A proposito di testimonianze. Non parliamo di omosessuali ma di persone
Testo tratto dal libro “Orientation homosexuelle et vie chrétienne. Etude et témoignages” edito dell’Associazione cattolica “Réflexion et Partage” (Francia), agosto 2011, pp.7-9, tradotto da Giacomo Tessaro
Cominciamo con due testimonianze perché, quando si accosta al tema dell’omosessualità, si ha a che fare prima di tutto con delle persone.
“Ricordiamo innanzitutto che la testimonianza non può sostituirsi al dibattito e che non possiede essa sola la “verità”. È evidente. Ma questo dibattito, questa ricerca della verità non possono essere avari di questo tipo di discorso, soprattutto nella nostra società cosiddetta della comunicazione, nel tempo e nel regno dell’informazione, dell’immagine e dell’interattività…
… Accettando questa nuova realtà (sociale e anche politica) attraverso il ritorno alla testimonianza, la Chiesa beneficia di una nuova opportunità per l’annuncio del Vangelo in questa società moderna (o postmoderna). È l’occasione di dimostrare:
- Che essa considera l’uomo di oggi un interlocutore intelligente, di buon senso, capace di riflettere.
- Che dimostra di rispettare la sua libertà…
- Che gli accorda fiducia a priori (c’è un certo margine tra l’ingenuità e la paranoia che condanna immediatamente l’interlocutore), che ha fede in lui. In tutti i suoi incontri, Gesù non riduce mai l’altro alla sua complessità, non lo inchioda mai alla sua contingenza…
- Che accetta che l’uomo di oggi voglia confrontare le idee con la realtà attraverso il filtro della sua esperienza.
- Che ha bisogno di ascoltarlo e di avere il suo parere.
… Sarebbe per la Chiesa un modo di raggiungere l’uomo di buona volontà lì dove si trova, di rivolgersi a lui e di riconoscerlo come partner di un mondo da inventare insieme.”
Daniel Duigou. Sacerdote, giornalista e psicanalista, rilessioni pubblicate sul settimanale cattolico La Croix il 15 novembre 2005
Questo testo è punteggiato di testimonianze singolari. In nessun caso sono state inserite per giustificare un pensiero; sono state inserite per rivelare dei volti, delle persone che vivono, che cercano di dare un senso cristiano al cammino che stanno tracciando.
Come avete reagito quando avete saputo dell’omosessualità di vostro/a figlio/a?
“Quando abbiamo saputo dell’omosessualità di nostra figlia diciottenne ci siamo sentiti disarmati; Perché è così? Il suo grande malessere e la sua non-voglia di vivere ci hanno spinti a tentare di capire. Essendo cattolici, ci siamo rivolti a un sacerdote per sapere se conoscesse una associazione che potesse darci man forte. Ma lui era tanto disarmato quanto noi. La nostra fede ci ha spinti a chiederci come vivere questa situazione con calma e amore vigile per nostra figlia e la nostra famiglia (abbiamo quattro figli e lei è l’ultima).
Abbiamo camminato nell’associazione, incontrando omosessuali e altri genitori. Abbiamo fatto la conoscenza di persone in ascolto, che non giudicano, che condividono i nostri dubbi e le nostre preoccupazioni.Ci siamo aperti a un mondo che ignoravamo. Dopo dieci anni, constatiamo di esserci arricchiti nel cuore e nell’atteggiamento. Dio è amore. Lui solo sa cosa sia veramente l’omosessualità.
In questo cammino che stiamo percorrendo poniamo la nostra fiducia nel suo Spirito che ci accompagna.
Oggi, dopo qualche anno di ricerca, nostra figlia ha trovato un equilibrio, ha una ragazza che abbiamo accolto e che amiamo. Sappiamo che si sorreggono a vicenda, e loro sanno di poter contare su di noi. Da questa storia tutti ne sono usciti maturati. Non abbiamo paura!”
René e Annick
“Già solo il fatto di mettere sul tappeto questa questione è molto doloroso, in più noi ne abbiamo sfortunatamente vissuto solo l’aspetto negativo: Raphaël non aveva un vero compagno e inoltre si è rapidamente ammalato.
Onestamente non ho la più pallida idea di quello che ho provato quando ho saputo che mio figlio, in occasione di un esame sistematico non richiesto da lui, era sieropositivo; ho sofferto assieme a lui la brutalità dei risultati, senza alcuna preparazione psicologica né per lui né per me.
Ho fatto molte domande, e lui ha colto l’occasione per annunciarmi la sua omosessualità. Sul piano personale, solo maschio tra due sorelle, un amore travolgente per loro, una sensibilità esacerbata, facevano sì che fin dalla sua adolescenza io avessi con mio figlio un sentimento di incomprensione.
Non corrispondeva agli schemi inconsci delle mie proiezioni, ma lo accettavo senza capire, con l’amore di un padre per la sua discendenza, che è pur sempre carne della sua carne anche nella sua differenza.
Ovviamente ho avuto una reazione brutale ed emotiva nell’apprendere in un colpo solo la sua omosessualità e la sua sieropositività! Ma è evidente che, conoscendo la gravità dell’AIDS, l’aspetto della malattia, sapendo il grave pronostico, la sua malattia è diventata di colpo molto più importante della sua omosessualità, che è passata in secondo piano, ma che è in qualche modo responsabile della sua malattia. Ora è evidente che, se non fosse stato omosessuale, con tutte le sofferenze, le incomprensioni, i non detti, il mancato riconoscimento da parte della sua famiglia, dei suoi amici e dell’ambiente circostante, avrebbe evitato l’AIDS.
È un pensiero relativo, io credo che ogni essere umano abbia un suo destino che sfugge alle nostre considerazioni personali. Raphaël rimane per me un astro brillante ed effimero, sul quale noi oggi proiettiamo il nostro ricordo, forse non sempre fedele.
François
“La mia testimonianza fa seguito a quella di mio marito, che per primo ha saputo che Raphaël era non solo omosessuale ma anche sieropositivo. Il giorno in cui Raphaël l’ha detto a suo padre non mi trovavo nella stessa stanza, ho solamente sentito mio marito che gridava!
Poi ho saputo della sieropositività di Raphaël. Spesso mio marito insinuava che se Raphaël si era ammalato, dopo tutto “è colpa tua, l’hai sempre coccolato”. Cosicché, un mese dopo – senza sapere dove volevo andare a parare – dissi a mio marito che sapevo perché Raphaël fosse sieropositivo. Mi disse: “Tu sai che è omosessuale…”. Io non sapevo nulla, lo apprendevo ora.
Non ho battuto ciglio. Con calma (o forse no) sono andata in camera mia e ho pianto. Poi ho telefonato a mio figlio sul lavoro. Gli ho detto: “So tutto, ma non cambia niente. Ti voglio bene e ti stimo come prima…”.
Così ho imparato a vivere con il Raphaël omosessuale: le sue pene di cuore, i suoi compagni, la sua vita da gay.
Purtroppo mio figlio è morto sei anni dopo, prima che avessi finito di capire l’omosessualità. Ci aveva messo dieci anni per dircelo, tra un tentativo di suicidio e appuntamenti con ragazze…
Grazie a qualcuno, sono entrata nell’associazione Contact, nella quale ho intrapreso un cammino. Ora, nella mia associazione, cerco di aiutare gli omosessuali in difficoltà e di aiutare i genitori a capire e accettare i loro figli.
Danièle
Testo originale: A propos des témoignages (PDF)