Camminare domandando. L’identità di Gesù, la nostra identità
Riflessioni della pastora battista Lidia Maggi tratte da Adista Notizie del 19 luglio 2014
La Bibbia è il Libro delle domande, più che delle risposte. Ed anche la venuta di Gesù, invece di spegnere l’interrogazione, sembra piuttosto radicalizzarla. Come nel nostro testo, dove Gesù interroga i suoi a proposito della sua identità: chi dice la gente che io sia? E voi chi dite che io sia?
Si può banalizzare questa duplice domanda interpretando la prima in funzione della seconda, e quest’ultima ridotta a banale dispositivo pedagogico: vediamo se sapete la lezione… Come se l’identità personale fosse un dato acquisito.
In realtà, Gesù stesso ha dovuto discernere la propria identità, in un processo di identificazione per nulla scontato; ha avuto bisogno di vedere confermato quanto il Padre gli ha rivelato nel battesimo e durante la trasfigurazione.
Gesù ha bisogno di Pietro, dei discepoli e della gente per leggere la sua storia e capire fino in fondo se stesso… E quello che vale per Gesù, a maggior ragione riguarda ogni essere umano: come puoi dire chi sei tu, senza interrogare chi sta intorno a te?
Va bene andare oltre il giudizio della gente, se si intende con questo conservare una libertà di giudizio, uno stile non conformista. Ma non potrà essere sempre così, quasi fossimo autoreferenziali, privi di legami e relazioni. La gente, come per Gesù a Cesarea, ti rimanda un’immagine che allarga la tua identità personale entro l’orizzonte ampio della storia.
Riferendola al Battista, a Elia, a Geremia, ai profeti, l’identità di Gesù viene collocata nella rete di una storia, quella di Israele. Anzi, secondo Pietro, di questa storia Gesù è chiamato ad essere la svolta messianica. Pietro risponde quanto gli è stato rivelato dal Padre. È a questa rivelazione che il nostro brano vuole condurre il lettore. Ma decisivo non è solo il “che cosa” Dio ci rivela; altrettanto importante è il “come”.
La rivelazione, che ci rappresentiamo come visione di cieli che si aprono, qui scaturisce da un contesto di ricerca. Essa non è un lampo, che si manifesta ad occhi privilegiati: piuttosto un processo che nasce dal domandare (chi dite che io sia?) e sollecita il costruire (l’edificazione della Chiesa, segno del Regno). Oltre la banalizzazione della risposta esatta o del dogma da apprendere, ci viene prospettato un itinerario esistenziale, in cui sia Dio che l’essere umano si giocano la propria identità.
La reazione di Gesù alla risposta di Pietro è di gratitudine: lo chiama beato, questo piccolo a cui il Padre rivela i segreti del Regno, nascosti ai sapienti di questo mondo. Pietro confessa la sua fede in Gesù confermando quanto Gesù ha bisogno di conoscere di sé; e, a sua volta, Gesù rivela qualcosa a Pietro sulla sua identità di discepolo.
Il nuovo nome conferitogli – da Simone a Pietro – rimanda all’identità della Chiesa, un edificio formato non da mattoni, come il tempio, ma da persone che riconoscono la messianicità di Gesù e su tale fede provano a tessere nuove relazioni, divengono costruttori del sogno di Dio. La fiducia in Dio, come solida pietra, permette a Gesù di edificare la sua Chiesa che, per quanto fragile come lo sono la carne ed il sangue, non potrà essere vinta dal male. A Pietro e a tutti coloro che confessano questa fede vengono date le chiavi del Regno, cioè del mondo come Dio lo vuole.
Chi crede in Gesù non è ospite o rifugiato del Regno di Dio, ma padrone di casa. Non è schiavo ma libero: le chiavi gli permettono di entrare e uscire, di aprire e chiudere, di creare legami nuovi, basati su criteri alternativi all’appartenenza familiare, sociale o economica.
È dato a Pietro, come ad ogni discepolo, il potere di sciogliere tutti quei meccanismi perversi, che affogano la vita nell’abisso degli Inferi. La salvezza rimane esperienza di grazia: è la fede ad essere la roccia su cui costruire. Ma la grazia è “a caro prezzo”: domanda la responsabilità di aprire e chiudere, legare e sciogliere, discernendo nel concreto della storia quanto il Padre desidera rivelarci.