Chiedo a Dio di liberarmi da Dio
Riflessioni del teologo José Maria Castillo* tratte dal sito Redes Cristianas (Spagna), 21 ottobre 2010, liberamente tradotte da Adriano C.
“Chiedo a Dio di liberarmi da Dio”. Questo è ciò che ha chiesto a Dio il Mestro Eckhard, uno dei più grandi mistici che ha avuto la Chiesa nella sua lunga storia. Quest’uomo, nato nel 1260 (Hochheim – Germania) e morto nel 1327 (Avignone – Francia), era un domenicano che occupò incarichi di governo e di insegnamento nel suo Ordine religioso e alla Università di Parigi. Nel 1326, l’arcivescono di Colonia iniziò un processo contro gli insegnamenti contenuti nei sermoni di Eckhard.
La questione arrivò a papa Giovanni XXII, che risedeva ad Avignone. Il mistico domenicano però prese, in anticipo la decisione che avrebbe potuto prendere il Pontefice. Eckhard si mise in viaggio per Avignone per difendersi davanti al pontefice ma, prima di poter presentare la sua difesa, morì improvvisamente.
Non pretendo di esporre qui la dottrina del Maestro Eckhard, insegnamento complesso e non sempre di facile interpretazione che si basa sulla profonda radicalità evangelica, nelle idee filosofiche che hanno origine in Plotino e nella “Guida dei perplessi” di Maimonide. Com’è logico, tutto questo non si può inserire in un post di un blog tanto semplice come questo.
Detto questo, quello che voglio impostare oggi è il tema di Dio, che dovrebbe servire ad unire gli esseri umani, ma che spesso serve a tutto il contrario. E’ un dato di fatto che Dio, in se stesso, nessuno lo ha visto nè lo può vedere (Gv 1, 18). Così ogni popolo, ogni cultura, ogni religione, ogni gruppo umano e ogni individuo “se lo rappresenta” come può. O forse come gli conviene o gli interessa.
Il problema non è che ogni credente si inventa “un proprio dio”, secondo le proprie convenienze personali. No, non è questo. Il problema è che le persone che credono in Dio, in quanto tali, hanno la tendenza (inconscia) di relazionare determinati aspetti della propria vita e dei propri comportamenti, non con Dio in sè, ma con la “rappresentazione di Dio” che si fa ciascuno di noi. O forse con la “rappresentazione di Dio” che è stata imposta a ciascuno nell’ambiente religioso nel quale si è sviluppato, nel quale vive, e al quale si sottomette senza esitazioni.
Specialmente quando il credente di una determinata religione è convinto che la religione è stata “rivelata” da Dio stesso. Incluso (ancor più complicato) quando il credente pone tutta la sua fede e la sua intera esistenza, in un Dio che si è “rivelato” così, come il credente lo pensa e lo accetta. Per questo, quello che accade è che la “rappresentazione” che noi ci facciamo di Dio, la identifichiamo con “Dio in se stesso”. Ossia, identifichiamo la nostra rappresentazione “immanente” con il Dio “trascendente”.
E’ qui, nel processo intimo (che si vive nell’intimità dello spirito) quello a cui puntavo, è qui dove inizia il pericolo. L’enorme e impressionante pericolo che, senza dubbio, intuí il Maestro Eckhard. E’ vero che il pensiero del grande mistico tedesco è andato molto più in là, oltre l’idea stessa di Dio. Non mi riferisco ora a questo.
Sto parlando dei nostri comportamenti. Sappiamo bene che ci sono aree del nostro comportamento (dalle nostre idee alle nostre abitudini) che, se le razionalizziamo partendo da una presunta volontà assoluta di Dio, le facciamo diventare automaticamente tanto assolute, tanto intoccabili, tanto indiscutibili, che, naturalmente viene logico pensare, che dietro a queste posizioni tanto ferree, tanto intransigenti, tanto aggressive e anche violente, senza dubbio dietro queste posizioni così assolutamente forti, ci sia un “dio intollerante, forse un “dio violento”. Così, a volte, occorre che le posizioni più profondamente irrazionali siano, radicalmente, posizioni estremamente religiose.
