Benedizione delle coppie lgbt: cosa ci fa capire quanto sta accadendo nella chiesa cattolica!
Articolo di René Poujol pubblicato sul blog srenepoujol (Francia) ” il 6 gennaio 2024, traduzione di www.finesettimana.org)
Dove si scoprono vescovi “obiettori” più autoritari del papa.
La polemica attorno alla ricezione del testo Fiducia supplicans che apre alla benedizione di coppie in situazione irregolare e di coppie omosessuali dice qualcosa della tensione estrema della Chiesa cattolica e della sua incapacità a guardare semplicemente in faccia la realtà. E ha anche un doppio merito. Innanzitutto manifesta le reticenze radicali di una parte del clero (preti e vescovi) rispetto all’orientamento voluto da Francesco e sostenuto dal sinodo attuale, per portare la Chiesa fuori dal pantano. Conferma inoltre il blocco totale di una maggioranza dell’opinione pubblica cattolica sulla questione omosessuale. “L’abominio” biblico sembra qui senza appello! C’è un altro merito in questi sofismi, e non il meno importante. E’ l’obbligo per ciascuno di noi di posizionarsi chiaramente, di uscire dalle ipocrisie e dalle facili certezze. Cercherò di chiarirlo in questo post.
Inutile tornare a parlare in lungo e in largo della Dichiarazione del 18 dicembre con la quale il Dicastero romano della Dottrina della fede, con l’assenso di papa Francesco, apre ai ministri del culto cattolico “la possibilità di benedire le coppie in situazione irregolare e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status né modificare in qualsiasi aspetto l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”.
Ho già dedicato un lungo post (…) a cui rinvio i lettori. Già il giorno dopo, la Conferenza episcopale del Camerun invitava i preti di quel Paese a non applicare le raccomandazioni romane. Altri episcopati africani avrebbero seguito l’esempio, e in Europa quelli della Polonia e dell’Ungheria. All’opposto i loro confratelli svizzeri e tedeschi. Ciò mi ha portato ad attualizzare il mio articolo, che sarebbe stato ripreso nella nuova veste il 4 gennaio da Golias hebdo.
In Francia, dieci vescovi si pronunciano per una benedizione delle persone che formano la coppia, separatamente.
A proposito della Francia scrivevo: “Per ora c’è il silenzio più totale da parte della Conferenza episcopale francese (Cef). Ed è poco probabile che essa esca da tale silenzio. Una nuova testimonianza delle differenze di sensibilità episcopali che impediscono ogni consenso e rinviano ogni vescovo alla propria libertà di fare o di non fare, di parlare o di tacere”.
C’è voluto poco perché il lupo uscisse allo scoperto. Il 29 dicembre, la diocesi di Bayonne faceva conoscere la decisione di Mons. Marc Aillet di chiedere ai suoi preti di benedire le persone solo individualmente e non le coppie. Il 1° gennaio, nove vescovi della Provincia ecclesiastica di Rennes raccomandarono ai loro preti e diaconi di “benedire in maniera spontanea, individualmente ognuna delle due persone che formano una coppia”. Quindi non la coppia stessa, come auspicato da papa Francesco.
Il 4 gennaio, davanti a tanti irrigidimenti e rifiuti, il Vaticano pubblicava una “nota esplicativa” giustificando, talvolta con termini poco adatti, la perfetta ortodossia (se così si può dire) della Dichiarazione. Ricordava che quel testo non rimette assolutamente in discussione la dottrina della Chiesa cattolica sul matrimonio. E precisava: “In realtà, spetta a ciascun vescovo locale fare discernimento nella sua diocesi o in ogni caso dare orientamenti complementari”.
Una libertà di discernimento, tutta sinodale, per le Chiese locali
Non si tratta in nessun modo di un passo indietro. Una lettura attenta della Dichiarazione del 18 dicembre permetteva già di farne una tale interpretazione. Questo mi portava, nella mia presentazione, a commentare in questi termini le prime reazioni ostili di certi episcopati africani.
Scrissi: “Ci si può o preoccupare per questa ribellione e vedervi un rischio per l’unità della Chiesa e un indebolimento dell’autorità del papa. Oppure si può esprimere l’ipotesi che qui saremmo già, alla fine, nel dopo-sinodo sulla sinodalità, in cui alle Chiese continentali o a certe Conferenze episcopali sarebbe offerta la libertà di decidere per quanto le riguarda su questioni pastorali strettamente legate alle “culture” locali, anche nel caso in cui fossero contrarie ad una certa concezione dei diritti umani. Non è detto che il Papa non vi trovi conferma della fondatezza del suo percorso sinodale di ricerca di autonomia degli episcopati… talvolta contestata da quegli stessi vescovi che adesso qui la rivendicano”.
