Cosa accade quando un vescovo e un gruppo di genitori cattolici con figli LGBT dialogano insieme?
Testo di Casey e Mary Ellen Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay), Trafford Publishing, 2003, capitolo 14, pp.104-114, liberamente tradotto da Diana
Fratelli gay e sorelle lesbiche, per anni nelle nostre conversazioni mi avete detto che […] molto spesso la nostra comunità di fedeli appare ostile; che non vi sentite accolti; che le vostre battaglie, i vostri problemi, le vostre domande, le vostre gioie, i vostri dispiaceri, i vostri talenti, le vostre necessità, i vostri doni non vengono rispettati come dovrebbero. Spero di poter dire con fiducia che la riunione di oggi pomeriggio vuole essere il segno di un diffuso sentimento, fra la gente della nostra diocesi, del desiderio di lavorare meglio su questo tema. Noi vorremmo, in modo gratificante e genuino, trasmettervi il rispetto che proviamo per la vostra integrità, la vostra bontà e i vostri doni. E diciamo, con la stessa onestà, che siamo più deboli se non apprezziamo i meravigliosi doni che Dio vi concede per la grazia della nostra comunità. Così, vi chiedo per favore di perdonarci per tutte le volte che, consapevolmente o meno, abbiamo mancato di onorarvi e rispettarvi.
Monsignor Matthew Clark, vescovo di Rochester (1° marzo 1997)
Alle due del pomeriggio del 1° marzo 1997 il vescovo Matthew Clark fece il suo ingresso nella cattedrale del Sacro Cuore di Rochester, nello Stato di New York (Stati Uniti). Fu accolto dalle voci di più di 1.200 gay e lesbiche con le loro famiglie ed amici che cantavano “Tutti sono benvenuti in questo luogo”. Quel momento, e la celebrazione dell’Eucarestia, resteranno per sempre incisi nei cuori di coloro che erano presenti. Anni di preghiere, di ascolto e studio hanno preceduto la coraggiosa decisione pastorale di monsignor Clark di offrire l’abbraccio di riconciliazione dell’Eucarestia alle persone cattoliche omosessuali e a tutti coloro che le amano.
Questa storia dimostra cosa possono produrre la preghiera, la perseveranza e la pazienza. Cinque anni prima, il Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM, composto da tre suore, tre laici, compresi Casey e me, e due preti) aveva avuto l’incarico di trovare un modo per accogliere pienamente nella propria chiesa i fratelli gay e le sorelle lesbiche.
All’inizio il nostro gruppo non aveva le idee chiare su quanto dovessimo fare. Tenemmo alcune riunioni di brainstorming a cena, ma continuavamo a cercare un modo per far partire il ministero omosessuale, quando si presentò un’opportunità inaspettata. Nel luglio del 1992 la Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede pubblicò un documento indirizzato ai vescovi statunitensi intitolato Alcune considerazioni concernenti la risposta cattolica alle proposte legislative sulla non discriminazione delle persone omosessuali. Ci si può immaginare il dolore e la rabbia causati da dichiarazioni come questa: “Ci sono luoghi in cui non è ingiusta la discriminazione verso l’orientamento sessuale, per esempio in caso di adozioni o affido di bambini, nell’impiego di insegnanti o allenatori sportivi e nella vita militare”.
Queste parole danno l’impressione che le autorità ecclesiastiche non solo credono, ma sono anche pronte a divulgare stereotipi che insistono sul fatto che i gay siano pedofili e che i gay e le lesbiche possano essere pericolosi per i bambini e indegni di servire la loro nazione come militari. I gay e le lesbiche cattolici non avevano intenzione di stare in silenzio e venire calunniati: scrissero lettere e telefonarono agli uffici della Cancelleria. A Rochester il vescovo Matthew Clark rispose dalla sua rubrica settimanale del Corriere Cattolico, proponendo “di dialogare su questi argomenti sensibili con i cattolici omosessuali, in modo da approfondire la comprensione reciproca, cosicché, nel caso si sia in disaccordo, lo si esprima con rispetto per continuare insieme il nostro comune cammino di fede”.
