Come sono diventata cattolica grazie al gay Pride
Articolo di Caitlin Weaver* pubblicato sulla versione in lingua inglese dell’Huffington Post (Stati Uniti) il 29 agosto 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Sono diventata cattolica grazie al Gay Pride. Io e mio marito ci eravamo sposati da poco e stavamo costruendo la nostra vita insieme in una nuova città, dopo che la sua azienda l’aveva trasferito da New York ad Atlanta. Non pensavo che la Chiesa potesse essere parte di quella nuova vita: mio marito proviene da una famiglia cattolica e, pur non essendo molto devoto, era convinto che, se avesse avuto dei figli, sarebbero cresciuti nella Chiesa Cattolica. Ne ero ben poco entusiasta: per me la Chiesa Cattolica voleva dire messe noiosissime e squallide, l’oppressione delle donne e di altri gruppi minoritari. In particolar modo, non potevo sopportare la noia e il patriarcato.
Non ero certamente una senzadio. Non sono stata allevata in una particolare tradizione religiosa, ma da adulta ho conosciuto Dio negli scantinati di alcune chiese assieme agli Alcolisti Anonimi, dopo che il mio primo matrimonio era fallito a causa di un marito tossicodipendente e alcolista. Cominciai a frequentare il culto [di una comunità protestante] assieme a un amico che aveva smesso di bere e sua moglie. Era una chiesa progressista, che non apparteneva a nessuna denominazione; i suoi membri andavano dai punk ripuliti di una certa età, a tutta una varietà di giovani famiglie, a lesbiche simili a scaricatori di porto. C’era una pastore pesantemente tatuato, un’ottima band musicale e quel genere di video e di slide che si vedono nei TED Talk e ai concerti dei Radiohead.
Quando il rapporto con il mio futuro marito diventò una cosa seria, a volte andavo a messa con lui. La sua parrocchia era vicino a dove viveva, esattamente nel mezzo della zona dei teatri di Broadway. Poter ascoltare il coro della parrocchia era come essere entrati gratis al concerto di cantori professionisti, ma a parte quello, per me la messa era asettica e impersonale. Mi sentivo a disagio per la mancanza di varietà umana che vedevo lì, in grande contrasto con la folla di newyorkesi con cui condividevo la metropolitana ogni mattina. Non era un’esperienza che mi commuovesse, e se andavo a messa lo facevo perché volevo essere riempita di grazia, non solo fare un atto dovuto di fronte a Dio.
Quando ci siamo trasferiti nel Sud il problema si è temporaneamente risolto, perché eravamo privi di parrocchia: durante i fine settimana eravamo pieni di cose da fare per sistemarci, come andare al mercato, comprare i mobili, capire dove potevamo trovare il miglior Bloody Mary. Non avevamo il tempo per cercarci una parrocchia! Poi avevo la fastidiosa impressione che, se a New York non avevamo trovato una parrocchia cattolica che mi sembrasse abbastanza inclusiva, non potevamo certo trovarla lì nel Sud. Dissi a mio marito che non mi era possibile entrare a far parte di una comunità che non accogliesse esplicitamente i miei amici gay e le mie amiche lesbiche.
Un’amica mi parlò della sua chiesa non-denominazionale, di recente fondazione, che assomigliava molto alla mia ghenga di New York. Mi parlò della band musicale e del giovane pastore hipster, capace di accenderti un fuoco dentro con le sue parole. Lo dissi a mio marito mentre camminavamo per il Gay Pride Festival, che si teneva nel parco vicino casa nostra. A un certo punto scorsi il banchetto di quella chiesa, con tanto di bandiera. “Eccolo! Stanno distribuendo ghiaccioli biologici!” gridai eccitata. Parlammo alcuni minuti con le persone che stavano al banchetto, che ci lasciarono un libretto patinato di informazioni e dei ghiaccioli squisiti.
“Cosa ne pensi?” chiesi a mio marito.
Alzò le spalle. “Molto bello, ma non sono cattolici.”
“Be’, e allora dove sono i cattolici?” dissi irritata, indicando col dito i banchetti dei metodisti, dei luterani, degli episcopali e della sinagoga. Rimase in silenzio mentre svoltavamo l’angolo.
“Heyyyyy, tu!” Eccoli lì, bellissimi nelle loro T-shirt arcobaleno, i membri dell’Immacolata Concezione, una parrocchia cattolica del centro di Atlanta, che ci salutavano e ci sorridevano. Parlammo con loro a cuore aperto e poi ci lasciammo, noi con calamite da frigo fighissime e T-shirt, loro con la nostra promessa che avremmo fatto loro visita il giorno dopo. La parrocchia è a sole due miglia da casa nostra.