Personalmente non trovo quindi illegittima l’iniziativa di quegli episcopati. Mi pongo però degli interrogativi sulle loro motivazioni reali. Posso comprendere la posizione africana su un continente in cui l’omosessualità più che altrove è giudicata “contro natura” e passibile, in trentadue paesi, di sanzioni che possono arrivare fino all’incarcerazione o perfino alla condanna a morte. Il 29 dicembre, il presidente del Burundi invitava a “lapidare gli omosessuali negli stadi”. Molti vescovi e preti africani condividono in realtà quella cultura e non vedono alcuna contraddizione con la lettura che fanno delle Scritture.
E che non si obietti loro che l’omosessualità esiste anche nel loro continente, e che il loro rigorismo sulle questioni di morale sessuale tiene poco conto del vissuto reale di una parte del clero. Questo mi ricorda un aneddoto riferitomi una ventina d’anni fa da un amico che rientrava dall’Africa. All’epoca, io dirigevo la redazione di Le Pèlerin. Avevo chiesto a un vescovo se non lo disturbasse il fatto che alcuni dei suoi preti vivessero con una moglie.
Avevo avuto una risposta non priva di humor e di franchezza. “Quello che mi disturba maggiormente – disse – è sapere che alcuni vivono con due mogli. Vede, il dilemma del prete africano è: come vivere da prete cattolico durante il giorno e da africano durante la notte”. Ma lì si trattava di eterosessualità. Si restava quindi in un certo senso nel disegno di Dio. Ad ogni peccato, misericordia! Mentre, con l’omosessualità, è l’abominio e la desolazione…
In Francia: disobbedire al proprio vescovo per obbedire al Papa?
Per quanto riguarda i vescovi francesi, la domanda è diversa. Il contesto culturale, radicalmente differente, dovrebbe rendere l’apertura pastorale del Papa più facile da accogliere, anche se il microclima cattolico, invece, è africano! E i vescovi non hanno voglia di urtare troppo i pochi fedeli rimasti! L’argomento più spesso indicato è l’ambiguità del testo romano che pretende di benedire le coppie senza benedire l’unione che le consolida. Ma, se ci si riflette bene, vi è comunque, per questa apparente contraddizione, una spiegazione possibile che dà ragione al Papa.
La parola unione ha evidentemente una connotazione giuridica. Presuppone la ratificazione da parte di un terzo istituzionale, esterno alla coppia, dell’esistenza di un legame tra quelle due persone. Nulla di simile vi è nella nozione di coppia, che è semplicemente il tener conto del reale: due persone vivono insieme una vita di tipo coniugale. Punto. Se quelle due persone vanno da un prete per chiedergli una benedizione, è probabile che vadano a presentarsi dicendogli: siamo in coppia, e non “viviamo in unione…”. Ed è per la loro coppia che chiedono benedizione. La coppia pre-esiste all’unione che, eventualmente, ne ufficializza l’esistenza. Del resto, è la stessa cosa per il sacramento del matrimonio (1). I fidanzati costituiscono già una coppia, ancor prima che il prete consacri la loro unione.
La decisione presa dai vescovi di Bayonne e della regione Ouest di chiedere la benedizione delle persone separatamente è un profondo errore. Con tale decisione si mostrano in realtà più autoritari del Papa stesso, che lascia loro la scelta del discernimento. Perché non hanno fatto lo stesso coi loro preti? Dato che la benedizione permessa da Roma presuppone la massima discrezione, quale rischio di scandalo c’era nell’affidare ad ogni prete o diacono la cura di decidere in coscienza, caso per caso? Ecco, con questa decisione, i vescovi mettono i loro collaboratori di fronte alla sfida di disobbedire a loro, se vogliono obbedire al Papa! Vedete un po’ che progresso pastorale!
Un papa che spinge i vescovi a farsi dottori della Chiesa
Questi sofismi non sono comunque da prendere alla leggera. Troducono un male profondo, un male doppio. Il primo è servire da rivelatore della mancanza di capacità di comprendre e da rivelatore del sospetto di una parte dell’ “apparato ecclesiastico” nei confronti di Francesco. E ne è conferma. Molti, nella Chiesa, non hanno preso sul serio il rovesciamento di prospettiva operato nel suo pontificato. O lo disapprovano. Sotto i papi precedenti, era ovvio che Roma servisse a ricordare la dottrina, a tempo opportuno e inopportuno. “Dura lex sed lex”. Anche se poi i vescovi e i preti, localmente, ne addolcivano le esigenze, naturalmente nella massima discrezione. La cosa non restava senza conseguenze. L’opinione pubblica non cattolica, che dai media aveva notizia solo delle “proibizioni romane”, poteva restare per tutta la vita nella più totale ignoranza di una qualsiasi benevolenza pastorale.