Conoscendo molti cattolici gay e lesbiche, il Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM) fu in grado di programmare e facilitare questo incontro per il vescovo Clark. L’incontro fu pensato come una semplice opportunità per parlare con sincerità e ascoltarsi con rispetto. Il vescovo Clark sentì il dolore e la rabbia e fu testimone dell’alienazione provata dai cattolici gay e lesbiche della diocesi di Rochester. Sebbene da questo incontro non si sviluppassero azioni particolari, i partecipanti sperimentarono tutti insieme il dolore e la speranza e i limiti che tutti viviamo nei ministeri con i gay e le lesbiche. Ogni partecipante riconobbe e comprese che lo Spirito Santo avrebbe operato e che una grande fede e pazienza sarebbero state necessarie prima che le persone gay e lesbiche fossero accolte pienamente e incondizionatamente nella Chiesa che amano.
Il Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM) uscì dall’incontro consapevole del serio bisogno di saperne di più, specialmente per i comuni fedeli. Sviluppammo una serie di laboratori sul discernimento morale in relazione all’omosessualità, utilizzando il classico modello quadrangolare di processo morale decisionale: Scritture, Tradizione, ragione ed esperienza. Questo laboratorio, disponibile per ogni parrocchia e gruppo, è il lavoro di base del Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM). L’altro punto su cui ci si focalizza è il supporto ai genitori cattolici di figli gay e figlie lesbiche: giornate annuali di riflessione, incontri nelle parrocchie e una linea telefonica per confidarsi.
Nel settembre del 1996 il Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM) instaurò una relazione di collaborazione con la diocesi di Rochester. Nella dichiarazione della sua missione si legge: “Il Ministero Famigliare per Persone Gay e Lesbiche Cattoliche, a nome della diocesi di Rochester, sostiene e facilita la cura pastorale per le persone lesbiche e gay, le loro famiglie e amici. La nostra guida per tale ministero è la lettera pastorale dei vescovi statunitensi che recita: ‘Le persone omosessuali, come chiunque altro, non devono subire pregiudizi contro i loro diritti umani. Hanno il diritto al rispetto, all’amicizia e alla giustizia. Dovrebbero avere un ruolo attivo nella Comunità cristiana’”.
Il resoconto di come Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM) ha iniziato la sua attività, e la storia di Florence e Steve Balog, genitori di due gemelle lesbiche (capitolo 13), sono solo due esempi di come la cura pastorale per cattolici gay e lesbiche possa diventare realtà. Nel processo di costruzione del ministero durante gli incontri e confrontando le esperienze reciproche, Ministero Famigliare per le Persone Gay e Lesbiche Cattoliche (CG&LFM) ha redatto una lista di strategie che possono essere utili a sviluppare un ambiente accogliente per i cattolici gay e lesbiche.
Strategie per aiutare le persone gay e lesbiche e le loro famiglie a sentirsi accolte nella loro Chiesa
1. Assicurate a tutti l’ospitalità. Quanto è ospitale la vostra parrocchia? Se il parrocchiano non si sente ben accolto, ai margini della Chiesa, di certo non si sentirà il benvenuto.
2. Rompete il silenzio e continuare a mandare segnali. Always Our Children dice: “Quando parlate in pubblico usate i termini ‘omosessuale’, ‘gay’ e ‘lesbica’ in modo onesto e preciso”. L’uso di queste parole da parte di persone che hanno un ruolo di leadership permette agli altri di parlare dei loro cari gay e lesbiche e delle tematiche relative. Può essere il segnale di cui è alla ricerca chi ha bisogno di cura pastorale. Un altro segnale è quello di mettere nell’atrio della chiesa alcune copie di Always Our Children e altra documentazione simile. Mandate spesso questi segnali, e in molti modi. Le persone spesso non vedono e neppure sentono i segnali più evidenti finché non ne hanno assolutamente bisogno.
3. Assicurate la coerenza. Come tratta la vostra parrocchia i divorziati e i separati? I divorziati che si sono risposati senza annullamento del matrimonio precedente? Le coppie eterosessuali di conviventi, giovani o meno giovani? Le persone con coniugi non cattolici? Le persone lesbiche e gay, singole o in coppia, e le loro famiglie, vengono trattate come altri che si possono sentire ai margini della Chiesa? Oppure usate due pesi e due misure?
4. Focalizzatevi sulla persona. Le persone gay e lesbiche non sono un “problema”. Usate i termini “gay” o “omosessuale” solo come aggettivi. Dite “persone gay e lesbiche” e non “gay e lesbiche”. Metteteci un volto. Se le persone vogliono essere “al di fuori della società”, trovate il modo di farvi raccontare le loro storie.
5. Ascoltate. Comprendete le obiezioni. Distinguete col discernimento che cosa è dovuto alla mancanza di informazioni (il che richiede educazione) e cosa a una credenza irrazionale (il che richiede cambiamento di cuore). Fate un ulteriore sforzo per ascoltare le persone che pensano di non essere ascoltate.
