Caro Vicario di Roma perché per gli omosessuali cristiani non può esserci accoglienza nelle parrocchie romane?
Lettera aperta inviata al Vicario Generale di Roma Card. Agostino Vallini da Nuova Proposta di Roma il 25 maggio 2010
Rev.mo Cardinal Vallini, ci rivolgiamo a Lei nuovamente, siamo le donne e gli uomini dell’associazione “Nuova Proposta”, omosessuali cristiani di Roma.
Forse ricorderà la nostra (ndr lettera), inviatale lo scorso settembre (ndr 2010), in cui in semplicità Le abbiamo presentato il nostro gruppo, il nostro programma di attività e il servizio che da vent’anni portiamo avanti di accoglienza delle persone omosessuali che sono alla ricerca di una strada per vivere più serenamente la loro Fede e il loro orientamento affettivo.
Il nostro tentativo era quello di stimolare il dialogo e promuovere iniziative di incontro e sensibilizzazione su questa tematica su cui, anche in ambito parrocchiale, incombe lo spettro della disinformazione e del pregiudizio, causa diretta di sofferenza e di morte (negli adolescenti omosessuali il rischio suicidio è del 30% superiore alla media) per molti fratelli.
Nella lettera proponevano, inoltre, un momento di raccoglimento in preghiera insieme alle comunità parrocchiali stesse.
Sempre dall’articolo apprendiamo come la nostra lettera sia stata oggetto di un pericoloso fraintendimento e, anziché essere letta come oggetto di serena riflessione, senza obbligo di convincimento alcuno, sia stata considerata, una minaccia, al punto tale da spingere il Vicariato (cfr. sempre Adista) a contattare, direttamente o attraverso i prefetti, i singoli parroci, mettendoli in guardia dal prendere in considerazione la nostra lettera e diffidandoli dall’incontrarci o dall’ospitare nostre iniziative all’interno dei locali parrocchiali.
Siamo profondamente addolorati nel leggere di questi avvenimenti di cui eravamo del tutto all’oscuro. Avevamo interpretato il silenzio delle parrocchie (tranne alcune significative eccezioni) come uno sprone ulteriore a farci conoscere da loro, a ricercare nuove vie di incontro, convinti che solo l’Unità e la Comunità ci fanno davvero Chiesa e che l’insegnamento di Gesù di accogliere i reietti della società sia il fondamento del Vangelo.
E’ questo l’unico nostro intento quando proponiamo di mettere a disposizione le nostre vite, le nostre storie, per creare una base di informazione e formazione che possa essere utile alle comunità parrocchiali per comprendere e accogliere le persone omosessuali che troppo spesso sono costrette a vivere nel tormento interiore e in solitudine totale (in famiglia, a scuola, in parrocchia).
Tanti di loro rimangono senza nessun supporto, umano o pastorale, nel percorso di comprensione di sé, della propria identità, del proprio orientamento sessuale, della possibilità di avere una vita che contenga elementi di sana progettualità, di pieno sviluppo, e non solo di fuga dalla realtà, di negazione e di nascondimento.
Ma l’articolo di Adista parla di qualcosa di diverso. Lascia intendere come la nostra lettera sia stata presa in considerazione non per accogliere l’invito a “costruire ponti e dialogo”, bensì per generare una diffida e un ammonimento nei nostri confronti. Non conosciamo ovviamente nulla di questa vicenda e, nello scriverLe, ci stiamo limitando a quanto apprendiamo dall’agenzia.
Ma, qualora questo fosse vero,siamo sicuri capirà quanto il nostro stato d’animo sia ferito per l’esserci sentiti emarginati da quella che consideriamo a tutti gli effetti la nostra Chiesa, da quella che abbiamo sempre considerato la nostra casa e di cui siamo Figli, tutti uguali e uniti nel Battesimo in Cristo.
Leggendo le parole citate da Adista – “diffidare”, “ammonire”, “mettere in guardia” – ci siamo sentiti come dei lebbrosi della società ebraica ai tempi di Gesù, di cui si teme anche la vicinanza alle proprie case, perché essa potrebbe rendere “impura” la propria vita e le proprie cose.
Frequentando i Vangeli non riusciamo a trovare mai nessuno che, spinto dal desiderio di incontrare Dio, sia stato escluso dalla vicinanza, dal pensiero, dalle parole e dall’Amore di Gesù Cristo, nostro Signore. Neppure quelle persone, considerate “impure” per la società dell’epoca, come i lebbrosi, i pubblicani, le prostitiute.
E’ solo questo che chiediamo alla nostra Chiesa: un incontro, un abbraccio, essere amati, poter pregare e vivere insieme alla comunità. Non pretendiamo di conoscere già la strada da percorrere o di non avere bisogno di un lungo cammino di confronto e riflessione per trovare posizioni condivise, ma possiamo e intendiamo pretendere uno spazio nei vostri cuori e nella vostra cura pastorale.
Abbiamo il diritto, da Popolo di Dio ,di chiedere tutto ciò a chi si è assunto il compito e l’onere di essere Pastore del gregge.
Perché per noi omosessuali non può esserci pastorale, incontro, accesso alle nostre parrocchie? Perché non possiamo ambire a essere considerati nella interezza delle nostre persone e vite, e non solo per il nostro orientamento affettivo? Ovviamente le circostanze che le rappresentiamo potrebbero fondarsi su un macroscopico fraintendimento.
Possiamo sperare, quindi, in un chiarimento su questa vicenda che ci sembra impoverisca e ferisca la comunione della Chiesa, che ci ha così rattristato e amareggiato e ci ha fatto sentire una volta di più esclusi dalla nostra casa?
Ricordiamoci tutti, pregando di essere sempre illuminati dallo Spirito Santo, che ogni volta che parliamo o scriviamo di omosessualità, potrebbero esserci un ragazzo o una ragazza omosessuali in parrocchia che ascoltano, magari nel silenzio del dialogo con il proprio sé, e che, a seconda della capacità di Amore delle nostre parole, potranno sentirsi ora disperati, ora rinfrancati, ora figli, ora orfani.
La salutiamo fraternamente in Gesù, affidandoci alla preghiera come strumento di Luce, sperando di poterLa incontrare al più presto per un momento di comunione.
Lo Staff di Nuova Proposta
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