Cosa ci raccontano le tracce delle vite queer sopravvissute alla persecuzione nazista
Testo di Elsa Fischbach, pubblicato sul sito del Centre LGBTIQ+ CIGALE (Luxembourg) il 31 gennaio 2023. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
La memoria implica conoscenza. Questo articolo è dedicato alla Giornata della Memoria (che si celebra il 27 gennaio), ed esplora le tracce lasciate dalle vite queer nel contesto del nazionalsocialismo.
Uno degli aspetti più studiati è la persecuzione degli uomini omosessuali. Già nel 1871, l’Impero tedesco aveva introdotto il paragrafo 175 del codice penale, che criminalizzava gli atti omosessuali tra uomini. Sotto il regime nazista, questa legislazione fu ulteriormente inasprita, portando molti uomini omosessuali nei campi di concentramento.
Contrassegnati con il triangolo rosa, erano relegati al gradino più basso della gerarchia del campo. L’intensa omofobia e stigmatizzazione del tempo fecero sì che pochissimi sopravvissuti osassero parlare della propria omosessualità dopo la fine del nazionalsocialismo.
Tuttavia, la persecuzione degli uomini omosessuali è relativamente ben documentata grazie agli archivi storici. La situazione è diversa per le altre identità queer, come le donne queer e le persone transgender. Sebbene non fossero direttamente perseguitate per la loro identità, queste persone non rientravano nella visione nazionalsocialista del mondo. Molte furono deportate nei campi di concentramento come “asociali”, poiché la loro vita non si conformava alle norme del regime.
Le donne lesbiche, ad esempio, rappresentavano una minaccia per l’eteronormatività, poiché sfidavano le aspettative sociali rifiutandosi di sposare uomini e avere figli. Esse sono scarsamente documentate nelle fonti storiche, il che ha contribuito a renderle invisibili. Tuttavia, le persone queer hanno sempre fatto parte della storia, inclusa quella dei campi di concentramento.
Oggi disponiamo di un linguaggio più sviluppato per descrivere le esperienze queer. All’inizio del XX secolo, le persone transgender venivano definite “travestiti” (termine coniato da Magnus Hirschfeld).
Una cosiddetta “licenza di travestimento” permetteva loro di indossare abiti del sesso opposto in pubblico senza timore di sanzioni. Era persino possibile, in alcuni casi, modificare lo stato civile. Tuttavia, queste licenze non proteggevano le persone transgender dal paragrafo 175. Durante il regime nazista, infatti, erano sospettate di omosessualità e quindi considerate nemiche dello Stato.
Un esempio significativo è quello di Liddy Bacroff, definita all’epoca “travestita”. Bacroff, che viveva come donna ad Amburgo, lavorava come sex worker e aveva rapporti sessuali con uomini, che dichiarava apertamente. Questo la portò a essere arrestata più volte in base al paragrafo 175. Durante la detenzione scrisse diversi testi, tra cui “Libertà! (La tragedia di un amore omosessuale)” e “Un’esperienza da travestito. L’avventura di una notte nel bar di travestiti Adlon!”.
Nel 1938, Bacroff richiese la “castrazione volontaria”. Un medico legale la dichiarò “corruttrice dei costumi” e “incorreggibile”. Nello stesso anno fu condannata a tre anni di carcere, seguiti dalla detenzione preventiva come “recidiva pericolosa”. Trasferita in vari penitenziari, nel 1942 fu deportata al campo di concentramento di Mauthausen (Austria), dove fu assassinata l’anno successivo.
Le donne lesbiche, pur non perseguitate direttamente per la loro sessualità, furono escluse e prese di mira come “asociali” (triangolo nero). Non esistendo una categoria di detenzione specifica per le donne omosessuali, è difficile tracciare le loro vicende. Anche le tendenze patriarcali nella storiografia hanno contribuito a marginalizzare la ricerca sulle donne queer durante l’Olocausto.
Oggi restano pochi documenti relativi alle donne lesbiche nei campi di concentramento. Tuttavia, conosciamo alcuni nomi, come quello di Eleonore Behar. Questa giovane donna ebrea, deportata nel ghetto di Theresienstadt nel 1945, si innamorò di Anna Lenji, una giovane ungherese. Dopo la liberazione del ghetto da parte dell’Armata Rossa il 9 maggio 1945, Behar emigrò con sua madre in Cile, dove visse fino alla sua morte nel 2011. Anna Lenji vive ancora a Haifa, in Israele.
Perché queste storie sono importanti?
Durante l’Olocausto, i desideri sessuali e i generi non conformi erano stigmatizzati nei ghetti e nei campi. I sopravvissuti raramente ne parlavano o, peggio, venivano descritti come mostri perversi. Ricostruire la storia delle persone queer è un compito arduo, frammentato, che richiede ulteriori ricerche. Anche gli studi sugli uomini omosessuali sotto il nazismo sono tutt’altro che conclusi.
Il 2023 è stato il 78° anniversario della liberazione dell’Europa dal nazionalsocialismo. Ricordare i crimini nazisti ci mostra il pericolo dell’odio e dell’indifferenza di fronte all’esclusione e alla perdita dei diritti altrui.
In un momento in cui la violenza contro le persone queer è in aumento, la storia ci insegna che la lotta per la libertà, l’uguaglianza e il rispetto deve continuare ogni giorno.
Testo originale: À la recherche des traces queers
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