6. Siate sinceri. Può essere estremamente difficile quando le vostre argomentazioni si scontrano con orecchie sorde, eppure voi credete che quanto state facendo sia giusto. Cercate di non esagerare, per esempio parlando delle cause dell’orientamento sessuale o della percentuale di persone omosessuali.
7. Non confondete le tematiche. Focalizzatevi sull’inclusione come vostro obiettivo e non fatevi distrarre da altre tematiche. Per esempio, alcuni dei vostri alleati potrebbero aver l’intenzione di modificare la dottrina cattolica: se le tematiche non vengono tenute separate, questo diventerà il tema principale e l’inclusione verrà messa da parte. C’è parecchio da lavorare per quanto riguarda la dottrina cattolica.
8. Lavorate con gli altri. Chi altro non si sente ben accolto? I divorziati, i separati? Le minoranze etniche e razziali? I giovani? Chiunque si senta diverso? Cosa si può fare insieme ad altri che si sentono ai margini? E cosa dire degli amici di altre fedi o di altre organizzazioni laiche? Gli alleati possono anche aiutarvi a superare questi momenti difficili quando il gioco si fa duro.
9. Non reinventate il mondo. Non copiate ciecamente, ma, se qualcosa può andar bene per voi, copiate senza vergognarvi quello che altri hanno fatto. Date credito dove occorre e chiedete sempre il permesso di appropriarvi di esperienze altrui.
10. Siate pazienti. La strategia generale del nostro ministero locale si può sintetizzare nel motto: “Non si sa mai!”. Da una parte, questo significa che non sapete mai chi è lesbica o gay, o se qualcuno è innamorato, e di chi, così rimaniamo sempre sensibili a questa possibilità. Significa anche che non importa quanto paia insignificante uno sforzo, quante poche persone paia raggiungere, o quante poche risposte sembra che riceviate da chi vi ascolta, non saprete mai chi avete toccato e in modo farete la differenza, magari fra molti anni.
Nessuna parrocchia può dire: “Non ci serve trattare questo tema. Nella nostra parrocchia non esistono gay”. Questa negazione crea silenzio sull’omosessualità e aumenta il senso di isolamento, sia per le persone gay e lesbiche che per le loro famiglie.
Quando i genitori cattolici provano paura per i loro figli e dolore e confusione sul loro orientamento sessuale, possono sentirsi a loro agio nel rivolgersi ai loro sacerdoti per la cura pastorale? Alcuni sì e altri no. Quelli che non sono a proprio agio possono temere di venir biasimati, che i loro figli vengano giudicati e condannati, o semplicemente essere troppo imbarazzati per esprimere i loro sentimenti. I genitori che hanno trovato sostegno nei loro sacerdoti o padri pastorali erano abbastanza soddisfatti dell’aiuto ricevuto. Più della metà ha affermato che gli incontri coi loro sacerdoti e padri pastorali sono stati “molto utili”. Forse questi preti, suore e padri pastorali hanno inviato segnali sottili, che i genitori hanno compreso, oppure i genitori che partecipavano a tali incontri trovavano sempre persone empatiche; forse questi sacerdoti comprendevano il dolore e i timori di questi genitori. I sacerdoti hanno un’opportunità unica di aiutare genitori che soffrono, ma anche di aprire un dialogo con l’intera comunità dei fedeli, con solidi programmi educativi.
Raggiungere i cattolici gay e lesbiche e i loro genitori può essere semplice come fornire copie di Always Our Children negli scaffali delle parrocchie o elaborare lo sviluppo e l’implementazione di una missione inclusiva e di accoglienza, come raccontato nel capitolo.
Ogni parrocchia si avvicinerà al ministero pastorale per i cattolici lesbiche e gay e le loro famiglie in modo da utilizzare le proprie particolari forze e talenti per venire incontro alle necessità delle persone omosessuali. Un esempio: parecchi anni fa la parrocchia di Santa Maria di Rochester offrì un programma quaresimale che si basava sul fatto che noi tutti soffriamo in modi diversi, e spesso abbiamo bisogno di chiedere aiuto. Il programma consisteva in un gruppo di parrocchiani che, semplicemente, raccontavano la loro storia.
Un signore anziano parlava della sua solitudine dopo la morte della moglie avvenuta un anno prima; una giovane coppia parlava del suo profondo dolore per la perdita di due bambini in seguito ad aborto spontaneo, nei primi anni del loro matrimonio; una coppia di mezza età descriveva la frustrazione e l’esaurimento derivante dal prendersi cura della famiglia (e uno dell’altra) per molti anni; e infine, una donna lesbica parlava della sua esperienza del coming out.
