Unioni gay. Nella chiesa attendiamo il tempo della piena accoglienza
Riflessioni di Tomás Ojeda G.* pubblicate sul sito Territorio Abierto (Cile) il 6 gennaio 2013, liberamente tradotte da Dino
“Dacci sentimenti di misericordia di fronte ad ogni miseria umana, ispiraci il gesto e la parola opportuni verso il fratello solo e indifeso (…). Che la tua Chiesa, Signore, sia un luogo di verità e di amore, di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti trovino in essa un motivo per continuare a sperare” (Preghiera Eucaristica).
È difficile iniziare un nuovo anno senza prima formulare una risposta che mi permetta di salvare quello che Papa Benedetto XVI [1] e Monsignor Ezzati [2] hanno affermato a proposito della famiglia, della persona umana e della pace.
Uso il verbo salvare con l’intenzione di riconoscere nelle loro parole un’asserzione che possa essere interpretata come un annuncio di una Buona Novella in cui impegnare i miei affetti e la mia volontà come credente, psicologo e cittadino.
Nonostante ci provi, non riesco a capire i motivi né le ragioni… Al di là del testo e del focalizzarsi sui singoli vocaboli, che poco o niente aggiungono ad una discussione che finisce sempre per essere accademica e dottrinale, ritengo importante manifestare i miei scrupoli riguardo alla forma in cui sono state enunciate molte delle idee proposte come argomento contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la teoria del genere.
Mi interessa rimediare al danno, all’offesa e alla giusta delusione che producono in coloro che si riconoscono come omosessuali e nei cattolici che non condividono i contenuti del messaggio dei suoi pastori riguardo a questi argomenti.
Il gesto e la parola opportuna. È importante il modo in cui si parla e quali parole si impiegano a proposito di realtà umane tanto complesse come quelle che scopriamo nel campo della nostra sessualità e nelle diverse maniere in cui questa si realizza.
Mi fa male constatare che molte delle critiche che vengono fatte a progetti di legge volti a riconoscere lo status di famiglia a coppie omosessuali non riflettono sul fatto che ciò che giudicano “una minaccia” è proprio la celebrazione e consacrazione dell’amore tra persone che vogliono entrare a far parte dei modelli di famiglia che, come società, abbiamo riconosciuto come possibili e degni del nostro rispetto e riconoscimento.
Condivido le stesse sensazioni di coloro che si identificano come cattolici e riconoscono alla nostra gerarchia ecclesiastica autorità e conoscenza ispirata di ciò che Dio desidera. È a causa di questo sentire che anch’io vivo l’ambivalenza che per molti/e deriva dal mantenere un fermo legame con una Chiesa che, storicamente, in poche occasioni ha difeso la dignità di chi si identifica come omosessuale, transessuale e bisessuale.
Penso ai genitori di molti/e omosessuali, che conosco e amo profondamente, ai loro processi di accettazione, cura e accompagnamento, alla vita nuova che si realizza quando sono capaci di riconoscere nei loro figli/e il fondamento che ha dato un senso alle loro vite, nel momento iniziale quando si sapeva poco o niente del futuro, delle loro aspirazioni e desideri più profondi. Mi pongo interrogativi sull’accoglienza e sull’eco che hanno avuto le parole di Ratzinger ed Ezzati, l’impatto e i dubbi che tornano a installarsi su certezze che in alcuni momenti hanno smesso di essere tali, e che per essere ripristinate hanno richiesto a molti/e tanto tempo e tante lacrime. Penso a coloro che si sono sentiti di nuovo violentati e al rispetto che questa esperienza merita, che siamo d’accordo oppure no sul modo con cui la violenza è interpretata quando essa si manifesta per mezzo delle parole; penso a quelli che desiderano essere pienamente riconosciuti/e dalla Chiesa e partecipare ad un credo che volontariamente hanno fatto proprio, anche quando sarebbero di più i motivi per starne fuori ed evitare ogni tentativo di tornarci ed essere nuovamente maltrattati/e.
Sono colpito dalla resilienza e dalla fede di coloro che vogliono far parte della Chiesa in modo onesto, dalla loro testimonianza di vita e dalle energie impiegate per sopravvivere agli attacchi e all’autoritarismo di chi parla in nome di Dio per legittimare ogni tipo di condanna e di esclusione.
Mi sorprendono per la fedeltà con cui si impegnano con passione a favore di un Progetto che prevede l’inclusione e il rispetto come certezze, qualcosa che noi cristiani ripetiamo ogni volta che recitiamo il Padre Nostro: “venga il tuo Regno”.
Un motivo per continuare a sperare. Sono uno di quelli che credono che la Chiesa progredirà nella comprensione della realtà che vivono le persone omosessuali, favorendo l’incontro e l’integrazione PIENA di chi vuole esser parte della comunità ecclesiale. Forse non sarò più in vita quando questo avverrà, ma vedo progressi e piccoli segni di speranza che mi consentono di mantenere le mie convinzioni.
Il lavoro in collaborazione tra giovani e adulti, comunità cattoliche, religiose e sacerdoti impegnati/e nel realizzare la felicità e l’evoluzione di molti/e, rappresentano per me e per altri/e la conferma che Dio si fa presente nei luoghi dove meno ci aspettiamo di incontrarlo, in mezzo a situazioni che, il più delle volte, tengono viva la nostra fiducia nelle sue promesse.
Finché ci saranno valide ragioni che giustifichino la mia speranza e quella di molti/e, Dio continuerà a rivelarsi e ad agire nella storia. Altri saranno i racconti, altre le forme che domineranno i discorsi, altri i segni che dovremo discernere. Speriamo siano queste, e non altre, le convinzioni che ci accompagneranno nel corso di quest’anno in ogni discussione che collochi la famiglia e la vita tra i valori da proteggere e salvaguardare.
Omosessuali e lesbiche non sono nemici né minacce da cui dobbiamo difenderci. Se questa è la premessa che indirizzerà i nostri pensieri e le nostre azioni, vale la pena fermarsi e pensare all’immagine di Chiesa che trasmettiamo e all’immagine di Dio che vogliamo offrire, sia a quelli che collaborano con la sua missione sia ad un Paese nella sua completezza, che non necessariamente condivide il nostro modo di pensare. In questo non siamo soli, sono tanti/e quelli che sperano, ed è grande la nostra responsabilità verso di loro e con loro.
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[1] “Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata Mondiale per la Pace” (14 dicembre 2012) e “Udienza alla Curia Romana in occasione degli auguri di Natale” (21 dicembre 2012).
[2] Omelia pronunciata nella Cattedrale di Santiago, in occasione della festa della “Sacra Famiglia” (30 dicembre 2012).
* Tomás è psicologo clinico infantile-giovanile dell’Università Cattolica del Cile. Lavora anche nell’unità di Pediatria dell’Ospedale FACH.
Testo originale: Iglesia y homosexualidad: Una espera que sabe de razones