A Natale con i giovani LGBT+ cacciati dai loro genitori in nome di Dio
Riflessioni* di Carl Siciliano** pubblicate sul sito di Outreach (USA) il 17 dicembre 2024, liberamente tradotte da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Durante le vacanze natalizie del 1994 incontrai per la prima volta Ali Forney, un’adolescente nera non binaria senza fissa dimora che avrebbe trasformato la mia vita.
Ero appena diventato direttore di SafeSpace, un servizio di accoglienza diurna per giovani senzatetto con sede a Times Square (New York). Come si può leggere nel mio libro Making Room, durante le prime settimane di lavoro scoprii con angoscia che nessuno dei pochi centri di accoglienza per adolescenti senza fissa dimora della città rimaneva aperto per Natale.
Non potendo sopportare l’idea che i nostri giovani fossero lasciati al freddo in questo giorno di amore e di intimità, io e i miei colleghi ci offrimmo volontariamente di tenere aperto il nostro centro per mezza giornata.
Ero arrivato a lavorare per SafeSpace dopo un decennio di attività di servizio con i senzatetto. Sono un gay cattolico e all’epoca stavo lottando per mettere insieme la mia fede e il mio orientamento sessuale, dopo aver sperimentato il rifiuto omofobico negli ambienti cattolici. La mia attività di servizio ha sempre trovato fondamento nella convinzione che Cristo sia presente in maniera particolare nei più bisognosi. Sapendo che una percentuale significativa dei giovani di SafeSpace era queer, speravo che questo nuovo lavoro potesse aiutarmi a integrare aspetti della mia vita apparentemente in conflitto tra loro.
La mattina di Natale demmo il via alla festa. Creammo decorazioni nella sala da pranzo con ghirlande e festoni, luci colorate e fiori, e una ventina di volontari vennero ad aiutarci dalla chiesa accanto. Queste facce nuove, entusiaste e mai viste mai viste prima, si schierarono dietro pentole e vassoi fumanti, offrendo un banchetto di cibi, dolci e torte, e dando la possibilità al personale del centro di sedersi a mangiare con i giovani.
Ma i giovani erano insolitamente taciturni, intimiditi dalle molte persone nuove presenti nella struttura.
In genere i pasti erano un’occasione di baldoria, con i ragazzi che si richiamavano da una parte all’altra dei tavoli, provocando interminabili scoppi di risa e prese in giro. Ma ora anche Ali parlava a voce più bassa, senza la sua solita baldanza o le sue consuete frecciatine lanciate agli altri. Avendo assistito a questo fenomeno in molte altre occasioni festive, dopo quella volta, ho capito che la loro timidezza è legata all’adolescenza.
Gli adolescenti danno una grande importanza a come vengono giudicati dagli altri e, in genere, si sentono terribilmente in imbarazzo se vengono compatiti. Gli adolescenti senzatetto non sono diversi. Essere osservati da una grande folla di persone sconosciute dette ai nostri giovani l’acuta consapevolezza della loro condizione di indigenza.
Nonostante tutto, nel mio primo Natale a SafeSpace, ero contento che i ragazzi fossero al riparo per qualche ora in più, a mangiare a sazietà in un contesto di calore umano e disponibilità di cibo.
Tuttavia, quando sono arrivate le tre del pomeriggio e fummo costretti a chiudere il centro, fu una cosa terribile. Accompagnai tutti nell’androne e guardai Ali e tutti gli altri uscire dal nostro edificio riscaldato e avviarsi per le strade piene di neve. Più tardi, dopo aver chiuso le porte, aver messo l’allarme e essere arrivato a casa di mia madre sulla ventiquattresima strada, non riuscivo a togliermi dalla testa i ragazzi.
Avevamo dato loro zainetti, guanti, cappelli e sciarpe come regalo di Natale, e loro stavano lì nell’atrio, mettendosi le sciarpe e coprendosi la testa e indossando i guanti. Poi si erano incamminati sulla strada, la maggior parte di loro senza un posto dove andare, con il loro fiato che formava nuvolette ghiacciate mentre si muovevano fuori nell’aria gelida.