Con Francesco, è Roma che fa il discorso pastorale. Ed ecco che molti vescovi si sentono investiti della missione di difendere la legge e la Verità. Così molte dichiarazioni episcopali – come quella dei vescovi di Bayonne e dell’Ouest – assumono la forma di encicliche, in cui abbondano citazioni e riferimenti. Con l’effetto di indurire e restringere, più che di spiegare, l’apertura pastorale a cui erano invitati. Tutto questo mi ricorda dolorosamente la frase di papa Francesco nel suo libro-intervista con Dominique Wolton, a proposità di certi (giovani) preti. Diceva: “Hanno talmente paura del Vangelo che si rifugiano nel codice di diritto canonico”. E così fanno anche i vescovi!
L’omosessualità: peccato assoluto?
Il secondo male profondo rivelato da questa faccenda, è l’omofobia radicale di una gran parte di cattolici. Il loro modo di considerare gli omosessuali, fondato sui divieti biblici, li trasforma in esseri che acconsentono al loro peccato e rifiutano, per ragioni incomprensibili, il cammino di santità nella continenza che maternamente la Chiesa propone loro. Mentre anche qui Francesco parte dal reale, di uomini e di donne in richiesta e ci invita ad interrogarci, sinodalmente, sulla compatibilità delle loro richieste con le esigenze del Vangelo.
È forse un caso che sia la stessa persona, cioè papa Francesco, a sostenere “vox clamans in deserto” che siano considerate persone degne di rispetto sia l’immigrato nei nostri Paesi sia l’omosessuale nelle nostre parrocchie, nel momento in cui le società e le comunità ecclesiali sembrano volersi proteggere dalla “minaccia esteriore” facendo prevalere una “preferenza” (nazionale o confessionale) che le rassicura, con il rischio consapevole dell’esclusione? Faccio notare che, nella loro grande generosità, i cattolici francesi e i loro vescovi non possono sopportare “10 – 15 secondi” (2) di benedizione per coppie omosessuli. Senza dubbio perché, secondo loro, non è quello il disegno di Dio. Al di sopra delle loro forze spirituali!
Non sarò io a rifiutare loro la mia benedizione
All’inizio di questo (troppo) lungo articolo, scrivevo che il terzo merito delle polemiche scatenate da questa Dichiarazione romana era l’obbligo per ciascuno di noi di posizionarsi chiaramente, di uscire dalle scappatoie e dalle false certezze. I lettori sanno che non ho l’abitudine di rifugianrmi nel vago, al massimo mi capita di esprimere, talvolta, il dubbio che mi abita. Come molti cattolici, perché ne esistono anche di questo tipo (3), mi rallegro insieme alle associazioni LGBT+ per un documento pastorale di cui scrivono: “Senza toccare il lato dottrinale, fonte di molte resistenze e irrigidimenti conservatori, il pontefice esprime la sua volontà di uscire da una logica di regolamentazione dall’alto, dagli schemi dottrinali o disciplinari”.
Posso capire che la Chiesa ritenga che solo il matrimonio eterosessuale uomo-donna corrisponda a ciò che essa comprende del disegno di Dio per l’umanità. E ammetto quindi che a questo punto della storia e della sua riflessione esegetica, la Chiesa non possa immaginare un matrimonio religioso omosessuale (4).
Invece, continuo a non vedere perché il “crescete e moltiplicatevi” dovrebbe avere come contropartita la continenza assoluta per quelle e quelli la cui inclinazione sessuale è diversa (5). Questa è la mia lotta. E non sarò io a rifiutare loro la mia benedizione.
- Si potrebbe fare il parallelo tra la legge penale e il divieto. Non è la legge alla base del divieto, ma l’inverso. In una società laica, è perché i cittadini, in coscienza (anche se per dei cristiani la coscienza è illuminata da Dio) disapprovano l’assassinio che legiferano sul suo divieto.
- Precisazione, maldestra e scandalosa, indicata nella nota esplicativa del Vaticano in data 4 gennaio, per mostrare quanto la benedizione aperta da Roma sia in realtà molto modesta.
- Permettetemi di salutare qui fraternamente molti amici e amiche cattolici che hanno uno o anche due figli omosessuali che amano senza riserve e che soffrono dell’incomprensione della Chiesa nei loro riguardi.
- Parlo qui del matrimonio religioso. Il riconoscimento della coniugalità omosessuale nella legge civile non mi pone alcun problema. Gli interrogativi condivisi con altri al momento del dibattito sulla legge Taubira riguardavano non questa coniugalità ma le modalità (PMA, GPA…) della filiazione a cui il matrimonio apriva automaticamente.
- Bisogna ricordare qui che alle coppie eterosessuali sterili o in menopausa non sono vietate le relazioni sessuali.