Quest’ultima storia fu una rivelazione per tutti coloro che la ascoltavano, e molti si commossero fino alle lacrime. Ma ciò che si nascondeva dietro questa storia si riassumeva in tre punti basilari: 1) questa donna lesbica aveva fiducia almeno in una persona del gruppo dei sacerdoti; 2) questo gruppo pastorale le rispose in modo sensibile; 3) il gruppo pastorale fu concorde che, se la donna era d’accordo, l’intera comunità dei fedeli avrebbe tratto beneficio dall’ascoltare la sua storia.
Nel giro di un anno questa donna, con un piccolo gruppo di parrocchiani gay e lesbiche, diede vita ad un gruppo di sostegno. Si incontravano in casa e diffondevano le notizie del gruppo col passaparola. Dopo un po’ di tempo, inserirono un avviso nel bollettino domenicale e invitarono gli interessati ad un incontro in canonica. Il gruppo fu chiamato “gruppo di sostegno di Santa Maria per persone gay e lesbiche”.
Quando cominciarono a venire persone eterosessuali, al gruppo fu aggiunto “famiglie ed amici”. Il format delle riunioni iniziava con la preghiera; successivamente, si discuteva di cosa avveniva nelle loro vite, comprese le frustrazioni (spesso nei confronti della Chiesa); si cercavano notizie sui coming out; a volte si confortava una persona addolorata o in lutto, e a volte si condividevano buone notizie. Si trattava di un gruppo di amici nuovi e vecchi, che si trovano per darsi un aiuto reciproco: una bella iniziativa, ma dopo circa un anno il gruppo cominciò a disgregarsi: alcuni dei leader avevano traslocato e le conversazioni diventavano ripetitive. Alla fine, erano rimasti soltanto i leader che si mettevano in mostra, e così fu tenuto un incontro di emergenza.
Si presero tre importanti decisioni in questo incontro di emergenza: primo, il gruppo avrebbe continuato, anche solo perché era importante avere degli avvisi nel bollettino parrocchiali due volte al mese. Chi vedeva questi annunci sapeva che le persone gay e lesbiche erano benvenute in parrocchia, che volessero partecipare alle riunioni oppure no.
Secondo, si doveva cambiare il nome del gruppo. Il significato era che le persone non avevano necessità di un altro gruppo di sostegno e ci fu un po’ di discussione sul fatto che forse alcuni potevano pensare che il gruppo volesse aiutarli ad uscire dal loro cosiddetto “stile di vita”. Così il gruppo divenne “collegamento” parrocchiale per persone gay, lesbiche, famiglie ed amici, che era sia pastorale che inclusivo.
Terzo, furono aggiunti componenti di educazione, preghiera e servizio agli elementi già stabiliti della comunità; così, agli occasionali pranzi al sacco e alle serate al cinema furono aggiunti un progetto di servizio annuale, un giorno all’anno di riflessione spirituale e quattro forum educativi ogni anno.
Per parecchi anni il nuovo format funzionò e l’intera comunità parrocchiale fu arricchita dalle offerte educative, ma inevitabilmente il gruppo di leader si logorò e l’interesse diminuì, mentre altri gruppi di volontari a loro volta crescevano e calavano nel tempo; ma nel frattempo le persone gay e lesbiche si erano perfettamente integrate nella vita parrocchiale di Santa Maria, dal Ministero per l’Eucarestia e le Scritture al comitato e al consiglio parrocchiali. Così, mentre un ministero formale attivo per le persone gay e lesbiche a volte è elusivo, questa parrocchia dimostra come si può essere accoglienti.
In un’altra parrocchia un sacerdote, che nel corso degli anni era divenuto consapevole del fatto che parecchie coppie avevano figli omosessuali, formò un gruppo di sostegno per quei genitori, in modo che potessero avere la possibilità di incontrarsi con altri genitori per parlare delle loro esperienze e preoccupazioni. C’era molta ansia che questi gruppi potessero essere disturbati da persone che non erano genitori di figli omosessuali, che potevano avere l’intenzione di formare dei gruppi “etero” per mettersi in contrapposizione.
