Anno settimo del pontificato. Francesco e la piramide rovesciata della santita’
Riflessioni di Fratel MichaelDavide Semeraro pubblicate** sul sito della rete Viandanti il 22 febbraio 2020
Si compiono ormai i primi sette anni di ministero petrino come Vescovo di Roma di papa Francesco. Il settenario è un numero simbolico di rara potenza evocativa e può essere l’occasione per fare il punto del cammino. Piaccia o non piaccia viviamo un cambiamento radicale di parametro della vita ecclesiale che Ghislain Lafont, monaco benedettino nonagenario, definisce come “rovesciamento della piramide”.
Si sente dire talora che papa Francesco stia distruggendo la Chiesa facendo il gioco dei nemici della cristianità. Di certo papa Francesco ha rovesciato la doppia piramide della Chiesa – intendo quella dell’esercizio dell’autorità e del cammino di santità – e, in tal modo ha distrutto per sempre una certa immagine di Chiesa cui siamo abituati [1].
Dalla sacralità alla santità
Per illustrare questo processo in atto nella vita della Chiesa, su impulso costante di papa Francesco, vorrei soffermarmi sul rovesciamento della piramide della santità. Oltre ai vari pronunciamenti e ai vari gesti, la Gaudete ed Exsultate rappresenta un passaggio fondamentale. Questa Esortazione Apostolica segue l’Evangelii Gaudium, la Laudato sì e l’Amoris Laetitia. Papa Francesco fa riferimento a questa sequenza di testi (GE 28) quasi ad indicare uno sviluppo del suo magistero che si offre come una vera catechesi che accompagna e guida il cammino della Chiesa, nel suo insieme e dei singoli fedeli, nel mondo contemporaneo. Le parole di papa Francesco suonano come una consolazione e una conferma per tutti i discepoli del Signore che si sentono chiamati ad essere testimoni affidabili della gioia e della speranza che il Vangelo vuole portare al cuore di ogni umano cammino. In modo accorato, il Papa ricorda a ciascuno che la chiamata alla santità è “Anche per te” e chiarisce in modo inequivocabile:
Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova (GE 14).
Vi è una rinuncia allo spazio “sacro” a favore di uno spazio di santità che non ha bisogno di prendere “le distanze dalle occupazioni ordinarie” (GE 14). Al contrario proprio l’atteggiamento della preghiera che permette di coltivare una cura della “trascendenza” (GE 147) consente di trasfigurare ogni realtà imparando ad abitarla con umiltà e amore. Con dolce fermezza papa Francesco ricorda che:
Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione (GE 26).
Perfino le monache di clausura
Come per tutti gli ambiti della vita della Chiesa, anche per la vita e la testimonianza evangelica dei monasteri di monache, papa Francesco mette in evidenza la continuità con quanto vissuto finora e la necessità di prendere atto di una situazione mutata. Le mutate condizione socio-culturali esigono di entrare in un processo di ricomprensione discreto e coraggioso anche della vita monastica non esclusa quella delle monache normalmente indicate come “contemplative” o “di clausura”. Con chiarezza papa Francesco ha rilanciato l’appello rivolto continuamente alla Chiesa anche alle donne che vivono il loro discepolato in monastero:
A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, dopo le dovute consultazioni e attento discernimento, ho ritenuto necessario offrire alla Chiesa, con particolare riferimento ai monasteri di rito latino, la presente Costituzione Apostolica, che tenesse conto sia dell’intenso e fecondo cammino percorso dalla Chiesa stessa negli ultimi decenni, alla luce degli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, sia delle mutate condizioni socio-culturali. Questo tempo ha visto un rapido progresso della storia umana: con essa è opportuno intessere un dialogo che però salvaguardi i valori fondamentali su cui è fondata la vita contemplativa, la quale, attraverso le sue istanze di silenzio, di ascolto, di richiamo all’interiorità, di stabilità, può e deve costituire una sfida per la mentalità di oggi [2].
Ciò che papa Francesco ritiene essere il principio ispiratore di una vita monastica – contemplativa e di clausura – evangelicamente compatibile potrebbe o forse dovrebbe diventare la bussola del cammino dei monasteri in questo inizio di terzo millennio [3]. Questo inizio di millennio non è certo più comodo o meno drammatico dell’inizio e della fine dei due precedenti.
Una ricomprensione della vita monastica
L’Esortazione Apostolica sulla chiamata universale alla santità rappresenta un testo di ricomprensione del carisma monastico in senso radicale almeno quanto la promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico ha reso necessario la revisione delle Costituzioni delle Congregazioni monastiche. Così ricorda ed esorta papa Francesco:
San Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto “complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si presentassero al monastero li si accogliesse “come Cristo” esprimendolo perfino con gesti di adorazione, e che i poveri pellegrini li si trattasse “con la massima cura e sollecitudine” [4].
