Come vuole Gesù che affrontiamo chi non ci accoglie?
Riflessioni bibliche di padre James Martin, S.J.* pubblicate su Outreach.faith (Stati Uniti) il 5 luglio 2025. Liberamente tradotte dai volontari del Progetto Gionata.
Il Vangelo di oggi, in cui Gesù invia in missione 72 discepoli (o 70, a seconda della traduzione), contiene quello che alcuni studiosi del Nuovo Testamento chiamano “la regola dell’equipaggiamento”. Gesù dà loro istruzioni precise: “Non portate né borsa, né sacca, né sandali, e non salutate nessuno lungo la strada” (Luca 10,4).
A prima vista, può sembrare una lista bizzarra di ordini, ma se li consideriamo nel loro contesto culturale, ci appaiono sotto una luce diversa.
Fiducia totale in Dio e nelle persone
Il comando di non portare con sé la borsa significava che i discepoli avrebbero dovuto fare completo affidamento su coloro ai quali si rivolgevano – e naturalmente su Dio.
È un insegnamento ancora vivo: oggi, in alcune province gesuite degli Stati Uniti, i novizi vengono inviati in quello che chiamano “esperimento di pellegrinaggio” con solo 25 dollari per una o due settimane.
Devono mendicare per raggiungere una meta (di solito un luogo di pellegrinaggio lontano) e poi ritornare. È un esercizio di semplicità e, soprattutto, un modo per imparare a confidare nella provvidenza.
Lo stesso vale per il non portare la sacca, che significa non avere con sé scorte di cibo o pane. Anche qui emerge l’invito a una fiducia radicale negli altri – e in Dio. Alloggiare presso chi li avrebbe accolti significava anche stabilire un legame più personale, più profondo, con quelle persone.
Una vulnerabilità scelta
Gesù dice: “Vi mando come agnelli in mezzo a lupi” (Luca 10,3). È un’immagine forte, che richiama una vulnerabilità assoluta. Pensiamo a un agnello indifeso circondato da lupi famelici. I discepoli del tempo, abituati alla vita pastorale, avrebbero colto subito la forza di questa immagine.
E poi c’è l’istruzione forse più strana: “Non salutate nessuno lungo la strada”. All’apparenza sembra un comportamento scortese. Quando lavoravo a Nairobi, negli anni ’90, tutti salutavano chiunque incontravano con un caloroso “Jambo!”. Non farlo, o anche solo evitare lo sguardo, era una violazione delle buone maniere.
Ma nei tempi di Gesù, salutare qualcuno significava spesso fermarsi a casa sua per un pasto o un drink, perdendo tempo prezioso. Gesù sembra sottolineare l’urgenza della missione: “Non fermatevi troppo in convenevoli, non sprecate tempo”.
Senza sandali, senza bastone, senza violenza
Cosa significa invece andare “senza sandali” (Luca 10,4), o, come riporta Marco, “senza bastone” (Marco 6,8)? Senza sandali, i discepoli non avrebbero potuto proteggersi dai serpenti o dagli insetti, né tanto meno fuggire di fronte al pericolo.
E senza il bastone, strumento tipico dei viandanti, non avrebbero potuto difendersi da animali o briganti (come quelli della parabola del Buon Samaritano).
Tutto questo suggerisce non solo una vulnerabilità scelta, ma qualcosa di più profondo: una radicale nonviolenza.
Il biblista Gerhard Lohfink, nel suo libro The Most Important Words of Jesus (Le parole più importanti di Gesù), osserva: “Se Gesù proibisce di portare un bastone, si sottintende che i suoi discepoli non portano neppure un pugnale o una spada corta… Chi è scalzo non solo non può fuggire, ma nemmeno combattere. In questo contesto, non parliamo solo di non-difesa, ma di nonviolenza.”
L’opposizione è prevista
Gesù non si fa illusioni. Sa bene che i suoi discepoli incontreranno opposizione. Quando ci chiede di pregare per i nostri nemici (Matteo 5,44), presuppone che ne avremo. Anche in questo episodio, si aspetta che il messaggio dell’amore, della misericordia, della pace e del perdono venga rifiutato.
Ma la risposta da dare non è la forza. Gesù ci chiede libertà interiore, indipendenza, e per usare un termine gesuita, “indifferenza”, cioè distacco. Dice: “In qualunque casa entriate, dite prima: ‘Pace a questa casa’. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui; altrimenti ritornerà su di voi” (Luca 10,5-6).
Non ordina: “Costringeteli ad accettarla.” Se non vi accolgono, “uscite e scuotete la polvere dai vostri piedi” (Luca 10,10-11). Non: “Fate loro guerra.”
Scuotere la polvere è un gesto silenzioso. Non ricevere la pace in cambio richiede calma, accoglienza serena. Ogni giudizio, dice Gesù, viene da Dio, non da noi.
Come rispondere oggi all’opposizione?
Anche noi incontriamo ostilità, e le persone LGBTQ+ spesso ne affrontano in ogni ambito. In queste settimane, ho ricevuto un’ondata di commenti offensivi, attacchi personali e insulti online – e anche dal vivo. Persino il nostro ritiro spirituale per cattolici LGBTQ+ è stato contestato da alcuni manifestanti… scandalizzati dal fatto che queste persone pregassero!
Un’amica impegnata nella pastorale LGBTQ+ mi ha detto: “Ci sono giorni in cui vorrei mollare tutto e dare fuoco al mondo!”
Ma Gesù ci prepara a questo. L’opposizione è da mettere in conto. E la risposta non è l’aggressività, ma una quieta determinazione. Come i discepoli, possiamo ritornare “pieni di gioia” (Luca 10,17), raccontando i frutti del nostro cammino. Perché, anche nell’opposizione, se seguiamo Gesù, possiamo fare meraviglie.
*James Martin, S.J., è un gesuita statunitense, fondatore di Outreach e caporedattore di America Media. È autore di numerosi libri su fede, spiritualità e accoglienza delle persone LGBTQ+ nella Chiesa, tra cui Building a Bridge (Costruire un ponte, HarperOne, 2017).
Testo originale: How does Jesus want us to deal with opposition?