Il mattino dopo parcheggiammo in una strada vuota di uno squallido quartiere del centro, noto soprattutto per i dormitori per senzatetto e i decrepiti edifici governativi. La chiesa spicca orgogliosamente in mezzo allo squallore. Dentro c’era il tutto esaurito ed era tutto un infuriare di abbracci e saluti da un banco all’altro. Quasi la metà dei presenti indossava T-shirt arcobaleno con il nome della parrocchia in bella vista. Era il gruppo misto più vario che avessi mai visto nel Sud, ancora oggi in gran parte segregazionista: gente di ogni razza, giovani e anziani, omosessuali ed etero. Il nostro banco sembrava un vagone della metropolitana di New York, a parte la puzza!
Il sacerdote, un tipo geniale simile a Babbo Natale, parlò con passione dell’amore di Gesù per tutti e terminò ricordando a chi voleva partecipare alla parata del Gay Pride dopo la messa di indossare le loro magliette arcobaleno e che il successivo aperitivo parrocchiale LGBTQ si sarebbe tenuto il venerdì. Il coro fece quasi venire giù il locale con uno spiritual trascinante, mentre tutti ballavano e battevano le mani. Finita la messa, il sacerdote e i diaconi si tolsero le vesti talari per esibire le loro magliette arcobaleno e camminare fieramente lungo la navata tra gli applausi generali.
Mio marito si voltò verso di me, gli occhi spalancati. “Non ho mai visto niente di simile in una chiesa cattolica, in tutta la mia vita.”
“Benissimo, allora questa è la nostra parrocchia” risposi.
La nostra parrocchia è unica, anche se non dovrebbe esserlo. Come è successo a molte altre, ha sofferto nel periodo in cui molta gente scappava dalle città per andare ad abitare nelle periferie, ma invece di chiudere decise di rimanere aperta per servire da punto di riferimento per chi rimaneva. Fu una delle prime nella zona di Atlanta a offrire un ministero per i sieropositivi, con cene settimanali per i malati, e la comunità LGBTQ, affetta in modo sproporzionato dal virus, venne così accolta dai parroci e dai parrocchiani. Le cene settimanali continuarono fino a metà degli anni ‘90, quando ormai si era sparsa la voce tra la comunità LGBTQ che c’era un luogo dove venivano accolti perché potessero ricevere l’amore di Dio, come chiunque altro.
Con tutti gli orribili scandali che hanno tartassato la Chiesa Cattolica, non c’è da stupirsi che molta gente sia sparita. Se vogliamo davvero distanziarci dalla Chiesa corrotta e isolazionista del passato, abbiamo bisogno di un progetto radicale di apertura e ospitalità. Molti cattolici ne sono convinti, come noi: non solo sono scandalizzati dalle accuse di abusi sessuali che stanno scuotendo la Chiesa, ma in gran parte sostengono il matrimonio omosessuale. Certamente, però, ciò che spesso si sente dal pulpito e si vede tra i banchi non è in armonia con questi valori, e questa dissonanza cognitiva mantiene la Chiesa radicata nel suo fosco passato.
Ma quando mi guardo attorno nella mia parrocchia, vedo un futuro di cui voglio essere parte, e anche se non ho mai voluto appartenere a nessuna parrocchia cattolica, è lì che mi troverete ogni domenica. Lì ho battezzato mio figlio, lì vado a messa. Sulla macchina ho attaccato un adesivo troppo bello, con il nome della nostra parrocchia; con questo voglio dire che mi sono sposata due volte, ma di adesivi da appiccicare sulla macchina ne ho avuto solo uno, perciò è senz’altro una cosa seria.
Forse pensate che sono diventata un po’, come dire, baciapile. Quest’anno, mentre manifesterò al Gay Pride con i miei parrocchiani, probabilmente mi guarderò attorno e, con un po’ di tristezza, mi chiederò perché le altre parrocchie cattoliche saranno assenti, ma sarò anche piena di gratitudine, perché per ora ho trovato il posto adatto a me, dove la grazia abbonda e tutti e tutte sono accolti.
* Caitlin Weaver è una newyorkese trapiantata nel profondo Sud degli Stati Uniti. È una madre lavoratrice che vive e lavora ad Atlanta, in Georgia. Il suo sito è www.notamommyblog.net
Testo originale: Believe It Or Not, I Became A Catholic Because Of Gay Pride