Alcuni cristiani LGBT scrivono al giornale diocesano di Torino sulla legge contro l’omofobia
Riflessioni di Massimo Battaglio
Immediatamente dopo la lettera della presidenza CEI contro la legge contro l’omofobia (e cioè a favore dell’omofobia), noi torinesi ci siamo mossi. Abbiamo richiamato le forze, sollecitato amici e contattato il giornale diocesano. Si è concordato che lo spazio che “La Voce e il Tempo” avrebbe dato alla notizia, sarebbe stato quello di un servizio completo. Da una parte la doverosa pubblicazione ragionata della lettera stessa; poi due lettere, una a favore e una contro. Noi abbiamo scritto quella a favore (della legge). Eccola:
“Si accende il dibattito sulla futura legge contro l’omofobia. La discussione, a tratti rovente, ha coinvolto anche i vertici della Chiesa italiana. Come persone omosessuali cristiane, vorremmo dare il nostro contributo e sfatare alcune incomprensioni.
Innanzitutto ci permettiamo di notare che l’idea di uno strumento giuridico che combatta il fenomeno omofobo è condivisa in modo trasversale dalle diverse forze democratiche dello scenario politico. Ne hanno parlato il presidente Mattarella, la presidente del Senato Casellati, il presidente della Camera Fico. Sono personaggi di estrazione molto diversa. Non sarà una legge di parte.
Alcuni sostengono però che l’omofobia possa già essere adeguatamente punita e prevenuta mediante le leggi ordinarie. In realtà, se così fosse, non si assisterebbe a una continua crescita del fenomeno. I report disponibili presso il Ministero degli Affari Sociali sono chiari. Da 105 vittime nel 2013, si è passati a 225 nel 2019. Inoltre, la legislazione attuale non permette in alcun modo di trattare la violenza e le discriminazioni basate sull’odio omofobo, nella loro reale gravità.
Invitiamo a riflettere. Un pestaggio di matrice omofoba non è equivalente a un episodio analogo dovuto a diverbi calcistici o a regolamenti di conti. E’ più grave. Colpisce la persona senza nessuna ragione e lascia conseguenze ben più traumatiche. La vittima, non potendo cambiare la propria natura, è costretta a convivere con la paura che l’episodio si ripeta. Deve cercare sostegni psicologici e spesso medici che costano non solo economicamente. Deve escogitare strategie di nascondimento profondamente nocive e contrarie alla libertà.
Il principio di proporzionalità della pena impone che il crimine omofobo sia trattato con un’aggravante. Un’aggravente simile a quella prevista per i crimini di stampo razzista, a quelli contro la donna o fondati sul pregiudizio anti-religioso.
L’altra forte obiezione alla legge contro l’omofobia è quella per cui essa finirebbe per colpire la libertà di espressione. Ma in realtà, nessuno dei cinque testi ora in discussione prevede la punizione di opinioni critiche sull’omosessualità. I punti su cui ci si concentra sono: la violenza, le discriminazioni, la diffamazione (che è cosa ben diversa dalla critica) e l’istigazione a delinquere.
Le questioni di opinione sono del tutto fuori discussione. Chi vorrà esprimere tesi critiche sull’omosessualità potrà continuare a farlo serenamente. Un sostenitore della famiglia tradizionale potrà sempre esprimere liberamente il proprio pensiero. Chi sostiene che il matrimonio sacramentale esprima una scelta superiore ad altre, continuerà ad affermarlo.
Ciò che interessa a chi chiede una legge contro l’omofobia è altro. E’ porre fine a offese e violenze, basate su presupposti puramente pregiudiziali, a carico di persone ritenute ingiustamente inferiori o, peggio, pericolose non per qualche azione commessa ma per il solo fatto di esistere e di essere se stesse.
Ci domandiamo quali reali motivi hanno indotto la presidenza della CEI a intervenire nel dibattito politico stigmatizzando una proposta di legge sulla quale si sta ancora lavorando per stendere un testo definitivo. Non desideriamo certo una Chiesa muta sulle questioni civili. Ma non possiamo non dissentire dalle polemiche. Polemiche anche piuttosto lontane dall’insegnamento biblico. Il quale è sempre teso alla protezione del più debole e della vittima, e non alla giustificazione del carnefice.
Un gruppo di cristiani omosessuali torinesi”.
E’ una lettera che molti, non solo torinesi, hanno definito pacata, sobria e convincente. Volutamente, non abbiamo quasi citato la CEI. Siamo infatti consapevoli che il dibattito coinvolge, e deve coinvolgere, tutta la Chiesa e non solo alcuni personaggi al vertice. Deve emergere, che i cattolici non hanno affatto una posizione monolitica. Dev’essere chiaro che la presidenza della Conferenza Episcopale non rappresenta tutti: nè tutti i laici, nè tutti i preti e, siamo sicuri, nemmeno tutti i vescovi. Come in ogni questione politica (e non dottrinale), vale il pluralismo.
Non ci stupisce che i nostri interlocutori, anche quelli torinesi, non abbiano usato altrettanta pacatezza. Riconosciamo che, sapendo di non avere campo libero, hanno ammesso che i numeri non sono quelli ridicoli che avevano citato in altre sedi. Si sono degnati di confrontarsi con le nostre fonti.
“I reati a danno di persone omosessuali e transessuali furono infatti 82 nel 2019 e 100 nel 2018”.
In realtà però fanno riferimento al numero delle sole aggressioni fisiche, il che non è molto onesto. Ma il culmine, la vera e propria esagerazione, arriva oltre:
“In prospettiva, sarebbero poi incriminabili un catechista, un docente, un sacerdote che ad esempio citassero la Amoris Laetitia”.
Perfetto. Siamo quasi contenti nel notare l’inconsistenza dei temi critici sulla legge. A chiunque è palese che si tratta di autentiche menzogne, tipiche di chi è a corto di argomenti. Noi torinesi siamo abituati a reagire con un solenne “esageuma nèn!” (“non esageriamo!”). Speriamo che lo facciano anche i cosiddetti parlamentari cattolic, sempre così disponibili a dimenticare qualunque principio pur di non perder voti racimolati in sacrestia. Oggi, dalla sacrestia, arrivano certo rumori. Ma sono solo gli strilli di pochi abituati a essere trattati come padroni di casa, e che ora si arrabbiano perché gli altri non ci stanno più.