Una cosa che mi creava un profondo disagio era il fatto che la maggior parte dei ragazzi presenti quel giorno era queer. Nei giorni normali circa un terzo dei giovani del nostro centro di accoglienza era LGBTQ.
Ma il Natale è un giorno in cui molti genitori o famiglie allargate accolgono i loro ragazzi senzatetto per la giornata. Quando vidi che la maggior parte dei ragazzi che erano con noi quel giorno erano LGBTQ, mi venne da piangere.
Anche in questa festa di intimità familiare, i giovani queer non erano stati accolti nelle loro case. Vedendo quei ragazzini indesiderati lasciati a tremare per strada, capii quanto sia forte il potere dell’omofobia e della transfobia nel tagliare i legami tra i genitori e i loro figli queer.
Le mie prime settimane a SafeSpace sono state un corso accelerato per comprendere il fenomeno dei giovani senza fissa dimora. Che incubo stavano vivendo quei ragazzi, da soli, affamati, senza un posto dove stare, abbandonati dai loro genitori.
La maggior parte dei genitori è portata a nutrire e proteggere i propri figli. Quando ho cercato di comprendere il motivo per cui i genitori dei giovani affidati a noi non erano in grado di farlo, ho scoperto che di solito era dovuto a qualche patologia. Molti dei nostri giovani avevano genitori che soffrivano di malattie mentali e/o di dipendenze.
Ma molti altri avevano genitori la cui omofobia e transfobia li portava a rifiutare i propri figli. Vista dal punto di vista di chi si preoccupa del benessere dei bambini, l’omofobia non poteva non essere riconosciuta come una patologia che causa una sofferenza indicibile nei ragazzi.
Quello che ho visto mi ha straziato il cuore, non solo come operatore, ma anche come cattolico. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze queer è stata lasciata fuori in quella fredda notte di Natale a causa delle convinzioni religiose dei loro genitori.
Anche io sono un seguace della stessa fede. Eppure, trattavamo le persone in modo molto diverso. Quei ragazzi erano stati abbandonati in nome di Dio. Abbandonati nel giorno santo in cui celebriamo come Dio abbia teneramente abbracciato l’umanità, in tutta la sua vulnerabilità e fragilità, con la nascita di Gesù.
Quella sera, mentre ero seduto con la mia famiglia, pensavo ad Ali e agli altri ragazzi, soli nelle strade ghiacciate. Un verso di Silent Night, il mio canto natalizio preferito, continuava a risuonare nella mia mente: “Notte silenziosa! Notte santa! Figlio di Dio, luce pura dell’amore“.
Era come se Ali e gli altri ragazzi LGBTQ fossero considerati indegni delle cure dei loro genitori, indegni di vivere nelle loro case, indegni della più elementare pietà umana, indegni del loro posto «nella pura luce dell’amore».
E nel mio cuore cominciò a nascere una preghiera:
Che io possa trovare un modo
per testimoniare che i giovani LGBTQ sono degni
dell’amore che spetta a ogni foglio.
Perché ogni bambino è nato per essere amato.
La verità dell’amore di Dio,
senza limiti ed accogliente,
destinato a ognuno di noi,
è certamente il significato più profondo del mistero del Natale.
*Estratto da “Making Room: Three Decades of Fighting for Beds, Belonging, and a Safe Place for LGBTQ Youth” di Carl Siciliano, pubblicato da Penguin Random House, 2024.
**Carl Siciliano è il fondatore e l’ex direttore esecutivo dell’Ali Forney Center, il più grande programma di accoglienza per giovani LGBTQ senza fissa dimora della nazione. È stato premiato come Champion of Change (Campione del cambiamento) dalla Casa Bianca nel 2012.
Testo originale: How serving homeless LGBTQ youths changed my understanding of Christmas