Casi, vittime e carnefici nelle “Cronache di Ordinaria Omofobia”
Riflessioni di Massimo Battaglio
Ieri sera, Venerdì 10 settembre 2021, a Torino, si è tenuta la prima serata “Cronache di Ordinaria Omofobia” aperta al pubblico – in presenza – dopo due anni. Finalmente! Sono proprio contento, sia per la partecipazione, sia per il tipo di persone intervenute, sia per gli spunti di riflessione venuti dal pubblico stesso.
“Cronache di Ordinaria Omofobia” comincia ad interessare non solo gli addetti ai lavori. Ieri sera erano presenti non solo attivisti lgbt e loro parenti ma anche persone interessate a vario titolo che volevano semplicemente dare un segno di vicinanza nella lotta contro ogni forma di discriminazione. E, per la prima volta, si sono fatti vivi alcuni sacerdoti, qualche operatore pastorale, diversi responsabili di organizzazioni cattoliche. Il che conferma che i cattolici non la pensano sempre come la presidenza della CEI.
Dibattito ricco, come sempre. Provo a sintetizzare le domande e le risposte, in modo da mettere in comune riflessioni che possono essere utili.
Come si costruiscono le Cronache di Ordinaria Omofobia? Che metodo usate nella raccolta dati?
Lo abbiamo detto qui, su Gionata, in un articolo di qualche tempo fa. Le fonti sono in parte giornalistiche e in parte dirette, ottenute dai diretti interessati o da chi è in contatto con loro.
Le fonti dirette sono senz’altro le più precise. Consistono in segnalazioni da parte di attivisti delle varie associazioni LGBT. E’ abbastanza consueto che, chi è stato vittima di omofobia, si rivolga, prima di denunciare, a qualche telefono amico o qualche centro di ascolto. Ed è cosa buona perché l’aiuto di un operatore amico ed esperto può essere fondamentale per non arrendersi.
Sulle fonti giornalistiche bisogna sempre fare un lavoro di cernita e di interpretazione. A volte i fatti sono raccontati in modo sommario, per cui richiedono approfondimenti, per esempio contattando attivisti locali. Qualche volta, le notizie si nascondono in articoli più ampi e sono riportate a titolo di esempio. Anche qui bisogna approfondire. Spesso, i giornalisti usano linguaggi e criteri non molto precisi perché è la prima volta che scrivono di omofobia. Apprezziamo molto lo sforzo e cerchiamo di decriptare le cose. Mai ci fidiamo di una sola fonte giornalistica. Comunicare una bufala sapendo che i nostri nemici ci tengono sotto osservazione (e stanno certamente leggendo anche questo articolo: cucù…!) sarebbe una rovina.
Quale potrebbe essere la quota di episodi che le Cronache di Ordinaria Omofobia non riescono a intercettare?
Enorme. Le Cronache di Ordinaria Omofobia rappresentano sicuramente la punta dell’iceberg. Spesso, le vittime non hanno la forza o la possibilità di denunciare o sono scoraggiate a farlo. Non è raro che un episodio venga alla luce dopo mesi o addirittura anni, dopo un lungo percorso di maturazione personale e strutturale.
Anche solo osservando i dati, viene il sospetto che siano molto generosi per difetto. Per esempio: perché mai il 71% delle denunce provengono da maschi e solo un 17% da femmine cisgender (mentre le denunce da parte di donne trans raggiungono la quota pazzesca dell’11%? Sicuramente l’omofobo tende a colpire maggiormente chi si allontana dallo stereotipo virile – per cui le donne sono meno al centro della sua attenzione. Ma lo sbilanciamento è enorme. Non si può non sospettare che molte donne preferiscano tacere o siano indotte a farlo.
Oppure: perché l’età media delle vittime è così bassa? Più della metà delle vittime denuncianti (per la precisione il 57%) ha un’età inferiore a trent’anni. Segue un 16% tra i trenta e i quaranta; si registrano poi quote quasi residuali nelle fasce successive. L’adulto interessa meno? L’omofobo ha paura di confrontarsi con lui? Può essere (l’omofobo è sempre piuttosto vigliacco). Ma può anche essere che le persone omosessuali anziane, avendo vissuto in tempi in cui la discriminazione delle persone omosessuali era l’ordinarietà, abbiano imparato a non farci caso o conservino un antico sentimento di vergogna. Oppure, che, con l’andare degli anni, abbiano escogitato strategie di nascondimento (rinunciando alla propria libera espressione). E queste strategie stesse sono segno di omofobia.
Infine: quanti sono, in realtà, i suicidi indotti da omofobia? Sappiamo che rendere pubblica la notizia del suicidio di un parente o di un amico è molto difficile. Si teme di fargli un torto e di dover ammettere qualche responsabilità nel non essere stati in grado di far nulla. A maggior ragione, è faticosissimo parlare dell’orientamento sessuale di una persona cara che si è tolta la vita. Si ritiene di invadere la sua riservatezza. A volte, specialmente per le vittime più giovani, non se ne ha proprio notizia. E così, i giornali locali si limitano a commentare con formule che lasciano benissimo intendere ma non consentono di approfondire: “aveva problemi psicologici”, “non parlava molto di sé”…
Come far emergere tutti quegli episodi che, pur non avendo rilevanza penale, sono comunque molto gravi?
