piccolissimo, prima di avere sentito parlare male dei gay.”
Carlo sorride: “Nella mia coscienza non sento conflitto tra fede e omosessualità. Il conflitto lo sento con le istituzioni, col papa. Come possono dire che l’ omosessualità è un disordine morale, se non la vivono? Da quando sono a Milano non ho avuto problemi con i confessori, ma ora ho l’ impressione che l’ apertura della Chiesa si limiti al confessionale.”
Interviene un quarantenne milanese: “Il mio direttore spirituale lo sa da sempre che sono gay, eppure sono arrivato fino a 33 anni sperando in un miracolo, di svegliarmi un mattino eterosessuale.
Frequentavo Azione Cattolica e la mia crescita spirituale era bloccata dal fatto che, non potendo amare una donna, mi sforzavo di non amare nessuno. L’omosessualità la sentivo citare sempre con la violenza, con la sporcizia: poi sono arrivato al Guado, ho trovato amicizie vere e ora mi sento in pace.
Ma non posso uscire allo scoperto: i miei genitori non capirebbero, nel mio ambiente di lavoro c’ è un razzismo che tocca anche il rapporto con i clienti e in parrocchia non so proprio come mi guarderebbero.”
Entrano tre donne con un cane pastore. Una dice: “Lui non è gay!” Tutti ridono poi quello con il bastone riprende il discorso: “Ci sono le cose che dice la gerarchia, ma soprattutto c’ è che certi temi la Chiesa non li affronta. Da bambino chiesi cos’ era il peccato contro natura e la catechista non seppe rispondermi. Nella Chiesa ignoranza e sessuofobia sono la stessa cosa, e toccano noi come gli altri. Anche i divorziati dovrebbero stare assieme senza fare sesso, se si risposano!”
Interviene un socio che è stato tra i fondatori del Guado: “Molti di noi si trascinano dei sensi di colpa fino a che, incontrando persone che hanno fatto cammini diversi, capiscono che la posizione della Chiesa è sbagliata.
Per me l’ anno cruciale è stato il 1980, quando Ferruccio Castellano prese contatto col centro ecumenico valdese di Agape che organizzò il convegno su “Fede e omosessualità”. Lì è cominciato il mio cammino di liberazione da tante strutture mentali inutili, ho incontrato preti aperti, biblisti che leggevano in modo critico certi passi delle scritture, dimostrando che non si possono usare per condannare l’ omosessualità.
E’ stato un cammino lungo e all’ inizio le cose erano dure perché eravamo cattolici di tutti i movimenti, cristiani di tutte le chiese; abbiamo avuto anche un ortodosso, ora abbiamo anche un anglicano e un seguace del Sai Baba, e naturalmente siamo aperti ai non credenti.
Negli anni si è formata la nostra identità. Come tutti gli altri gruppi di credenti omosessuali, facciamo un lavoro culturale che porta a confutare i documenti della Chiesa. Non abbiamo valenza politica come l’ Arcigay, non andiamo in piazza, non vogliamo metterci in urto con la gerarchia anche se, a certe uscite, scriviamo i nostri commenti sul bollettino, li mandiamo al cardinale Martini e chiediamo che li pubblichi Famiglia Cristiana. Ma se le sparate le fa uno di Alleanza Nazionale, ci va benissimo che a rispondere sia Grillini dell’ Arcigay.”
La distruzione di Sodoma e Gomorra fu causata dalla mancanza di ospitalità dei suoi abitanti, non dal fatto che erano omosessuali.
Per il cattolico che attraversa il Guado, la liberazione viene con lo studio della Bibbia. Questo lo mette in contatto con ebrei e protestanti e suscita nuovi interrogativi sulla Chiesa di Roma.
Così, mercoledì scorso, quando si è venuti a parlare del ministro Guidi e delle sue ambiguità sull’ adozione per i single, uno ha esclamato: “Ma i gay tengono molto alla famiglia! Nel matrimonio noi riconosciamo un sacramento e non lo chiediamo, per noi! Noi aspiriamo soltanto all’ unione civile.”
Ha ribattuto il socio fondatore: “Per i cattolici il matrimonio è un sacramento da nemmeno otto secoli e per i protestanti non lo è mai stato. Alla base, il matrimonio è il riconoscimento di un’ unione da parte della comunità. Anche noi possiamo aspirare a qualcosa del genere, magari con una benedizione”.
Il dibattito sul matrimonio è interrotto dal seguace del Sai Baba che ha voglia di sfogarsi: “A 60 anni – dice – io vivo la desolazione di non avere vissuto la mia natura. Io piango perché tutta la vita ho mortificato me stesso, sperando che il Signore mi aiutasse a reprimere, a cambiare. Ho persino cercato di uccidermi, più volte, in seguito a piccole esperienze di felicità. Da piccolo ero sempre malato, mia madre mi affidava ai santi. Le parevo devoto e a nove anni mi ha messo nel Seminario di Lodi.”
Mentre l’ uomo racconta la sua storia gotica, i soci del Guado escono alla spicciolata per non perdere l’ ultimo metrò.