Cari padri Sinodali “non abbiate paura”. Lettera aperta di un omosessuale cattolico
Lettera aperta di Gianni Geraci de “Il Guado“, gruppo di riflessione su Fede e omosessualità di Milano
Non so con quale presunzione ho deciso di scrivere a un Sinodo. Non lo so proprio, perché davvero quello che sto facendo mi sembra un gesto un po’ inutile e un po’ megalomane di cui, un po’, mi vergogno.
Sento però il dovere di farlo anche perché, prima di iniziare, ho pregato molto lo Spirito Santo di liberarmi da quell’orgoglio che riesce a rovinare anche le nostre azioni migliori. Tra l’altro non so nemmeno come ci si rivolge ai padri sinodali e mi rendo conto di correre il rischio concreto di farmi compatire.
Ma è stato proprio questo rischio che mi ha spinto a scrivere lo stesso: non si era fatto per caso compatire lo stesso re Davide quando si è messo a ballare nudo davanti all’Arca? E lui non era un poveretto come me, lui era il re, e aveva molto da perdere.
Io sono uno che, al massimo, rischia di suscitare qualche sorriso ironico da parte di chi, molto meglio di lui, è titolato a scrivere su certi argomenti.
Vi scrivo perché vorrei che ascoltaste la voce di una persona omosessuale che ha combattuto per tutta la sua vita per conservare la sua Fede cattolica e che, ancora adesso, nonostante le battutine sarcastiche e nonostante le accuse di ipocrisia e di tradimento della Fede, è ancora cattolico, è ancora innamorato di Gesù, è ancora profondamente grato alla Tradizione che mi ha permesso di incontrarlo e che mi permette di incontrarlo ancora.
Quando due domeniche fa ho sentito il papa che vi parlava di “parresia” ho pensato che sicuramente, tra di voi, ci sono degli omosessuali: chiariamoci subito, non ho nessuna informazione riservata, ma faccio riferimento a quanto si dice sull’incidenza dell’omosessualità nelle popolazioni umane, un’incidenza che conferma senz’altro questa mia intuizione.
E proprio pensando a quanti, fra voi, sono omosessuali, mi sono detto: «Come sarebbe bello se uno di questi padri, prendendo finalmente sul serio l’invito del papa alla chiarezza e al superamento di qualunque ipocrisia, trovasse il coraggio di raccontare con il cuore in mano il percorso che l’ha portato a vivere in pienezza la propria vocazione cristiana».
Un percorso, diciamocelo chiaramente, che la Chiesa stessa invita a seguire, quando, nel Catechismo, osserva che le persone omosessuali: «sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita».
Con una testimonianza di questo tipo non ci sarebbero le discussioni e i distinguo che invece mi capita di leggere in merito a quanto il relatore generale del Sinodo ha detto quando ha parlato delle persone omosessuali, perché chiunque ha alle spalle un’esperienza seria di ascolto e di accoglienza di quanto dice il magistero della chiesa cattolica sull’omosessualità, non avrebbe niente da eccepire su quelle parole.
Quando ad esempio il relatore si è chiesto se le comunità cristiane sono in grado di accogliere le persone omosessuali senza compromettere la dottrina cattolica sul matrimonio e sulla famiglia non mi pare che abbia detto niente di nuovo rispetto alle parole con cui il Catechismo invita ad accogliere gli omosessuali «con rispetto, compassione e delicatezza» (cfr. CCC 2358).
Anche la frase con cui si osserva che la questione omosessuale interpella il Sinodo «in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale» mi pare riprendere quanto, in maniera senz’altro più poetica, ricorda lo stesso Catechismo: «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (cfr. CCC 235).
Direi addirittura che il catechismo va più in là delle parole usate per riassumere il dibattito della prima settimana del Sinodo, perché parla in maniera esplicita di alcuni elementi essenziali di questi “cammini realistici”: alcuni collegati alla maturità affettiva (padronanza di sé, libertà interiore), altri collegati in maniera più specifica alla dimensione spirituale (preghiera e grazia sacramentale), altri ancora tesi a valorizzare quanto di buono ci può essere in una relazione di amicizia.
Quest’ultimo punto è quello che il relatore generale del Sinodo ricorda quando riconosce ciò che è evidente a quanti conoscono da vicino delle persone omosessuali, ovvero che «vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners» in una coppia omosessuale.
