A Brescia come ti “guariscono” i gay. Un infiltrato ce lo racconta

Sede sconosciuta anche ai partecipanti, regola del silenzio, controlli incrociati. La segretezza era degna delle migliori tattiche di James Bond. Ma il Brescia è riuscito comunque a contattare uno degli iscritti al folkloristico corso organizzato dal Gruppo Lot con l’intento dichiarato di «guarire» gli omosessuali. E a farsi raccontare, dal di dentro, il tragicomico percorso di un gay sulla “via della redenzione”.
Un frate, padre Bernardino, e don Maurizio Funazzi, direttore dell’ufficio Salute della Diocesi della Leonessa, che comunque lascia il posto dopo pochi minuti. Il clima è caloroso, baci e abbracci. «Grazie al vescovo di Brescia che ci ha sostenuti», mormora qualcuno (la diocesi sostiene di avere solo concesso gli spazi).
Poi un paio di canzoncine e – sono passate da poco le 15 – Di Tolve inizia a raccontare (senza molti dettagli) del programma Living Waters, «nato nel 1980 in California e attivo in 14 nazioni», mostrando delle diapositive. Parla di Dio, spiega che «non è un programma di guarigione», ma subito aggiunge: «Io sono guarito». Si prega, qualcuno in silenzio, altri quasi gridando. Una ragazza di lascia cadere rovinosamente sulla sedia quasi fosse in trance.
Quindi, alle 16.30, la pausa della «merenda»: si firma l’eloquente decalogo del Gruppo Lot (di cui riferiamo in basso) e i 150 euro «non obbligatori» diventano tre tranche da 50 euro, la prima da versare subito. A questo punto Tolve inizia a raccontare la sua esperienza personale: le «sfrenatezze» omosessuali, la folgorazione durante un pellegrinaggio a Medjugorie, dove ha conosciuto la sorella della futura moglie. Quindi sei anni di terapia riparativa, con la «guarigione» dall’ossessione per il sesso e dall’omosessualità. Che – spiega lui – nasce dalla mancanza della figura paterna e dall’identificazione con la madre.
A me – aggiunge – da piccolo nessuno ha insegnato a giocare a pallone, mi sentivo escluso. Alle 18, un altro momento di preghiera. Poi il primo gruppo di lavoro con Di Tolve e padre Bernardino. A tutti viene chiesto di presentarsi e indicare il proprio «bisogno». Tolte le “comparse”, sono ora in 14: hanno dai 30 ai 40 anni, spesso storie di dolore sulle spalle e vengono anche da Mantova, Milano, Varese, Bologna. A seguire la messa, il buffet finale. Quindi tutti a casa, «con la propria auto». Perché sì, una «birretta» in compagnia magari è concessa, il “miracolo” è possibile, ma per quelli del Gruppo Lot è meglio estirpare ogni tentazione alla radice. Sia mai che qualcuno scopra che per la scienza dall’omosessualità non si guarisce.
Una regola per i partecipanti: «Rientra a casa tua da solo»
«Il nostro obiettivo principale è di proporre a tutti la possibilità ottimale di guarigione (sic)». Si apre così il documento che il gruppo ha fatto sottoscrivere a tutti gli iscritti. Ma nel testo ci sono altri passaggi degni di nota. «Lot mette l’accento su una reale importanza nelle amicizie sane», si legge ancora.
I partecipanti, inoltre, con un decalogo si impegnano alla partecipazione regolare (1) e a frequentare la chiesa locale per «aiutare a integrarti nella comunità» (4). «La possibilità che tu sia attratto da un partecipante del gruppo c’è. Per questo chiediamo di non impegnarsi in nuove amicizie nel gruppo durante il corso. Non devono esserci scambi di numeri di telefono, né intrattenimenti personali dopo la sessione. Ognuno dovrebbe rientrare da solo a casa», si legge al punto 5.
E ancora: «Living Waters non rimpiazza un programma psichiatrico, una psicoterapia, una cura d’anima o altra forma d’assistenza professionale» (6), «la partecipazione si basa sulla tua volontà nell’assumerti la responsabilità del tuo benessere» (7). Fino all’inquietante postilla: «Prendo coscienza che i miei comportamenti compulsivi potrebbero intensificarsi durante il periodo di questo corso».