Ciò che noi genitori “sapevamo” dell’omosessualità
Testo di Mary Ellen Lopata e Casimer Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay), Trafford Publishing, 2003, capitolo I, pp.1-2, libera traduzione di Diana
Il 1969 segnò la fine di un decennio di agitazioni sociali. La protesta – il rifiuto dell’autorità, di tradizioni superate e di stereotipi ingiusti – fu come l’adrenalina, diede energia a molteplici settori della società. I giovani furono gli apri strada sfidando la moralità della guerra del Vietnam. Gli attivisti per i diritti civili rischiarono la vita e la gente dimostrò per le strade chiedendo la fine della discriminazione contro i neri. Le donne divennero consapevoli della forza e del talento con cui contribuivano al bene reciproco dell’umanità, che condusse ad una forte discussione sulle norme sessuali ed i ruoli di genere. In questo contesto, cominciai a pensare oltre i limiti della mia educazione protetta.
Come giovane mamma di quattro bambini piccoli, riuscivo a malapena a leggere il quotidiano, ma ho un vago ricordo di aver letto dei moti di Stonewall – a volte chiamati la ribellione di Stonewall – nel Greenwich Village, a New York City.
Nelle prime ore del mattino del 28 giugno 1969 la polizia di New York fece irruzione nel bar Stonewall. Sebbene queste irruzioni nei bar gay fossero normali a New York all’epoca, questa fu diversa. Questa volta la polizia trovò una resistenza organizzata da parte dei clienti abituali del bar, specialmente da parte delle drag Queens, che semplicemente rifiutarono di continuare ad essere presi di mira dagli abusi della polizia.
Seguirono cinque notti di violenti scontri con la polizia. Gli attivisti gay e le attiviste lesbiche avevano lavorato anni per la causa della liberazione dei gay per lo più inutilmente. I moti di Stonewall e la pubblicità intorno a questo evento segnarono un punto di svolta. Caddero gli stereotipi quando insorsero i gay e le drag Queens mantennero le loro posizioni ed anzi contrattaccarono.
Questa fu la mia prima reale percezione di chi fossero i gay o gli omosessuali, come allora venivano chiamati dai media. Il concetto di omosessualità mi era completamente estraneo. Tuttavia, quando lessi sui giornali i resoconti dei moti, provai simpatia per i gay che venivano trattati con tale disprezzo dalla legge. Non mi passò per la mente neppure per un attimo che uno dei miei figli fosse gay.
Poco dopo i moti, fu fondato il Fronte di Liberazione per i Gay. Più tardi nel 1969, il TIME divenne la prima rivista a livello nazionale a dedicare una copertina alla storia “dell’omosessualità in America”. Nel 1973 l’Associazione Psichiatrica Americana stralciò l’omosessualità dal manuale ufficiale delle malattie mentali. Due anni dopo, l’Associazione Psicologica Americana la seguì.
Una componente significativa e critica del nascente movimento politico e sociale per il riconoscimento dei diritti civili fu che i gay e le lesbiche cominciarono ad “uscire dall’armadio”, raccontando del loro orientamento sessuale alle famiglie, agli amici, ed ai loro colleghi. Quando le mamme e i papà, gli amici, i vicini, i colleghi di lavoro e i parrocchiani cominciarono a conoscere i gay in carne ed ossa, dovettero rivedere i loro stereotipi con cui avevano identificato fino ad allora gli omosessuali.
Quattordici anni dopo i moti di Stonewall, mio figlio maggiore Jim mi avrebbe detto che era gay. I genitori come me, i cui figli gay e figlie lesbiche fecero il coming out negli anni 70, 80 ed anche 90, sono cresciuti in un clima sociale completamente diverso da oggi. Le informazioni accurate sull’omosessualità scarseggiavano e i genitori, come me, agivano sotto una serie di “ipotesi inconsce” sull’omosessualità e sugli omosessuali.
“Sapevamo” alcune cose sull’omosessualità, e nessuna era positiva. “Sapevamo” che modelli famigliari nevrotici causano l’omosessualità; agire come una donnicciola o un maschiaccio causa l’omosessualità; che la seduzione omosessuale o un evento traumatico con una persona del sesso opposto era causa dell’omosessualità; che l’omosessualità è una malattia mentale; che l’omosessualità è una scelta; che l’omosessualità è immorale; che tutti gli omosessuali sono promiscui; che i gay e le lesbiche vivono da soli, vite infelici e non danno nessun contributo alla società.
Allora tutti “sapevamo” solamente che “l’omosessualità” era sbagliata.