L’ipocrisia di “ama il peccatore e odia il peccato” fa solo soffrire le persone LGBT
Articolo pubblicato sul sito Many Voices (Stati Uniti), liberamente tradotto da Diana
Secondo la mia esperienza, le persone vogliono essere gentili. Il nostro desiderio è trattare le persone con correttezza, senza offenderle e senza metterle a disagio. Evitiamo di dirci cose irritanti. Spesso ci sforziamo di trovare un modo piacevole per esprimere concetti scomodi o non famigliari. Siamo soggetti a ripetere frasi stereotipate. Abbiamo tutti assorbito miti, stereotipi, descrizioni errate e detti popolari.
Non conto più le volte in cui ho sentito persone che conosco e amo dire: “Bene, dobbiamo solo amare il peccatore e odiare il peccato”. Capisco bene che la persona in questione stia tentando di trovare un terreno comune, un modo per accettare di essere in disaccordo, un modo per rimanere fedele al proprio punto di vista biblico senza essere meschina.
Ecco tre ragioni per cui “amare il peccatore, odiare il peccato” non è all’altezza di tali buone intenzioni.
È fondato su una posizione “noi” contro “loro”. La decisione di amare “l’altro”, “quello fuori dagli schemi”, la persona considerata distante da noi, ci fa sentire superiori ed è una decisione che rassicura l’ego, come a dire “quanto è bello da parte mia amare chi non è amato da nessuno”.
Nasce dal giudizio, perciò non è amorevole. Il giudizio è sulla personalità di un altro, non sulle sue azioni. Ognuno di noi ha un orientamento sessuale e una identità di genere; è ciò che siamo, sia che siamo gay, lesbiche, bisessuali, transgender o eterosessuali. Chiamare qualcuno peccatore basandosi sulla sua identità presume che uno abbia il potere di decidere chi è dentro e chi è fuori, e che l’autentica natura di una persona possa essere etichettata come inaccettabile.
Non penso che una persona etichettata come “fuori dagli schemi” e giudicata “inaccettabile” possa dire che sta vivendo l’amore. Esprimere questo stereotipo uccide ogni sentimento di accoglienza, affermazione, accettazione e sostegno. Non è amore. Per le persone gay e transgender, le briciole di gentilezza sono insufficienti.
Ci fa sentire nel giusto troppo facilmente. Un amore sincero e profondo richiede da noi:
Liberarci dalla paura della differenza che possiamo sentire;
Accogliere coloro che non conosciamo bene o che possiamo non comprendere totalmente;
Evitare ogni tentativo di cambiare l’altro;
Celebrare i doni di ogni persona nella sua diversità ed unicità.
Cosa dovremmo dire? Forse, nel momento in cui ci viene in mente questo stereotipo, dovremmo ricordarci di Gesù e della sua grande compassione, dimostrata più volte nei Vangeli: come ha accettato una donna di un’altra razza, come ha mangiato con coloro giudicati “equivoci”, come ha toccato gli intoccabili, ha ascoltato i bambini e ha spalancato le braccia a migliaia di altre persone, ascoltandole.
Ricordare Gesù può autorizzarci a dire: “Ti amo per come sei”. Che potente espressione di amore incondizionato mostratoci da Dio! Bellissimo, davvero!
Testo originale: Three Ways that “Love the Sinner, Hate the Sin” Falls Short