Chiesa cattolica ed omosessualita’: un altro passaggio di una vicenda controversa
Riflessioni di don Andrea Bigalli tratte da Mosaico di Pace, n. 109 del febbraio 2009
Se avessi visto un quinto dell’impegno e della prontezza con cui la gerarchia difende la scuola cattolica o i principi della morale familiare profuso nella condanna dei conflitti e delle discriminazioni sarei stato contento.
Alcuni amici mi hanno fatto notare che la moratoria ONU sulla pena di morte non ha visto grandi segni di entusiasmo da parte del Vaticano. Eppure non ci sono dubbi sull’interesse manifestato a riguardo da vasti settori della Chiesa cattolica, ivi inclusi interventi pontifici precisi.
Da una parte c’è la realtà dell’esistenza di soggetti che vivono la condizione – minoritaria nei numeri – dell’omosessualità e il rispetto loro dovuto in quanto persone, come il Vangelo richiede con forza a partire dalla considerazione che si tratta spesso di marginalizzati, disprezzati, fatti oggetto di violenza; dall’altra il problema che gli atti conseguenti a tale condizione sono considerati inaccettabili, espressione di un grave disordine della persona stessa.
MESSI ALLA GOGNA?
Tornerò più avanti su questo passaggio, ma in prima analisi non si capisce il nesso tra una realtà che può comprendere una dimensione di peccato – anche il magistero riconosce che non è una condizione che si possa scegliere (si può evitare di essere omosessuali?) – e l’idea che tale realtà sia considerata un reato che comporta pene durissime. Anche l’adulterio è un peccato, ma la Chiesa cattolica non si è opposta al fatto che lo si depennasse dai reati nei vari codici legislativi, prima europei, poi di altre nazioni. Ma qui subentra un altro ragionamento, di cui si fa interprete mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite: la depenalizzazione dell’omosessualità “porterebbe a nuove discriminazioni, in quanto gli Stati che non riconoscono le unioni gay verranno messi alla gogna”.
“Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione.
Ma con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli Stati e ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come ‘matrimonio’ verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni”.
Quindi: una dichiarazione di principio contro la violenza e la discriminazione non viene sostenuta da un ente che da tempo riconosce nell’idea dei diritti umani una valida esplicitazione dei principi evangelici perché si teme l’introduzione di (altri) diritti a cui non si riconosce liceità, quelli che diverse legislazioni europee garantiscono alle persone omosessuali.
Torna lo spettro delle unioni civili: la Chiesa cattolica affronta la questione senza far distinzioni tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali, ma si comprende bene la principale contrarietà nei confronti delle prime. Se per le coppie etero potrebbe valere la questione dell’esistenza del matrimonio, che già comporta una piena definizione dei diritti ma anche dei doveri (che in parte vengono negati con altre formule di riconoscimento del vincolo: si pensi al dovere della stabilità del vincolo stesso, di vantaggio per la collettività e le famiglie), per quelle omosessuali la mancanza di una legge pone il rischio del non rendere possibili diritti quasi primari (in ambito medico o assistenziale, per esempio).
DIRITTI E PRINCIPI
Si sta creando un conflitto sempre più determinato tra etica dei diritti ed etica dei principi; problematica destinata ad ampliarsi, perché sempre più la ricerca personale di senso colliderà con una visione etica che pone la questione della rinuncia e della censura. Se questo è semplice da spiegare su dimensioni collettive – nella dinamica della relazione sociale, per esempio: la ricerca del bene comune mette in secondo piano le mie esigenze individuali -, è assai più difficile da motivare sul piano del sentimento e dell’amore.
Perché rinunciare alla felicità di un amore se la persona amata ha un vincolo precedente, che però è terminato con la scelta operata da una persona terza, che ha distrutto sul piano pratico tale vincolo? Perché rinunciare a vivere la gioia della genitorialità, anche se questo comporta un intervento medico che la Chiesa considera inaccettabile? Perché rinunciare a un amore che orienta verso una persona considerata sbagliata, ma per chi non è attratto da quelle del suo stesso sesso, come accade a coloro che, senza averne colpa, vivono tale condizione?