Papa Francesco non cita san Benedetto per fare l’elogio della vita contemplativa in senso astratto, ma per offrire un esempio concreto di accoglienza e di integrazione. Nel contesto si parla dei migranti, ma per le comunità monastiche significa oltre a trovare il modo di dare il proprio contributo di carità per far fronte alle necessità di quanti bussano alla porta del nostro Occidente, significa integrare mentalmente ed esistenzialmente il verbo “complicare”.
Non radicalità, ma profezia
Nel magistero catechetico e mistagogico di papa Francesco la sfida del Vangelo rimane non solo fondamentale, ma universale per tutti i battezzati che sono chiamati a sentirsi prima di tutto solidali e quasi cospiratori nella fedeltà alla propria vocazione battesimale. Per questo ha già chiarito che la vita consacrata non è una “radicale” forma di vita battesimale, ma semmai “profetica” [5] e che le comunità oranti alle quali viene severamente ricordato che:
non propongono una realizzazione più perfetta del Vangelo ma, attuando le esigenze del Battesimo, costituiscono un’istanza di discernimento e convocazione a servizio di tutta la Chiesa: segno che indica un cammino, una ricerca, ricordando all’intero popolo di Dio il senso primo ed ultimo di ciò che esso vive [6].
Attraverso i testi e le parole che papa Francesco ha offerto alla Chiesa in questi anni, si è ormai delineato in modo chiaro lo stile adeguato per essere testimoni del Vangelo non in un mondo creato apposta per accogliere il Vangelo, ma accolto per annunciare il Vangelo della libertà e della gioia per tutti. Da questo punto di vista, la prima responsabilità della Chiesa non è trasmettere se stessa con le proprie istituzioni e abitudini, ma essere anello fedele e creativo per la trasmissione del Vangelo con le sue esigenze e le sue promesse.
La Vultum Dei quaerere permette di uscire da quell’ambiguità ermeneutica sull’impatto del Concilio sulla vita della Chiesa, in generale, e della vita monastica, in particolare. Papa Francesco ha dovuto affrontare e risolvere questa ambiguità ermeneutica assumendo il ministero petrino come Vescovo di Roma. La portata di questo testo apparentemente “minore”, in quanto interessa chiaramente una piccola porzione della Chiesa cattolica, è stata ben percepita nella sua carica simbolica.
Cristiana Dobner, monaca carmelitana, esulta salutando questo testo come un evento di liberazione: “sulla vita contemplativa femminile, non cala dall’alto disposizioni, rigori di osservanze, un letto di Procuste in cui le nostre membra vengono segmentate, tagliate finché non rientrano esattamente nello schema previsto”.
Cristiana de Magistris, con un articolo ripreso su molti siti cattolici tradizionalisti, ne comprende la portata rivoluzionaria tanto da accusare la Costituzione Apostolica di “sovietizzazione dei monasteri” [7]. Sarebbe meglio dire che, nella percezione tradizionalista delle cose, si tocca uno degli elementi di sacralità legata al mistero dell’intoccabilità e della distanza. Elementi particolari da cui un certo immaginario sulla vita di clausura femminile si sente affascinato e rassicurato.
Il rischio di una falsificazione che tocca tutti
Papa Francesco non lascia la porta né aperta e neppure socchiusa, ma mette chiaramente di fronte al rischio incombente di una “falsificazione della santità”[8]. Questo rischio che tocca tutti i battezzati sembra essere più a rischio proprio nei monasteri quando cedono all’illusione di essere dei mondi a parte, dei recinti di sacralità. La conseguenza di questa obbedienza al Vangelo, cui le stesse esigenze della vita contemplativa devono piegarsi, è radicale:
Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)? [9]
Due domande possiamo far risuonare. La prima è quella posta da papa Francesco il 21 novembre 2013 nell’ambito delle celebrazioni per l’Anno della Fede nel monastero delle monache camaldolesi di Sant’Antonio all’Aventino: “Nei monasteri si aspetta il domani di Dio?”. L’altra domanda mi sorge dal cuore: “Cosa ci aspetta per i prossimi sette anni?”.
* Fratel MichaelDavide Semeraro è monaco benedettino del Monastero “Koinonia de la Visitation”.
[1] G. Lafont, Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco (Ed. italiana a cura di F. Strazzari), EDB, Bologna 2017.
[2] Vultum Dei quaerere, 8.
[3] Cfr. “Il terzo monachesimo” in Testimoni (Gennaio 2020).
[4] Gaudete et Exsultate, 102.
[5] Papa Francesco, Colloquio con i Superiori Generali, cit., p. 3.
[6] Vultum Dei Quaerere, 4.
[7] Di “inganno” parla ancora Aldo Maria Valli nel suo Claustrofobia, Chorabooks, Roma 2018, p. 17. In questo testo viene evocata la “setta conciliare” che starebbe portando la Chiesa alla rovina (pp. 70, 73, 75).
[8] Ibidem, 53.
[9] Gaudete et exsultate, 102.