Amo il mio migliore amico. Esiste una “cura” a questa sofferenza?
Email inviataci da Emanuele, risponde don Luca
Scrivo questa mail per cercare di fare chiarezza sulla situazione emotiva che sto vivendo. Ho già scritto a Gionata tempo fa in merito al rapporto genitori/Bibbia, e ho ricevuto delle rassicurazioni abbastanza “istruttive”, che mi hanno aperto maggiormente gli occhi e mi hanno portato a vedere certe cose sotto una luce più positiva.
Proprio per questo ho deciso di riscrivervi, chissà che non sia un’ottima cosa, nuovamente? Ebbene io sono appena appena uscito da una storia durata quasi due anni, che mi ha lasciato abbastanza triste. Non tanto per la rottura in sé, ma per i motivi per cui essa è avvenuta.
Tuttavia i miei amici hanno saputo darmi forza e farmi sentire meno demotivato. Ciò che non va, tuttavia, e di cui non ho potuto assolutamente parlare con i miei amici, è uno dei motivi per cui ho ritenuto più giusto mettere fine a questa relazione: mi sono innamorato del mio migliore amico, anch’egli omosessuale.
Io cerco di essere una persona di sani principi e valori, cerco di non ferire nessuno, cerco di trovare soluzioni che siano migliori per tutti. Con il mio migliore amico si è andato ad intensificare il rapporto così tanto, che sembra quasi un rapporto di complici, di amanti che non vogliono stare insieme. Ovviamente le cose dette così sembrano chiare, e invece no.
Innanzitutto lui è fidanzato e io vorrei impedire una qualsiasi rottura con il suo ragazzo per una semplice spinta egoistica. Il nostro rapporto è, ripeto, da complici. Siamo abbastanza simili, ci aiutiamo l’un l’altro (spesso anche quando, in un certo senso, sembra stiamo oltrepassando quel limite tra amicizia e amore).
Il ragazzo in questione mi ha spesso fatto intendere cose su cui ho piantato una speranza, attraverso parole ambigue, come una certa insoddisfazione del suo rapporto di coppia, anche se sembra una insoddisfazione superata.
Non voglio passare per persona frivola e egoista, a me piace vederlo contento e felice, e tuttavia non riesco a fare a meno di avere un magone allo stomaco, di piangere desiderando di renderlo felice, di starci sempre quando ha bisogno di aiuto (anche se sto io male).
Io sono di indole malinconica, solitamente sto male perché io sono infelice. Ma per la prima volta nella mia vita sento di stare male perché non sono io a rendere felice una persona. La concezione di me è sparita quasi totalmente. Senti di stare mancando nel fare qualcosa di importante nei confronti di una persona.
Confesso anche che non voglio abbandonare o staccarmi da questa persona, preferisco soffrire in silenzio pur vedendola felice.
Ma mi chiedo: non esiste qualche “cura” a questa sofferenza? Pensavo a qualche passo biblico che magari potesse aiutarmi o a “disinnamorarmi” o a consigliarmi su come agire, che sia in modo altruistico o no. Mi scuso per il tedio, spero possiate aiutarmi.
Un caloroso abbraccio a tutti quelli del progetto. Emanuele
La risposta…
Caro Emanuele, tu mi chiedi un passo biblico che ti aiuti a “disinnamorarti”. Mi viene un po’ da sorridere (non avertene a male :-)). La fede non è magia e i passi della Sacra Scrittura non sono formule o incantesimi che trasformano questo o quello in ciò che vogliamo.
La Sacra Scrittura è uno dei modi con cui Dio si rivela e “parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sè” (molto bello sarebbe se approfondissi questa cosa leggendo la Dei Verbum, documento conciliare sulla divina rivelazione, che puoi scaricare qui).
Quindi la Scrittura è un mezzo attraverso il quale Dio fa conoscere il suo amore per l’uomo e lo rende partecipe del suo messaggio di salvezza. Se vuoi è un modo (non l’unico e neppure il primo per la precisione) con cui puoi annusare l’odore di Dio. E questo odore è fragranza d’amore.
Lascia stare qualsiasi concezione magico/esoterica del cristianesimo e della Scrittura che nulla centrano con il senso e il messaggio che il Padre vuole annunciare all’uomo.
Scrivevo qualche settimana fa ad un’altra ragazza (Rosaria) che a volte amare una persona vuol dire anche saper rinunciare a lei perché come dici bene tu, amare una persona non è averla al proprio fianco per farci felici, ma vedere che lei è felice, anche se questa felicità la trova lontano da noi e non passa attraverso di noi.
Rinunciare ad una persona che ami è doloroso… ma nella vita siamo chiamati ad affrontare anche queste sfide.
Una sfida, però, che non puoi affrontare da solo: non siamo dei supereroi e soprattutto per le questioni che interessano la nostra sfera sentimentale/affettiva diventiamo spesso dei bambini e non capiamo più nulla: esasperiamo alcune eventi o magari ne banalizziamo altri e quindi tutto diventa più complicato/difficile perché perdiamo la nostra oggettività.
Cerca una persona (un amico, uno psicologo, un parente… chi vuoi tu, non importa) e con lei parla apertamente di tutto. Non andar avanti da solo… sarebbe masochistico da parte tua.
Se ti tieni dentro tutto e cerchi di fare tutto da solo, forse ce la farai ma sarà molto ma molto più duro. Parla anche con il tuo migliore amico, spiegagli la tua situazione, i tuoi problemi e chiedigli di aiutarti a superare questo momento: se ti vuole bene (e da quel che mi scrivi te ne vuole) farà di tutto per aiutarti.
Ci sono cure per questa sofferenza? No, caro amico. Ma è una sofferenza che fa bene, perché nasce da un amore… e tutto ciò che ha nell’amore la sua origine non è mai male, anche se a volte può apparire il contrario.
Poi… il tempo è un grande dottore. Su, coraggio, amato figlio di Dio.
don Luca