Un articolo commovente del parroco nel bollettino domenicale, che raccontava la sua esperienza con i cattolici omosessuali e i loro genitori, annunciava la formazione di un gruppo che si sarebbe riunito mensilmente: le persone interessate dovevano chiamarlo per maggiori informazioni. Questo serviva a dare il benvenuto e a rassicurare chi poteva essere nervoso sul fare il coming out in un gruppo e serviva anche a smascherare coloro che avrebbero potuto essere dei disturbatori.
All’inizio il gruppo si limitò a confrontarsi solo con i parrocchiani, ma dopo circa sei mesi l’invito fu esteso alle parrocchie vicine. I genitori leader furono mandati fuori dal gruppo e questo rendeva difficile il contatto; questo creò anche un ambiente di timore e di vergogna, e poiché questi sono dei sentimenti comprensibili per chi sta ancora lottando, se la leadership non è stata in grado di elaborare questi sentimenti, il gruppo sarà molto svantaggiato.
Un altro gruppo di sostegno per genitori fu fondato quando una mamma si avvicinò al parroco e gli chiese se il gruppo poteva incontrarsi nelle sale della parrocchia. Il parroco rispose di sì e toccò alla mamma e a suo marito farlo diventare una realtà. Ci volle molto tempo, energia e perseveranza: pianificare dove e quando incontrarsi, pubblicizzare gli incontri a livello locale e nei bollettini della diocesi, decidere come trattare le potenziali difficoltà e forse, più difficile di tutto, perseverare, anche se per mesi interi si sarebbero presentate solo poche persone. Quattro anni dopo, non solo questo gruppo era sopravvissuto, ma era cresciuto, e ora la diocesi ha un luogo in cui i genitori possono incontrarsi in un luogo protetto per condividere le loro paure e le loro gioie.
I risultati dell’inchiesta indicano chiaramente che ci sono preti, suore e padri pastorali ben informati e sensibili. Questi ministri possono essere un punto di riferimento per il supporto e l’educazione di altri ministri nella diocesi. Dovrebbero essere incoraggiati a condividere le loro conoscenze, le loro capacità e le loro intuizioni con i pastori (sia consacrati che laici) nelle altre diocesi del Paese. L’Associazione Nazionale dei Ministeri Diocesani Cattolici per Persone Gay e Lesbiche (NACDLGM) è un’organizzazione che può aiutare gli addetti alla pastorale: “(a) discutendo strategie per iniziare un ministero pastorale con cattolici lesbiche e gay e le loro famiglie; (b) trovare risorse; (c) connettersi in rete per condividere idee, per raggiungere tutti, per supporto ed educazione”.
Raggiungere tutte le persone, il sostegno e l’educazione in relazione alle persone omosessuali ed alle loro famiglie può essere difficile all’inizio, soprattutto per i timori sopracitati, ma anche per la natura controversa dell’omosessualità nella società odierna. Nel 1999 l’allora presidente della Conferenza Episcopale Statunitense, Joseph Fiorenza, disse: “L’omosessualità è un tema talmente sensibile nella nostra società, che raggiungere tutte le persone e creare un ministero per le persone omosessuali, anche se fatto in accordo con la dottrina cattolica, può ancora essere soggetto a incomprensioni e critiche (forse con conseguente esitazione), per impegnarsi in questo voler raggiungere tutti […] La Congregazione per la Dottrina della Fede chiaramente non vuole che si faccia”.
Tale coinvolgimento di tutte le persone può iniziare a livello di parrocchia o di diocesi solo quando il silenzio è rotto; solo allora si può sviluppare tale coinvolgimento di sostegno per famiglie con membri gay e lesbiche e forum educativi per tutti i parrocchiani sulla sessualità e l’omosessualità. Rompere il silenzio può avvenire in molti modi diversi; per esempio, chi guida le preghiere e le omelie può pronunciare le parole omosessuale, gay, lesbica e può coinvolgere le persone gay e lesbiche per pregare per coloro che sono oppressi o discriminati.
Si svilupperebbe un bene indicibile se ogni diocesi fornisse una copia di Always Our Children a ogni sacerdote e li incoraggiasse ad intraprendere dei passi, piccoli o grandi, per implementare le raccomandazioni pastorali. Questo richiama una specifica preoccupazione dei genitori, ossia che questo documento non sarà mai diffuso o realizzato. Possono essere necessari ulteriori sforzi perché copie di questa lettera pastorale vengano finalmente rese disponibili per tutti in ogni parrocchia. Ogni sacerdote in ogni parrocchia dovrebbe conoscere Always our children.
