Chiesa e omosessualità. I diritti negati dei gay

Il netto rifiuto opposto dall’arcivescovo Mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, alla proposta, avanzata dalla Francia e sottoscritta dagli altri ventisei Paesi dell’Unione Europea, di procedere da parte delle Nazioni Unite alla depenalizzazione universale dell’omosessualità, ha suscitato (e non poteva che suscitare) scalpore e indignazione.
Il principio dell’uguaglianza tra gli uomini, che sta alla base delle Carte dei diritti umani – in primo luogo della Carta dell’Onu di cui ricorre in questo mese il sessantesimo anniversario della promulgazione – è la ragione fondamentale di tale diritto.
È allora anzitutto doveroso cercare di far luce sulle motivazioni che hanno spinto il rappresentante del Vaticano e, più in generale la Santa Sede, ad assumere un atteggiamento tanto rigido nei confronti di una proposta, che non riflette soltanto un orientamento da tempo (e giustamente) presente nelle Carte internazionali e nelle Costituzioni degli Stati democratici, ma che è anche – ci pare – in perfetta sintonia con le grandi indicazioni del messaggio evangelico.
Le ragioni addotte dall’arcivescovo Migliore – così come risultano dalle dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa – fanno soprattutto riferimento alle ricadute negative derivanti dall’approvazione della proposta: si incorrerebbe infatti, secondo il prelato vaticano, nel pericolo di creare «nuove discriminazioni», cioè di penalizzare o comunque di esercitare una forte pressione nei confronti di quegli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come «matrimonio».
Analoga preoccupazione è espressa anche dal portavoce vaticano Padre Lombardi per il quale «introdurre meccanismi di controllo in forza dei quali ogni norma che non ponga sullo stesso piano ogni orientamento sessuale può venire considerata contraria al rispetto dei diritti dell’uomo, può diventare strumento di pressione o discriminazione nei confronti di chi, per esempio, considera il matrimonio fra uomo e donna la forma fondamentale e originaria della vita sociale e come tale da privilegiare».
Il timore è dunque che la depenalizzazione dell’omosessualità provochi come effetto immediato la sollecitazione al pieno riconoscimento delle unioni omosessuali sotto la forma di un vero e proprio matrimonio anche in quei Paesi nei quali non esiste ancora una legislazione in tal senso, e che ciò possa soprattutto minare il matrimonio tradizionale, il quale finirebbe per perdere la sua prerogativa di esclusività.
Ora, ammesso (e peraltro non concesso) che quanto paventato come rischio abbia un fondamento reale – non sussiste di per sé un legame necessario tra l’affermazione dei diritti degli omosessuali e la legittimazione del matrimonio tra soggetti appartenenti allo stesso sesso, al punto che la Francia, cioè la nazione da cui è venuta la richiesta di depenalizzazione rivolta all’Onu, non lo ha finora introdotto nella propria legislazione – non si può certo venir meno alla tutela di un diritto semplicemente perché qualcuno può usarlo in un modo che si reputa distorto.
D’altra parte, anche chi considera il matrimonio omosessuale un «male» deve ammettere che esso costituisce in ogni caso un male minore rispetto alle pesanti discriminazioni esistenti in molti paesi nei confronti degli omosessuali.
Il fatto che i rapporti tra persone dello stesso sesso siano considerati illegali in oltre 80 paesi del mondo e che vengano applicate nei confronti degliomosessuali sanzioni e torture e in una decina di Stati persino la pena di morte è un dato che non può lasciare indifferenti.
Sorprende perciò che mentre si afferma, da un lato, con forza – come fa il portavoce della Santa Sede Padre Lombardi – che la Chiesa è «contro le legislazioni penali violente e discriminatorie nei confronti degli omosessuali», non ci si impegni di fatto, dall’altro, a dare il proprio contributo all’eliminazione di tali legislazioni – è questo infatti l’obiettivo della proposta depositata all’Onu – le quali fanno correre il rischio a un numero assai consistente di persone di venire imprigionate o giustiziate in ragione del proprio orientamento sessuale.
Una persistente contrarietà
Non è difficile scorgere, dietro alla rigidità della posizione vaticana, la persistenza di un atteggiamento fortemente negativo nei confronti dell’omosessualità; atteggiamento che si inscrive peraltro all’interno di una più generalizzata diffidenza nei riguardi della sessualità e del suo esercizio.
