“Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi” (Romani 15,1-13)
Scheda esegetica della Pastora Janique Perrin redatta per la commissione “Fede e omosessualità” BMV nel dicembre 2009.
1 Or noi, che siamo forti, dobbiamo sopportare le debolezze dei deboli e non compiacere a noi stessi. 2 Ciascuno di noi compiaccia al prossimo, nel bene, a scopo di edificazione. 3 Infatti anche Cristo non compiacque a se stesso; ma come è scritto: «Gli insulti di quelli che ti oltraggiano sono caduti sopra di me».
4 Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza.
5 Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, 6 affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. 7 Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio.
8 Infatti io dico che Cristo è diventato servitore dei circoncisi a dimostrazione della veracità di Dio per confermare le promesse fatte ai padri; 9 mentre gli stranieri onorano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti celebrerò tra le nazioni e canterò le lodi al tuo nome».
10 E ancora: «Rallegratevi, o nazioni, con il suo popolo». 11 E altrove: «Nazioni, lodate tutte il Signore; tutti i popoli lo celebrino». 12 Di nuovo Isaia dice: «Spunterà la radice di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni; in lui spereranno le nazioni». 13 Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo. (Testo biblico tratto dalla Nuova Riveduta)
Il testo
Anche se il versetto chiave per il nostro tema è il versetto 7 esso non può essere interpretato fuori dal contesto in cui compare. Il versetto 7 si trova proprio all’articolazione delle due parti del brano (v. 1-6 e v. 8-13). Non è un caso se le diverse edizioni della Bibbia non concordano sulla sua collocazione. Alcune fanno del versetto 7 la conclusione della prima parte, altre ne fanno l’esordio della secondo parte del brano.
La prima parte del capitolo 15 riguarda la questione dell’amore del prossimo in nome dell’amore di Cristo. Ciò che è in gioco è l’unità della comunità in Cristo, un’unità che deve proteggere i deboli e ridimensionare i forti, far comunicare gli ebrei e gli stranieri. Il concetto centrale è quello della novità in Cristo, una novità assoluta che ha abolito la separazione invalicabile tra puri e impuri, tra ebrei e gentili.
Gesù Cristo è quello che ha capovolto le regole di divisione e che ha di conseguenza scombussolato un certo ordine della società. Alla luce della sua venuta gli equilibri antichi sono cambiati e solo nel suo nome i nuovi credenti possono glorificare Dio “di un solo cuore”, “unanimemente” (v. 6).
Ma Paolo insiste sulla non immediatezza di questi cambiamenti. Dio è il “Dio della pazienza e della consolazione” (v. 5), pazienza e consolazione che mantengono viva la speranza (v. 4 e 13). Il nuovo status dei credenti, la loro
nuova identità non diventa subito realtà nella società, ma si iscrive in una prospettiva escatologica. Ciò significa per i cristiani vivere in tensione tra una società dominata dalle relazioni di potere e di subordinazione mentre le comunità cristiane sono chiamate a vivere già qui e ora l’“essere accolti” in Cristo.
Le piste aperte dal testo
L’unità in Cristo non è una negazione delle differenze ma il loro superamento. L’unità non è uniformità ma uguaglianza davanti al Signore. Un/a credente ha il suo posto a tavola non in nome di un determinato atteggiamento o del rispetto di regole particolari, ma in nome della sua filiazione in Cristo. J. Perrin / Rom 15 2 14/10/2010 Cristo accoglie, e ciò vuol dire che alla mensa del Signore non ci sono posti limitati o prenotati.
Alla mensa del Signore i posti si moltiplicano perché gli invitati aumentano non su richiesta loro ma per l’ospitalità illimitata del padrone di casa.
L’ospitalità di cui parla Paolo non è un comandamento ma un dono, il dono di Cristo per i credenti. L’ospitalità va ricevuta prima di essere praticata, perché essa non può diventare una semplice legge. Prima l’individuo viene trasformato dal dono dell’ospitalità; e solo dopo egli può a sua volta condividere l’ospitalità con gli altri. I credenti non sono proprietari dell’accoglienza o dell’ospitalità, essi ne sono solo testimoni e messaggeri.
Riprendere questa visione per cercare un modello di convivenza tra le diversità nelle nostre comunità è ambizioso ma indispensabile. L’accoglienza di tutti in nome dell’accoglienza ricevuta da Cristo permette di difendere l’ipotesi di una
comunità multiforme, per quanto riguarda la provenienza, la formazione, l’età, le opinioni politiche, la cultura, l’orientamento sessuale, il genere, lo status sociale, ecc.
Per continuare la discussione…
Con un modello come quello di Romani 15 la questione dell’accoglienza delle persone omosessuali nelle comunità cristiane non si pone più. L’orientamento sessuale non discrimina, viene accolto nella molteplicità e nella complessità delle identità.
I membri della comunità non vengono ridotti a una componente della loro identità (uno non può essere solo straniero, una non può essere solo donna), ma vengono accolti come portatori e portatrici di un’identità multipla.
Io sono donna, straniera, non sposata, strabica, mancina, laureata, protestante, ecc. Eppure il modello di Romani 15 presenta un pericolo: quello di essere visto e inteso come un modello minimo. Le comunità possono benissimo accogliere tutti ma in realtà questo potrebbe significare ridurre l’accoglienza a un semplice “diritto” a partecipare al culto, alle celebrazioni.
Gli omosessuali, gli handicappati, gli stranieri, i giovani, le donne, i meno abbienti vengono tollerati ma non devono pretendere nulla a livello di incarichi o di semplice visibilità. Perciò la parola accoglienza è un’arma a doppio taglio, con la quale i partigiani di una comunità omogenea e simile a quella che hanno sempre conosciuto possono far credere che sono aperti e ospitali.
L’autentica accoglienza invece è quella che trasforma le forme, che riinventa il linguaggio, che si lascia interpellare dalla complessità, da nuove idee, da nuove relazioni, da nuovi modi di vivere davanti al Signore.
In un certo senso l’accoglienza come ospitalità fondamentale in Cristo è un invito a cambiare sguardo e a non giudicare, a cercare nel viso dell’altro/a un filo della luce di Cristo.
In nome di questa ospitalità ricevuta per grazia la chiesa di Cristo, ospite del suo Signore, è chiamata ad accogliere. Perché se non lo fa, essa non perde solo il senso del suo essere ma anche il suo posto alla mensa del Signore.