Non penso che il compito morale della Chiesa sia pensare e decidere al posto di qualcun altro, semmai essere un riferimento di confronto, che ha la saggezza di valutare la distanza dei principi dagli eventi concreti della vita. Senza per questo rinunciare a un alto prospetto etico: ma impedendo che esso diventi più importante delle persone stesse e la loro piena realizzazione esistenziale, come indica Gesù nel porre la questione del sabato, in sintesi della legge mosaica, che a servizio dell’umano, non deve mai diventare gabbia che lo rinchiude. Ritengo che in chiave pastorale bisogna ricominciare soprattutto ad ascoltare le persone, vivendo la fatica del caso singolo, dell’accompagnamento delle persone in un cammino di ricerca della consapevolezza, nel tentativo di dare strumenti di discernimento sempre più efficaci. Per imparare a scegliere non un proprio bene generico, ma un bene autentico e condiviso.
Certo, questo comporta la fatica della mediazione, perché ascoltare è anche prendersi carico, avere la pazienza dei fallimenti reciproci, tentare senza sicurezza di risultato la via che porta alla consapevolezza e la liberazione. È molto facile introdurre principi e lasciare le persone da sole davanti ai problemi che derivano dal metterli in pratica: si veda la polemica di Gesù nei confronti dei farisei, che imponevano, senza nel contempo prendersi carico a loro volta delle fatiche di vita. Una morale che appesantisce e non consente libertà, perché non sa educarla, non è degna del Vangelo: come pure quella tessuta di negazioni, che non produca gioia né l’aiuti a radicarsi nell’amore e nello Spirito.
E LA COSCIENZA?
È proprio impossibile fidarsi della coscienza personale? Siamo proprio sicuri che le persone sono così orientate al male, al disordine, alla cattiveria? Il mondo è così malato da contraddire e vanificare la consegna che il Cristo fa di sé stesso agli esseri umani che lo compongono? Serve dipingerci un mondo più negativo di quanto non lo sia realmente? O sarà che non si riesce più a guardarlo con gli occhi di misericordia del Dio della vita?
Di certo si può misurare su questo aspetto la dialettica sempre più difficile tra Vaticano e società laica (europea e non): le questioni di etica personale trovano, da parte del primo, risposte assai più rigide di quelle di ordine collettivo. Il piano delle scelte individuali – cui la società contemporanea consegna un’importanza crescente – comporta forse il rischio di una maggior messa in discussione dei principi generali della morale cattolica di quanto non accada nei casi di etica collettiva? La condanna delle guerre, delle speculazioni economiche, degli egoismi globalizzati, della violenza perpetuata all’ambiente, trova assai meno attenzione delle dinamiche legate alle scelte dettate dall’affettività, dai sentimenti, in ambito sessuale e familiare.
La società contemporanea chiude sempre più gli orizzonti delle persone e le costringe a rinchiudersi nell’ambito delle vicende intime, delle relazioni primarie: in questa sfera si creano nuovi bisogni, talvolta sganciati da un’etica della collettività, determinati verso l’affermazione della felicità individuale.
In tal senso avrebbe ragione la Chiesa cattolica a insistere su questo piano; ma il problema è che la risposta a questo orientarsi verso il privato è proprio il riproporre a livello etico dell’istanza collettiva, il senso di comunità, l’educazione al valore della relazione duratura e affidabile, la creazione di un sentimento che comporti il vivere bene in comune.
Le titubanze con cui si interviene sul piano delle scelte economiche e degli stili di vita dicono qualcosa sulle difficoltà nell’affrontare questo aspetto della contemporaneità, insieme all’altro grande tema della tecnologia. L’uso degli organismi geneticamente manipolati (OGM) non è ancora stato affrontato dal magistero, ma appellandosi allo stato di natura si continua a condannare i rapporti omosessuali.
