Brioche al cioccolato
Riflessioni del reverendo Roberto Rosso* pubblicate sul sito della Comunione Unitariana Italiana il 30 settembre 2018
Cari amici, come sapete, frequento abitualmente alcuni bar, che spesso utilizzo come fonte di varia umanità per i miei sermoni. Anche questa volta non farò eccezione. Una signora anzianotta, gentile, garbata, che frequenta nei miei stessi orari, recentemente ha detto ”Se il buon Dio mi concede che in quella visita di domani vada tutto bene, non mangerò più brioche al cioccolato per un mese”.
All’inizio mi venne da ridere, pensando a cosa cavolo gliene potesse fregare al mio povero Principale che la signora in questione mangiasse o non mangiasse cioccolata, a quale significato cosmico-metafisico potesse avere questo gesto, poi mi misi a riflettere sul concetto di fioretto. Cosa ne penso? Ricordo di aver provato sincera ammirazione qualche volta per simili pratiche, ma non stavolta. Cosa è cambiato? Starò invecchiando? Sarò inacidito con l’età?
Forse, ma credo anche che, a pensarci bene, questo sia un fioretto monco, perché è composto da una pars destruens, la rinuncia, ma non contiene alcuna pars construens, nessun proposito di migliorare il proprio livello spirituale o la presenza di carità nel mondo. Mi spiego meglio: se tu invochi un referente spirituale, devi ripagarlo con moneta spirituale. Un buon proposito come “introduco meno calorie e zuccheri e miglioro la mia linea” può interessare il vostro dietologo o vostro marito, ma non il Principale…
Prima di continuare con la teoria, voglio raccontarvi come è andata a finire la storia del fioretto di questa signora.
Il giorno dopo la sento raccontare che la visita era andata bene, e ordinare la brioche al cioccolato per festeggiare; il giorno ancora successivo, pur confessando di sapere che avrebbe dovuto rinunciarvi, la sento ordinare la brioche “perché era una brutta giornata e meritava di essere addolcita”; e così nei giorni successivi.
Al solo pensiero, mi pervade un moto di rabbia: non solo il mio povero Principale è stato messo in mezzo senza motivo, ma poi è stato anche preso in giro e accantonato, salvo poi ricordarsi di lui al prossimo momento difficile.
Ecco, potrei anche concludere qui il sermone, semplicemente dicendo “non fate i buffoni, siate coerenti, se prendete un impegno, mantenetelo”.
Una volta sarei stato più indulgente? La vicinanza del mio amico angloitaloebreo non mi fa bene? O è l’aria di Sesto, da cui sto scrivendo, che fa male ai pastori unitariani? Allora, sono contrario a questi fioretti? Ci ho riflettuto a lungo, anche in frequenti discussioni con molti di voi, ed oggi posso dire che non sono affatto contrario a queste pratiche, purché rispettino alcune caratteristiche, che ritengo sia utile esplicitare.
Devono essere generate, perseguite e guidate dal corretto intento: chi mi conosce un poco lo sa bene, mi irrita profondamente la visione strumentale del Divino, la considerazione di Dio come un mercante con il quale si possa negoziare o barattare la felicità, o peggio, come un essere facilotto e incontinente che possa regalare giorni sereni in cambio di una brioche. Io non credo che il favore divino possa essere guadagnato a suon di brioche, e non lo credo a tal punto che, se mai qualcuno potesse dimostrarmi che sia così, mi licenzierei all’istante e andrei a fare il bagnino in California. Se davvero pensate che il vostro fioretto debba essere finalizzato ad ottenere un particolare premio mondano, se pensate che la vostra astinenza da brioche possa far sentire obbligato il Principale a garantirvi lo stato di cose che desiderate, magari al punto da lamentarvi col Capo se le cose andassero male nonostante la vostra eroica astinenza, allora non ci siamo.
Se invece la vostra astinenza da cose materiali è fatta per creare spazio, uno spazio di attenzione e consapevolezza, da riempire col Divino, allora ben venga il fioretto. L’astinenza non deve essere considerata fine a se stessa, ma deve essere funzionale ad essere sostituita con un comportamento spiritualmente rilevante, per sé e/o per il prossimo. Noi facciamo spazio per sentire meglio la presenza del Principale in un nostro momento difficile, eliminiamo il rumore della vita mondana per sentire un suono spirituale, che pur accompagnandoci sempre e da sempre, viene troppo spesso ricoperto dai rumori della vita. In un momento difficile vogliamo agire al fine di far meglio presente a noi stessi che lui è con noi e ci sostiene.
Lo spazio che facciamo è uno spazio di ascolto che vogliamo abbia valenza spirituale, impiegando il tempo e le risorse generate dalla rinuncia per rendere noi stessi spiritualmente migliori e il mondo un posto in cui meglio possa sentirsi, attraverso noi, la presenza e la carità del Principale. Se quella signora avesse passato il quarto d’ora speso al bar in una chiesa, concentrandosi sul suo talento spirituale, non avrei nulla da dire, anzi, sarebbe di esempio per tutti noi. Se quella signora avesse donato l’euro risparmiato dalla brioche al barbone vicino casa, avrei applaudito a scena aperta. Ma così non è stato, nulla di spiritualmente rilevante è avvenuto, solo una occasione in più per mostrare la propria incoerenza e la propria inconsistenza valoriale.
Ed è per questo che aggiungo un ultimo punto: un fioretto sia temporalmente definito, in modo tale da non essere tanto breve da risultare casuale, né tanto lungo da mettere a rischio il suo reale compimento. Perché non ci viene chiesto di fare fioretti, ma di essere coerenti. Nessuno di noi è un santo, nessuno un eroe, per cui, se proprio volete prendere un impegno, allora fatelo per un tempo determinato, in cui siate certi di poter agire con serietà e coerenza, senza buffonate.
Credo, non posso ovviamente esserne certo, ma è quello che penso, che il Principale non chiederà a questa donna ragione di non avere resistito alla cioccolata, ma molto più semplicemente ragione del fatto di aver permesso alle azioni di non essere coerenti con le parole. Questo è un peccato, ed è un peccato grave.
E qual è la pena per questo peccato? Non sta a me dirlo, come sapete noi non crediamo nell’inferno e il mio sangue meridionale mi fa essere mediamente più indulgente di quanto non sia il mio amico angloitaloebreo. Però una cosa posso dirla: vivere una vita in cui la propria forza di volontà sia incapace di rinunciare a una brioche, vivere una vita in cui si svenda la propria intima coerenza per un po’ di cioccolata, e vivere una vita in cui non si abbia il minimo senso della Trascendenza, al punto da buttare financo il Principale all’interno del calderone del chiacchiericcio quotidiano, penso sia già questo, già in questa vita, la peggior punizione che uno possa avere.
“Allora facciamolo quest’uomo capace di rinunciare alla cioccolata e di essere coerente” .Nasè Adam [Facciamo l’Uomo
* Roberto Rosso, laureato in filosofia e psicologia, ha fondato nel 2004 la Comunione Unitariana Italiana.