Nonostante le aperture introdotte dal Concilio, che si è sforzato di confrontarsi serenamente anche a tale proposito con i contributi più significativi delle scienze umane, la Chiesa stenta ad abbandonare quella visione tabuistica e repressiva del sesso, che ha per molto tempo caratterizzato la cultura occidentale e che essa ha, a sua volta, concorso ad alimentare facendola sedimentare nelle coscienze o forse, ancor più radicalmente, nell’inconscio collettivo.
La centralità assegnata al sesto comandamento dalla tradizione morale cattolica – dall’epoca patristica fino alla manualistica moderna – al punto che il termine «immorale» è stato a lungo identificato con il peccato sessuale, è la riprova di un rapporto disturbato nei confronti della sessualità che ha radici assai remote e dal quale è tuttora difficile liberarsi, anche a causa dei pesanti sensi di colpa indotti nell’ambito dei vissuti personali.
Secondo natura e contro natura
A questo si aggiunge, quando è in causa la questione dell’omosessualità, l’attribuzione di un ruolo determinante da parte della morale cattolica a concetti come «natura» e «legge naturale» interpretati in chiave rigidamente biologica e statica, e la conseguente rigida distinzione, soprattutto a riguardo delle tendenze e dei comportamenti sessuali, tra ciò che è «secondo natura» e ciò che è «contro natura ».
Gli esiti della moderna ricerca antropologica, che hanno contribuito a far luce sulla condizione omosessuale, respingendo in termini radicali interpretazioni in passato largamente diffuse che la riconducevano a una forma di devianza o di malattia (qualche volta persino di perversione) e proponendone un’interpretazione molto più seria che la fa coincidere cioè con la struttura profonda della personalità, con un vero e proprio modo di essere-al-mondo che coinvolge la totalità della persona e le relazioni che essa vive, non sono riusciti a cancellare del tutto le visioni scorrette del passato.
L’omosessualità è ancora considerata – e i documenti più recenti del magistero della Chiesa lo confermano – come una vera e propria anomalia, e gli atti omosessuali come atti intrinsecamente cattivi, dunque sempre eticamente riprovevoli.
Un segno di speranza
Fortunatamente, anche all’interno della Chiesa, esistono tuttavia (e sono sempre più numerosi) laici e pastori che seguono con molta attenzione e con grande comprensione quanti sperimentano la condizione omosessuale, aiutandoli ad accettare la propria identità e a superare lo stato di marginalità in cui spesso vivono – nonostante le profonde trasformazioni culturali degli ultimi decenni, i pregiudizi continuano a persistere come risulta anche dal linguaggio, spesso malizioso e volgare, ancor oggi in uso – ma anche (e soprattutto) a sviluppare, nelle forme ad essi più congeniali, la propria capacità di amare.
L’esistenza, anche nel nostro Paese, di gruppi di omosessuali credenti, che riflettono sulla loro condizione a partire dal Vangelo, la predisposizione da parte di alcune diocesi, di cammini di maturazione personale aperti anche agli omosessuali, la disponibilità di molte parrocchie ad accoglierli senza alcuna riserva nei vari gruppi associativi e negli organismi pastorali della comunità sono il segnale di un processo di cambiamento di mentalità da tempo avviato.
Riassume bene il senso di questo processo di cambiamento un’ampia e significativa intervista rilasciata dal Vescovo di Mondovì, Mons. Luciano Pacomio, al quotidiano «La Stampa» martedì 2 dicembre 2008, nel giorno cioè in cui appariva sulle pagine dello stesso giornale la notizia della bocciatura da parte di Mons. Migliore della proposta avanzata dai Paesi europei all’Onu.
«Etero o gay – affermava tra l’altro Mons. Pacomio – hanno la stessa esigenza di imparare ad essere persone che sanno amare. Non vanno colpevolizzate le persone.
Ciascuna vive il suo orientamento per itinerari personali, esperienze o condizioni individuali, e merita rispetto e attenzione. A me sta a cuore dargli una mano per la vivibilità della propria condizione. I gay sono miei fedeli come gli altri».
E aggiungeva al termine dell’intervista: «Bisogna stare attenti alle parole che appaiono una discriminazione dei gay… Invece dei fulmini e delle dichiarazioni ad effetto, producono più frutto il cammino insieme alle persone e l’impegno concreto per dare loro motivo di fare scelte forti e costruttive» (pag. 9).
Queste parole piene di saggezza pronunciate da un vescovo, investito nella Chiesa di una importante responsabilità dottrinale e pastorale, stanno ad indicare che qualcosa si muove e costituiscono un promettente motivo di speranza.