Cosa può insegnare alle persone LGBT il coming out della regina Ester
Riflessioni bibliche di Ariel Sobel* pubblicate sul sito The Jewish News of Northern California (Stati Uniti) il 18 marzo 2019, liberamente tradotte da Claudia Pannozzo
La regina Ester aveva un segreto, una realtà violenta e totalizzante che le pulsava nelle vene e la teneva sveglia la notte. Le faceva sembrare ogni stanza una cella d’isolamento. Se fosse stato scoperto, le avrebbe potuto far perdere il lavoro, il matrimonio e persino la vita.
Ma scivolare nel silenzio non era accettabile, per cui, dopo anni di tormenti, Ester rivelò di essere ebrea.
Quando Ester decise di fare coming out con suo marito, il re Assuero, non lo stava facendo soltanto per se stessa. Il consigliere del re, Aman, stava pianificando il genocidio di tutti gli ebrei di Persia. Aman, nel guidare il governo, aveva ingiustamente diffamato gli ebrei, rendendo le loro differenze un’arma per poterli tacciare di immoralità.
Ester decise infine che se il re l’amava davvero, l’avrebbe amata anche da ebrea. E se l’amava da ebrea, avrebbe potuto imparare ad amare tutti gli ebrei, o almeno avere la clemenza di impedirne lo sterminio. Era un vero e proprio azzardo.
Ricordo di averne fatto uno simile nel fare coming out con mia madre.
Sebbene mia madre non sia a capo di un impero, è decisamente l’imperatrice della mia famiglia. Ho puntato sul fatto che quando diceva di volermi bene, voleva bene ad ogni parte di me, anche quelle che non poteva vedere. Finché non avesse saputo della mia capacità di amare le donne, non sarei mai stata in grado di amare me stessa fino in fondo, quindi, come ha fatto Ester, ho tolto il velo e ho rivelato di essere nata in una seconda comunità sotto attacco.
Il nocciolo della storia di Purim è un coming out. È arrivata l’ora di riconoscerlo e di usare come esempio la tradizione di Ester di rivendicare la propria identità per trasformare Purim in una festività che includa le persone LGBTQ.
Così come non era possibile per Ester restare nell’armadio, non lo era per me se avevo intenzione di essere la me stessa più autentica, né lo è per qualunque persona LGBTQ, per quanto tradizionalista possa essere la sua comunità.
Non soltanto le persone LGBTQ vengono sterminate in tutto il mondo da bigotti come Aman, ma vengono assassinate da un sistema che le indottrina a odiare se stesse. Non obbediamo alle leggi di genere, perché ci ribelliamo contro il sesso che ci è stato assegnato alla nascita o contro l’eterosessualità che ci viene imposta da tanti, il che è visto erroneamente da molti come una minaccia all’ordine sociale.
Come gli ebrei ai tempi di Ester, siamo sparpagliat* per il mondo e non tollerat*, una comunità globale isolata all’interno delle nostre rispettive comunità e dei nostri rispettivi Paesi. In otto di queste nazioni, essere omosessuale è punibile con la morte.
Negli Stati Uniti non serve un esercito per uccidere una persona queer. Quando facciamo coming out, non sempre veniamo accettat* come lo fu Ester: veniamo rimproverat*, tradit* e picchiat*.
Nel 1998 Matthew Shepard fu picchiato, torturato e lasciato a morire nel Wyoming perché gay. Secondo l’Anti-Violence Project (AVP, Progetto Anti Violenza), nel 2017 sono stati uccisi cinquantadue americani perché queer: un record di morti dall’anno in cui abbiamo perso Matthew, il cui assalitore ha sostenuto in tribunale che Matthew, flirtando con lui in un bar, aveva innescato in lui uno stato di pazzia temporanea che l’aveva portato ad uccidere. Ora, vent’anni dopo, in quarantasette Stati la difesa da “panico gay” è ancora permessa per giustificare crimini violenti contro individui LGBTQ. In settantacinque nazioni, il matrimonio omosessuale è ancora illegale.
Giovani lesbiche, gay e bisessuali hanno cinque volte più probabilità di tentare il suicidio dei loro coetanei eterosessuali. Più della metà degli adolescenti transgender, più del 40% dei giovani di genere non binario e quasi un terzo delle adolescenti transgender hanno tentato di porre fino alla loro vita.
Questo è un diretto risultato della perenne guerriglia portata avanti dal nostro governo contro le persone queer. Quando è trapelato un memorandum dell’amministrazione Trump che cercava di cancellare l’esistenza delle persone transgender e privarle dei loro diritti, le chiamate al numero verde antisuicidi per persone transgender sono quadruplicate.
Persino le comunità ebraiche, che conoscono meglio di chiunque altro l’orrore di venire private della propria identità, hanno preso parte a pratiche barbariche come le terapie di conversione.
Noi, nella comunità LGBTQ, non facciamo coming out soltanto per vivere a pieno: fare coming out è un sacrificio comunitario, un atto attraverso il quale rischiamo la nostra sicurezza per creare empatia verso altre persone queer.
Harvey Milk, icona dei diritti omosessuali ebraici, l’aveva capito. Ha esortato i suoi coetanei a uscire dall’armadio per incoraggiare i loro circoli a votare contro le leggi di discriminazione LGBTQ: “Vorrei vedere ogni dottore, ogni avvocato, ogni architetto omosessuale fare coming out, alzarsi in piedi e farlo sapere al mondo. Questo riuscirebbe a porre fine ai pregiudizi da un giorno all’altro molto più di quanto ci si possa immaginare. Li esorto a farlo, li esorto a fare coming out. Solo a quel punto cominceremo a conquistarci i nostri diritti” disse Milk nella cassetta che aveva registrato nell’eventualità che venisse assassinato: “Se una pallottola mi si conficcherà nel cervello, fate in modo che quella stessa pallottola distrugga ogni porta di ogni armadio nel Paese”.
Proprio come venire a sapere dell’identità ebraica di Ester ha trasformato Assuero in un alleato degli ebrei, genitori che una volta erano promotori della discriminazione verso le persone LGBTQ spesso diventano attivisti che lottano per l’umanità di tutti i ragazzi queer, non solo dei propri figli.
Oggi, mia madre prende sul personale ogni attacco alle persone LGBTQ come me.
Molti ebrei hanno vissuto dei momenti in cui hanno avuto paura di rivelare il loro retaggio e subire discriminazioni, e anche tutte le persone LGBTQ ci sono passate.
Ogni persona LGBTQ che ha fatto coming out è dovuta essere Ester, costretta a rivelarsi di fronte a folle poco accoglienti e ad ammettere la propria identità con la paura di essere respinta e perseguitata.
Sebbene indossare un costume che ribalta gli stereotipi di genere nel giorno di Purim può e dovrebbe essere una valvola di sfogo per sfidare le restrittive tradizioni eteronormative che piagano gli spazi ebraici, accettare le persone LGBTQ un giorno all’anno non è abbastanza.
Gli insegnamenti di questa festività rispecchiano i sacrifici che le persone queer fanno ogni giorno per la liberazione LGBTQ, e dobbiamo portare questi insegnamenti con noi 365 giorni all’anno.
* Ariel Sobel è una scrittrice, cineasta e TEDx talker di Long Island riconosciuta a livello nazionale. Laureata alla Scuola di Arti Cinematografiche dell’Università del Sud della California, racconta storie di sesso, di religione e di persone che devono perdere tutto per trovare una voce. Seguitela sul suo sito personale.
Testo originale: Purim is our queerest holiday. Why haven’t we internalized its lessons?