È lecito attendersi una coerenza a riguardo? In realtà la questione della legge naturale è una grande spina nel fianco del pensiero cattolico; comporta anche la prospettiva del confronto tra scienza e fede; è realmente complessa. Proprio per questo bisogna parlarne e confrontarsi apertamente, su un livello di dialogo più ampio possibile. L’impressione che la Chiesa cattolica non sia più capace di ascoltare, interpellando come soggetti degni di attenzione coloro che sono coinvolti nelle contrapposizioni che essa vive, sta crescendo a dismisura.
NON SOLO PRESENZE SILENZIOSE
Per quanto ci riguarda la questione torna, quindi, sul piano di come la Chiesa cattolica stia affrontando le problematiche connesse all’identità omosessuale: nella rimozione pressoché totale di quanto gli stessi omosessuali potrebbero dire di sé, relegandoli a presenza silenziosa. Neanche tollerata: del tutto ignorata.
Eppure non si può negare l’esistenza di una parte di clero composta da persone omosessuali: anche se si afferma con chiarezza che essere omosessuali nega la possibilità di diventare ministri ordinati. Né si può rimuovere il dato che tra i membri del cattolicesimo ci siano molte persone omosessuali che chiedono di essere ascoltate nella dialettica pastorale e non solo catalogate nelle dimensioni di una identità sbagliata, irregolare, contro natura, deviata, perversa.
Il Cristo porta un annuncio di misericordia che si traduce in attenzione, sollecitudine, ascolto attento del dramma e della potenzialità; e ciò soprattutto verso coloro che vengono additati pubblicamente come fuori regola, esclusi dalla normativa dei canoni dominanti. La presa di posizione sopra riportata scava solchi, non esprime certo quella cura che pure i documenti del Magistero richiedono verso persone la cui dignità viene negata, a prescindere da quel che si ritiene degli errori eventuali che stanno commettendo.
NUOVE REGOLE MORALI
La moralità di un atto non sta in un principio disincarnato, ma in una attenta riflessione su intenti, motivazioni, conseguenze. Il tutto alla luce della coscienza, in dialettica, certo, con i principi ecclesiali, alla ricerca della verità dello Spirito. Ma non è più il tempo di ascrivere le questioni di morale sotto le rubriche “dentro” o “fuori” la Chiesa. Impariamo la saggezza neotestamentaria del Sinodo di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli Apostoli: la continua, prioritaria ricerca della comunione; e la capacità e il coraggio di pensarsi su linee anche diverse per gli aspetti della vita ecclesiale che non siano quelli strettamente dottrinali, dell’identità di fede.
È la sfida delle reciprocità, del confronto tra le diversità. Storicamente non è mai avvenuto che ciò abbia prodotto confusione dottrinale o sincretismo. Mi appello alle autorità teologiche: si tratta di avere fede nella capacità della Chiesa di rimanere fedele ai propri presupposti, nel coraggio però di modificare gli elementi della dottrina morale quando essa non è più confacente a quanto conosciamo dell’umano.
Il linguaggio di esclusione non si adatta alla Chiesa: mi terrorizza una comunità cristiana che confonde la volontà di mediazione con la mancanza di un’identità definita, che non riesce a leggere storia e realtà con gli occhi della tenerezza nei confronti dell’umano, che non sa più ascoltare, che non crede alla reciprocità possibile grazie allo Spirito che Dio dona in piena libertà, senza alcuna riserva. Perché tutto ciò che vive sia pedagogia di pace e di beatitudine.
“Una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Luca 6,38). La misura con cui misuriamo è quella con cui saremo misurati… il pensiero non ci dia angoscia ma solo grande fiducia nella capacità divina di accogliere e vivificare. Così è la sua giustizia. Che abbia davvero pietà della nostra poca volontà di farne per tutti.