Si tratta, in sostanza, di fare proprie le parole con cui Gesù dice ai suoi discepoli di non andare a sradicare la zizzania che il nemico aveva seminato nel campo dove c’era il buon seme: «perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa, sradichiate anche il grano» (Mt 13,29): nella vita delle persone omosessuali, come del resto nella vita di tutti gli uomini, ci sono cose buone e ci sono cose meno buone e che il compito della Chiesa è quello di aiutare ciascuno a valorizzare quando di buono ha nella sua vita, rinunciando gradatamente a quanto invece c’è di non buono.
Purtroppo la paura con cui spesso si guarda all’omosessualità spinge molti uomini di chiesa a ribadire esclusivamente gli aspetti negativi con cui talvolta si manifesta. Di questo atteggiamento ci sono echi anche nella Relatio post disceptationem del Sinodo (quando si parla di una non meglio identificata “ideologia del gender” che però rimanda più ai problemi collegati all’identità di genere che a quelli collegati all’orientamento sessuale), così come nel Catechismo (dove, nella versione definitiva, si parla dell’inclinazione omosessuale come di qualcosa di “oggettivamente disordinato”).
Il rischio di questa paura è però quello di scoraggiare nelle persone omosessuali quella sana autostima che è condizione necessaria per intraprendere qualunque percorso di cambiamento. Non direi questo se non avessi davanti agli occhi centinaia di omosessuali che avevano perduto qualunque stima per se stessi e che, di conseguenza, avevano rinunciato a vivere in maniera responsabile la loro omosessualità.
Tra l’altro, gli elementi di preoccupazione che alcuni vescovi richiamano quando parlano di omosessualità, dovrebbero spingere i singoli pastori a vivere con maggiore sollecitudine l’esigenza, che si fa ogni giorno più urgente, di aiutare le persone omosessuale a trovare dei cammini concreti per «avvicinarsi alla perfezione cristiana».
Purtroppo quello che mi capita spesso di osservare nella Chiesa cattolica è che ci sono tantissime persone convinte che una persona omosessuale non abbia nessuna possibilità di realizzare questo ideale: lo leggo nelle dichiarazioni di alcuni ecclesiastici che ci accomunano al Diavolo e alle sue seduzioni; lo vedo nelle parole di tanti laici cattolici che credono di difendere la chiesa dicendo che l’omosessualità rappresenta un attacco a quanto di buono c’è nella società e nella famiglia; lo leggo nell’imbarazzo con cui si evitano certi argomenti; lo scopro nella rabbia con cui si dice agli omosessuali di stare nascosti e di non uscire dall’ipocrisia in cui vengono cacciati. Lo osservo infine nei resoconti di alcuni quotidiani, che hanno riportato alcune reazioni stizzite che sembrano più motivate da una viscerale diffidenza nei confronti dell’omosessualità che dall’esigenza (legittima, ma in questo caso completamente infondata) di ribadire quanto la chiesa ha detto negli ultimi anni sull’omosessualità.
Anche se uomini di Fede come voi dovrebbero essere immuni da certe suggestioni vi ripeto che la testimonianza di un vostro confratello sarebbe molto utile per spazzare via qualunque dubbio e qualunque perplessità.
Le parole con cui il cardinal Erdo ha riassunto il dibattito della prima settimana di Sinodo, senza rompere con la tradizione della Chiesa, hanno aperto alla speranza il cuore di tantissimi omosessuali credenti.
Non permettete che la paura di dovervi finalmente confrontare con le loro storie, con le loro speranze e con il loro amore per la Chiesa, vi spinga ancora una volta a tradire quanto la Congregazione per la dottrina della Fede, nel 1986, chiedeva ai vescovi: «di sostenere con i mezzi a loro disposizione lo sviluppo di forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali» (cfr. Homosexualitatis Problema 17).
E pregando lo Spirito Santo di continuare ad aiutarvi nel delicato lavoro di discernimento che siete chiamati a compiere chiedo a ciascuno di voi di dire una preghiera per tutte le persone omosessuali: per quelle che non riescono più ad amare la chiesa, per quelle che rischiano di allontanarsi e per quelle che cercano ancora di dimostrare con la loro vita che c’è, in Dio, un disegno di salvezza per tutte le persone, anche per le persone omosessuali.