E’ un nodo importante. Le Cronache di Ordinaria Omofobia non possono che limitarsi a registrare fatti di rilevanza penale, con un colpevole preciso, una vittima ancora più precisa e una data non troppo vaga. Rimangono fuori tutte le persone che, per esempio, vivono uno stillicidio di piccole provocazioni, di battutine disgustose a scuola o sul lavoro o in famiglia, o che si sentono oppresse da un bombardamento mediatico tossico.
Il silenzio su queste cose è orribile perché l’omofobia strisciante, quotidiana, non è meno grave di quella conclamata. Produce effetti psicologicamente devastanti come un’esagerata timidezza o una carenza di autostima. Sovente si sfocia sovente in pratiche auto-punitive o addirittura autolesioniste o in vere e proprie patologie come l’anoressia.
L’unico modo per capire queste cose è parlarne, raccogliendo storie di vita e invitando i protagonisti, con gentilezza ed empatia, a raccontare se stessi. Non importa se le storie raccolte non saranno valutabili in termini algoritmici. Importa che si sappia.
Abbiamo esaminato i casi e le vittime. Sarebbe interessante ragionare anche sui carnefici.
Vero. Il motivo per cui le Cronache di Ordinaria Omofobia non registrano sistematicamente l’identità del carnefice è che, il più delle volte, se ne sa troppo poco. Spesso ne conosciamo il sesso (più spesso maschile che femminile). Talvolta ne possiamo presumere l’età (in una buona metà dei casi si tratta di giovani bulli o di vere e proprie baby gang). Ma in molti casi abbiamo a che fare con crimini perfetti: cadaveri ritrovati in casa o nascosti da qualche parte, aggressori nascosti, lettere anonime.
Quasi mai conosciamo l’orientamento sessuale degli autori dei fatti, anche se, scavando, possiamo spesso supporlo: non pochi episodi omofobi sono a loro volta frutto dell’omofobia interiorizzata che strazia i colpevoli. Quante sono, in questi casi, le vittime? Almeno due: la persona colpita e quella che l’ha colpita, entrambe oppresse da una medesima patologia sociale che si chiama omofobia.
La legge Zan porrà fine all’omofobia?
La legge Zan punità i colpevoli di fatti omofobi in modo adeguato, proporzionato al male arrecato. Si ammetterà che le conseguenze di un’aggressione omofoba sono maggiori di quelle di un’aggressione qualunque. Si riconoscerà che le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale hanno la stessa gravità di quelle connesse a questioni razziali o religiose. Le si tratterà alla stessa stregua. Non sappiamo se questo sarà un deterrente ma sicuramente permetterà un giusto risarcimento del danno.
Il riconoscimento della matrice omofoba di un atto di violenza o di discriminazione (cosa oggi impossibile dal momento che la legislazione non lo contempla) favorirà poi l’adozione di percorsi di rieducazione specifica. Si potranno prevedere misure, magari alternative al carcere, tese a emancipare il colpevole dalla propria omofobia, più che a punirlo. Il che vorrà dire, sul medio termine, avere meno omofobi in giro per strada.
La legge Zan prevede inoltre una serie di azioni positive volte al cambiamento culturale di cui tutti sentiamo il bisogno. Penso al lavoro nelle scuole (che non è indottrinamento gender, cari bigotti che state leggendo, ma semplice educazione al rispetto reciproco), alla sensibilizzazione di operatori sociali, all’apertura di strutture di ascolto e di accoglienza. Anche queste cose avranno effetto solo a termine non immediato. Tutavia, in loro assenza, non possiamo che attendere che l’omofobia aumenti, trasmettendosi di padre in figlio, da compagno di scuola a compagno di scuola.
Cosa possiamo fare per partecipare alle Cronache di Ordinaria Omofobia?
Segnalare. Segnalare e segnalare. Penseremo noi a trovare la giusta collocazione alle notizie ricevute (dentro il campione statistico, a lato del campione statistico …) garantendo al contempo la riservatezza dovuta. Un’informazione in più è sempre utile. E’ un tassello, un racconto, un elemento di discussione.
E poi: organizzare serate di lettura delle Cronache di Ordinaria Omofobia. Il sottoscritto è disponibile a venire dappertutto: in gruppi lgbt ma anche in associazioni culturali, sportive, di commercianti o, perché no, in gruppi parrocchiali. L’omofobia va discussa soprattutto dove c’è e dove ha origine, cioè per la strada, nei luoghi del tempo libero, in famiglia e in chiesa.
Come fare? Si individua una data e un posto, si reperisce un proiettore o uno schermo, si invitano le persone. E, se si desidera la presenza del Battaglio, si scrive o si telefona a La Tenda di Gionata. Il Battaglio chiede solo un biglietto del treno andata e ritorno e, ove del caso, un divano per dormire e qualcosa da mettere sotto i denti. Altrimenti si studiano ben bene i dati e gli articoli riportati su omofobia.org e ci si organizza in autogestione (magari concordando tutto con noi per andare sul sicuro). In alternativa, si possono organizzare incontri on line ma… non è la stessa cosa. Comunque fidiamoci: il pubblico c’è e non attende altro.
Scopri> Dati e storie su omofobia.org