Questo messaggio pastorale merita una lettura attenta e sensibile ed uno studio da parte di tutta la comunità di fedeli. È importante per loro sentire parole come queste tratte dal documento: “Non basta evitare un’ingiusta discriminazione. Le persone omosessuali ‘devono essere accettate con rispetto, compassione e sensibilità’. […] Nulla nella Bibbia o nella dottrina cattolica può essere utilizzato per giustificare atteggiamenti e comportamenti di pregiudizio o discriminazione. […] Dio non ama qualcuno di meno semplicemente perché omosessuale”.
Always Our Children invita l’intera comunità dei fedeli a vivere i valori evangelici dell’amore e della giustizia. I genitori possono semplicemente chiedere ai pastori di ordinarne delle copie e assicurarsi che siano disponibili in chiesa. Con tale semplice richiesta i genitori si possono considerare gli iniziatori di un ministero nella loro area, diventando ministri laici per altri genitori che li vedono come fonte di sostegno, educazione, guida e speranza. Anche i responsabili pastorali possono beneficiare nell’ascoltare le loro storie, le loro pene e la loro gioia.
Come obiettivo a lungo termine, ogni diocesi può sviluppare ed implementare un ministero basato sui suggerimenti e sulle raccomandazioni pastorali di Always Our Children, supportando le famiglie dei cattolici gay e lesbiche, educando l’intera comunità dei fedeli su temi relativi alla sessualità e al discernimento morale all’interno della Chiesa Cattolica, ed infine creano un ambiente rispettoso ed accogliente per tutte le creature di Dio.
Termino questo capitolo con un racconto che illustra come dovrebbe essere una parrocchia accogliente.
Kurt e Doug dovevano essere papà. Doug è un insegnante di sostegno; premura ed empatia trasudano da ogni sua parola e gesto. Kurt lavora per una grande azienda e ha un grande spirito; il suo amore e la sua gioia per la vita sono contagiosi. Si sono incontrati in chiesa, quando Kurt stava cantando nel coro e Doug era ministro per la liturgia.
Dopo essere stati insieme per dieci anni, decisero che era ora di intraprendere il passo successivo: volevano adottare un bambino. Pregarono, discussero e studiarono, e dopo molte ricerche decisero di adottare un bambino vietnamita. Nonostante la frustrazione e lo stress legati a questo processo, le cose stavano andando abbastanza bene. A Doug, come genitore adottivo legale, fu detto che avrebbero avuto una bambina. Ricevettero una foto e diedero un nome alla loro figlia. Due mesi prima di andarla a prendere (mentre gli amici stavano preparando una festa alla bambina), gli fu notificato che l’agenzia di adozione in Vietnam era finta e la bambina non era più disponibile. La famiglia e gli amici si riunirono intorno a loro per consolarli della loro perdita. Kurt e Doug erano determinati ad andare avanti, e parecchi mesi dopo andarono in Vietnam e riportarono indietro loro figlio, un bambino di 5 mesi, “DJ”.La prima domenica in cui Kurt e Doug portarono in chiesa DJ, il parroco accolse pubblicamente il bambino nella comunità ed annunciò che dopo la Messa ci sarebbe stata una benedizione speciale per chiunque avesse adottato un bambino, fosse stato lui stesso adottato o fosse in qualsiasi modo toccato dal miracolo d’amore che l’adozione significa. Almeno una cinquantina persone si fermarono per questa benedizione. Dopo la benedizione, alcuni amici gay e lesbiche di Kurt e Doug si fermarono per una foto di gruppo. La foto dei loro bambini adottati sembrava l’ONU dei bambini: bambini, neri, bianchi e di tutte le sfumature di colore che provenivano dalla Colombia, dall’Ungheria, dalla Cina, dal Vietnam e dagli Stati Uniti. Così DJ fu accolto calorosamente e pochi mesi dopo fu battezzato durante la Messa domenicale, con una coppia sposata ed un prete come padrini. Potete essere sicuri che l’intera comunità di fedeli confermerà i doni di questa “famiglia fortunata”.
Questi giovanotti provengono da “famiglie fortunate”… e tutti lo sanno. Doug è il figlio di “SJ” la cui storia è narrata nel capitolo 8. Tutti in famiglia amano Doug e suo figlio DJ. I genitori di Kurt sono d’aiuto. La nonna di Kurt (la bisnonna di DJ) non vede l’ora di vedere ogni estate Kurt, Doug e specialmente DJ nel loro cottage di montagna. Il riconoscimento della fortuna delle nostre famiglie e la volontà di condividere questa fortuna, queste buone notizie con tutti coloro con cui veniamo in contatto, cambieranno certamente il mondo.