Arber e tutti gli altri figli omosessuali che ho avuto modo di conoscere
Testimonianza n.25 di Shpresa Kodra, una madre albanese con un figlio gay, tratta da Tell it out (Dillo ad alta voce), libro di testimonianze di genitori con figli LGBT+ di tutta Europa realizzato da ENP – European Network of Parents of LGBTI+ Persons (Rete Europea di Genitori di Persone LGBTI+) con il supporto editoriale della Tenda di Gionata ed il contributo del Consiglio d’Europa, pubblicato nel 2020, pp.48-50, liberamente tradotta da Diana, revisione di Giovanna e Giacomo Tessaro
Il mio messaggio è rivolto a tutti! Nel corso degli anni ho conosciuto molte persone della comunità LGBTI, persone sincere che non hanno timore di dire ciò che vogliono e i loro sentimenti, ho conosciuto molti genitori che affrontano dilemmi, incapaci di capire cosa sta succedendo a loro figlio o figlia, che mi hanno raccontato di aver spesso pensato di mettere fine alla loro vita perché non hanno la forza di affrontare la realtà.
Naturalmente sono dispiaciuta per i genitori, ma mi dispiace di più per quanto succede ai loro figli. Nella maggior parte dei casi questi giovani vivono una doppia vita, solo per compiacere i famigliari.
Mi sono spesso chiesta quando ho compreso che mio figlio Arber era “diverso” dagli altri. Ho cercato di dare la risposta giusta molte volte, finché non mi sono resa conto che lo avevo sempre saputo, e sentivo che Arber era speciale. Non sono un’oratrice professionista o di spicco, non ho mai fatto un discorso, né ho parlato a qualcuno delle inclinazioni di mio figlio, ma so di poter superare l’emozione e di avere la forza di sostenere sempre mio figlio. Non è facile accettare la realtà, quella di avere un figlio gay. È difficile.
Da bambino Arber era così gentile e dolce; sempre attaccato a me, e molto delicato. Oggi mi dico che, se avessi avuto allora le informazioni che posseggo oggi, avrei capito mio figlio fin dall’infanzia, così delicato e perfetto in tutto com’era; avrei risparmiato sofferenze a me stessa, e soprattutto ad Arber durante la sua adolescenza.
Non ero preparata. Cominciò a ritirarsi nel suo guscio, e a non dire a nessuno cosa gli stava capitando. Arber, prima così attaccato a me, si stava allontanando e stava diventando un estraneo: lunghe notti trascorse fuori casa, ripetute domande di mio marito sul suo conto, e mio figlio sempre più nervoso.
All’inizio, qualsiasi cosa succedesse ad Arber, incolpavo la società che lo aveva spinto fuori strada e gli aveva insegnato ad abusare di alcoolici. All’epoca Arber stava fingendo, e portava a casa amicizie femminili. In tale situazione caotica decisi di tralasciare ogni codice etico e controllai tutti i suoi oggetti, finché un giorno trovai la risposta che cercavo nella tasca dei suoi pantaloni: c’era della droga.
Ma perché un ragazzo come lui aveva bisogno di drogarsi? Iniziò uno dei periodi più bui e penosi per la nostra famiglia: controlli notturni, Arber guardato a vista, tutto per cercare di aiutarlo. Poco per volta cominciai a comprendere che le droghe erano solo una delle ragioni, e non quella principale, delle sofferenze di mio figlio. Non ne parlai con mio marito, ma cominciai a seguire mio figlio per le strade di Tirana.
Non potete immaginare la sofferenza e l’umiliazione che provai camminando da sola per le strade buie di Tirana, strade prive di illuminazione, seguita dalle battute ironiche dei tassisti. Una volta lo persi di vista e tornai a casa in lacrime, col cuore sul punto di scoppiare. Lo attesi fino al mattino in camera sua, una stanza piena di poster di donne mezze nude e di orsacchiotti, una stanza di qualcuno che viveva due vite. Di solito al mattino si litigava.
Finalmente, una di quelle notti in cui era solito uscire, capitò che ci incrociassimo, allora salii sulla sua macchina e cominciai a chiedere perché facesse uso di droga e stesse distruggendo la sua vita. Era la prima volta, dopo tutto quel tempo, che mio figlio mi guardava negli occhi “Lo sai!” mi disse. Lo sai! Naturalmente lo sapevo, avevo capito cosa stava distruggendo mio figlio. Gli dissi che lo sapevo, ma volevo sentirlo da lui. Volevo che me lo dicesse. Ricordo che andammo vicino al lago di Tirana, al buio, e lì mi confessò i suoi veri sentimenti. L’uso di droghe era solo un mezzo per accostarsi al modello virile di uomo albanese forte e abile. Quella notte piansi a lungo con mio figlio.
Oggi mi sono arresa alla realtà: mio figlio è gay, e faceva uso di droghe per distruggere questa realtà; ma io ho scelto mio figlio. Durante il lungo periodo della sua disintossicazione, la mia presenza quasi ad ogni ora del giorno è servita ad evitare che cadesse nelle mani di qualche altro destino avverso.
Sono contenta di aver avuto l’opportunità di conoscere mio figlio, sono felice che mio figlio abbia avuto il coraggio di trovare la sua strada, e sono orgogliosa di quello che fa.
Arber, e tutti gli altri ragazzi e ragazze che ho avuto modo di conoscere, non hanno niente di cui vergognarsi, non hanno lati cattivi. Sono i nostri figli, quelli a cui abbiamo dato la vita, che Dio o qualcun altro ha deciso di rendere speciali, perché amano a modo loro. Sono fiera di mio figlio, che non mi ha delusa, perché tutto quello che ha realizzato e realizzerà è frutto di un duro lavoro e buona volontà.
Sono anche orgogliosa del lavoro che svolge, del suo impegno e della sua sincerità. E oggi posso dire che, se avessi avuto più informazioni, o avessi accettato un po’ prima quello che sapevo, mio figlio non avrebbe sofferto in questo modo. Ma era così che doveva andare, dovevo conoscere mio figlio attraverso la sofferenza, l’importante è che sia andato tutto bene. Non so che consigli dare ad altri genitori, se non di prestare maggior attenzione ai silenzi dei loro figli invece di emettere verdetti in anticipo, e di pensare che i figli hanno bisogno innanzitutto dei loro genitori.
Noi genitori dobbiamo ascoltare anche i silenzi dei nostri figli, perché quello che “distrugge” i nostri figli non è l’essere gay, bensì la paura innanzitutto di non essere accettati dalla propria famiglia, poi del pregiudizio degli amici, della società in generale. D’altra parte non è l’orientamento sessuale che li rende buoni o cattivi. La libertà di vivere il proprio orientamento sessuale permette loro di crescere e di realizzarsi nella vita. Sono i nostri figli e hanno bisogno di noi, e sono stupendi!
Io e mio marito, a maggio di quest’anno, abbiamo ricevuto un premio dal GALA annuale della Rete di Protezione delle persone LGBTI in Albania. Siamo stati premiati come genitori maggiormente di supporto nel nostro Paese, e abbiamo dedicato il premio a nostro figlio. Siamo felici di essere un esempio di amore incondizionato.
Non so quanto possa essere felice una madre se suo figlio è gay: in tutti i casi che conosco, i genitori si sentono arrabbiati, frustrati e ostili verso i figli. Sono sicura però di una cosa: le persone diverse non vorrebbero essere tali, per via di tutti i problemi che questo crea nella vita quotidiana. Conosco molte persone non omosessuali che preferiscono non parlare di queste realtà, invece è meglio affrontarle, senza necessariamente tirare in ballo Dio!
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