Spesso, nel vedere come si comportano o come parlano alcune persone, mi sono chiesto: “In quale dio crede quest’uomo o che idea di dio ha nella sua mente questa donna?” Mi pongo molte volte questa domanda perchè non mi esce dalla testa che Dio, che è il Dio-Padre di tutti i mortali, possa essere legittimato, giustificato, incoraggiato o provocato all’insulto, alla parola umiliante, alla mancanza di rispetto, all’intolleranza, alla durezza di cuore…
Per non parlare delle offese gratuite, dell’abuso dei deboli, e di tante altre situazioni che causano dolore, malessere, divisione, e tante altre cose che sono imbarazzato a citare. Quando penso a queste cose e a questo tipo di situazioni, non posso fare a meno di ricordare i numerosi testi dei quattro vangeli, nei quali Gesù afferma e insiste sul fatto che chi “riceve”, “accoglie”, “ascolta” o “rifiuta” un essere umano, anche se il più debole o un bambino, è Gesù e Dio che viene “ricevuto”, “accolto”, “ascoltato” o “rifiutato” (Mt 10, 40; Mc 9, 37; Mt 18, 5; Lc 10, 16; 9, 48; Gv 13, 20).
Di più, nel giudizio finale che Cristo Signore farà a tutte le nazioni della terra, il criterio determinante di questo giudizio sarà quello che ognuno ha fatto o non ha fatto a qualunque altro essere umano (Mt 25, 31-45). Perchè la dignità di tutti gli esseri umani è talmente importante che si identifica con la dignità stessa di Dio.
Il Maestro Eckhart seppe trarre, dagli insegnamenti di Gesù, sicuramente il più profondo che c’è in tali insegnamenti: Dio lo incontriamo “nell’altro”. Lo incontriamo o lo disprezziamo “nell’altro”. Il pericolo e l’orrore delle religioni è che possiamo arrivare a “divinizzare” i nostri sentimenti più oscuri, i nostri risentimenti più bassi. Quando, in nome della difesa della fede in Dio, priviamo qualcuno della sua dignità, della sua libertà o dei suoi diritti, incorriamo in una autentica idolatria blasfema. Nel momento in cui, per difendere “dio”, disprezziamo o offendiamo il vero Dio, il Dio che sta in ogni essere umano.
Il problema è che, per vivere questo, non è sufficiente averlo in testa. E’ assolutamente necessario quello che lo stesso Eckhard chiamava “la spogliazione di ogni interesse, di ogni desiderio, di ogni possesso, di ogni attaccamento”, che ci aliena dell’altro o ci mette contro l’altro, sia quello che sia.
In questo caso, la “spiritualità” si converte in “identità” dello spirito umano con la divinità. Così, e solo così, superiamo la religione e la metafisica, la divisione del divino e dell’umano, il sacro dal profano, e focalizziamo le nostre esistenze sull’onestà, sul rispetto, sulla gentilezza senza limiti e sulla sincerità, senza confini.
* Josè Maria Castillo è uno dei più prestigiosi teologi europei il cui valore è riconosciuto sia per l’attività accademica svolta nel campo dell’insegnamento universitario, sia per la numerosa opera scientifica pubblicata in Spagna e all’estero.
La collaborazione di Castillo con l’Università Centroamericana José Simeón Cañas di EL Salvador, lo ha portato a interessarsi alla teologia della liberazione, pubblicando alcune importanti opere sul tema, tradotte anche in italiano dalla Cittadella di Assisi («I poveri e la teologia. Cosa resta della teologia liberazione», Assisi, 2002; «Simboli di Libertà», Assisi, 1983; «Dio e la nostra Felicità», Assisi, 2002).
Testo originale: Le pido a Dios que me libre de Dios