Come le vite dei Santi non mi hanno aiutato ad accogliere chi ha più bisogno
Riflessioni di Carl Siciliano tratte dal suo libro Making Room: Three Decades of Fighting for Beds, Belonging, and a Safe Place for LGBTQ Youth (Fare spazio: tre decenni di lotta per un letto, l’appartenenza e un posto sicuro per i giovani LGBTQ), editore Convergent, 2024, capitolo 1, paragrafo I, liberamente tradotte dai volontari del Progetto Gionata
Ho incontrato Ali tre anni prima che morisse, il 30 novembre del 1994. Era il mio primo giorno come direttore di SafeSpace, un centro diurno appena aperto (a New York) che offriva cibo, assistenza medica, gruppi di supporto e una serie di altri servizi essenziali agli adolescenti senzatetto. (…)
Avevo deciso di trascorrere i primi giorni di lavoro immergendomi nelle attività del centro, per conoscere i miei giovani assistiti. Dopo pranzo, scesi nella grande sala comunitaria, dove otto lunghi tavoli erano disposti a forma di croce greca.
Mi sedetti lì, circondato da una dozzina di ragazzi e ragazze, avevano un età compresa tra la tarda adolescenza sino a giungere ai vent’anni, erano per lo più neri o latini, molti erano avvolti in pesanti cappotti invernali (e alcuni di loro erano ragazzi e ragazze LGBT+). Mi presentai e chiesi se volessero parlarmi delle loro esperienze al centro SafeSpace. Cosa apprezzavano? Cosa potevamo migliorare?
Una giovane ragazza non perse tempo a cogliere il mio invito. “Questo posto fa schifo!” esclamò, con una voce stridula e piena di rabbia. “Il personale non si preoccupa di noi. Nessuno di voi si interessa davvero a noi! Siete qui solo per la busta paga. Ci trattate con sufficienza, non muovete un dito per aiutarci. E il cibo è una schifezza. Non vi importa! Non ve ne frega niente!”
Guardai intorno nella stanza e vidi alcuni ragazzi agitarsi e a disagio. Non volendo reagire in modo difensivo, mi sforzai di restare calmo e chiesi alla ragazza il suo nome.
“Tangie,” rispose.
“Tangie, mi dispiace molto sapere che hai avuto esperienze così negative a SafeSpace,” dissi con dolcezza. “Farò del mio meglio per migliorare la situazione. Ma sono curioso: da quanto tempo vieni qui?”
“Dalle undici e mezza.”
“Le undici e mezza di oggi?” chiesi.
“Sì, sono arrivata per l’accoglienza poco prima di pranzo.”
Erano da poco passate le 13:00. Non sapevo cosa Tangie avesse vissuto nei 90 minuti trascorsi da quando era arrivata, ma era difficile pensare che avesse avuto abbastanza tempo per formulare un giudizio accurato su SafeSpace e sulla dedizione del personale.
Più probabilmente, stavo ascoltando il dolore nato da una vita intera piena di traumi.
Dopo dodici anni trascorsi ad aiutare persone senza tetto in mense, rifugi e strutture residenziali, avevo imparato che entrare nelle loro vite significava aprirsi al dolore, incontrare persone segnate dalla povertà, dagli abusi, dalle malattie mentali, dai sensi di colpa e dalla rabbia inevitabile che ne derivava.
Significava anche guardare oltre la superficie per cercare di comprendere chi fossero realmente. Quando ascoltai Tangie senza contraddirla, sembrò che la sua rabbia si placasse. Rimase seduta ad ascoltare con attenzione mentre altri giovani parlavano dell’assistenza medica, del cibo, delle docce e dei servizi di lavanderia offerti da SafeSpace.
Nessuno ne era particolarmente entusiasta, ma era evidente che soddisfacevamo alcuni dei loro bisogni più urgenti.
Riflettendo sull’esplosione verbale di Tangie, pensai a come le agiografie dei Santi che mi avevano condotto a questo lavoro non mi avessero preparato alla realtà.
Da adolescente convertito al cattolicesimo, mi ero immerso nelle vite dei santi.
Mi sentivo ispirato leggendo di San Martino di Tours che tagliava metà del suo mantello per donarlo a un mendicante nudo, o a San Francesco d’Assisi che abbracciava fisicamente un lebbroso pieno di cicatrici purulente.
In entrambe le agiografie, dopo che il santo aveva aiutato la persona bisognosa, questa spariva e il santo si rendeva conto che in realtà era Dio.
Nella vita reale, tuttavia, imparai rapidamente che le persone in difficoltà raramente scompaiono per delle buone ragioni e i loro bisogni sono troppo vasti per essere risolti con la metà di un mantello o con un abbraccio.
Testo originale: Making Room: Lives of the Saints