“Creati a immagine di Dio! Ma secondo quale immagine dobbiamo vivere?”
Riflessioni di Cristina Arcidiacono tratte dal Bollettino della Refo , Anno 5, numero 16, Aprile-Giugno 2002, p.7
“Come facciamo a sapere qual’è la vera immagine di Dio, secondo la quale siamo stati creati, e che come cristiani siamo invitati a vivere ogni giorno?”.
Proprio il nostro corpo, immagine concreta di Dio, con le sue contraddizioni, le sue incertezze di genere e di orientamento, la sua perfetta imperfezione è al centro del dibattito nelle nostre chiese. Ecco alcune tracce di riflessione sul tema.
“Se noi, in quanto uomini e donne siamo creati a immagine di Dio, e se, allo stesso tempo, questa immagine non può essere creazione umana, come possiamo sapere qual è l’immagine secondo la quale vivere?”. Questa è la domanda, un po’ contorta, con la quale si è aperto il primo intervento della Gender Conference del WSCF (World Student Christian Federation), che si è tenuta ad Amsterdam, in una settimana primaverile di inizio aprile (Ndr nel 2002), e che ha visto la partecipazione di una trentina di giovani cattolici, ortodossi e protestanti provenienti da diversi Paesi di Europa.
Diversità di esperienze, diversità di contesti e di priorità di riflessione: la conferenza è stato un terreno di dibattito e di ricerca di punti in comune a partire dall’ascolto, ma anche dalla sperimentazione di modi non usuali di concepire e vivere il proprio corpo e la relazione con altri corpi all’interno della chiesa e del culto stesso.
Il corpo al centro della nostra riflessione e azione: ma quale corpo? L’immagine del corpo scolpito, agognato, invidiato, stereotipato, creato o ri-creato, condizionato? O il corpo sofferente, denutrito, violato, trasformato, malato? Il corpo perfetto o il corpo contraddetto e contraddittorio? La domanda “Creati a immagine di Dio… ma?” è questione teologica perché coinvolge Dio e gli essere umani, coinvolge la relazione tra Dio e le donne e gli uomini e la relazione tra uomini e donne , donne e donne, uomini e uomini. Il corpo è corpo in relazione ed è nella relazione che emergono le sue più diverse immagini e identità.
Trees Versteegen teologa cattolica,ci ha messi in guardia dalla “monoidentità” del corpo, in quanto maschile o femminile, ricorrendo agli insiemi di affinità: Non esiste un monolite “identità femminile” e un altro monolite “identità maschile”: seguendo il pensiero di Maria Pilar Aquino e di Dora Haraway, Trees ha sottolineato come la percezione delle diverse dimensioni della vita, lavoro, studio, pulizia della casa, tempo libero, sessualità, impegno politico, non può significare ridurle a compartimenti stagni, ma tutti gli elementi sono in relazione l’uno con l’altro.
Semplicemente, la realtà è complessa, allora può accadere che ci si possa riconoscere in sfere del reale che sono proprie di persone che noi riterremmo molto più lontane da noi. Un esempio piccolo piccolo: un uomo occidentale bianco che pulisce i gabinetti ha più affinità con una donna del Sud del mondo costretta a migrare che quest’ultima con un’altra donna, ma dirigente di azienda. La discussione è aperta.
E discussione c’è stata, inaspettatamente aperta, con scambi di esperienze dei diversi contesti locali, dalla situazione nei nostri rispettivi paesi sul riconoscimento delle coppie omosessuali, alle leggi contro la violenza sulle donne, alle attività dei vari movimenti e organizzazioni, al silenzio che vi è, talvolta, sulla riflessione di genere, che viene vista come un lusso per Paesi ricchi, di fronte alle emergenze quotidiane.
Diverse sono state le prospettive confessionali: Josef Moes, diacono ortodosso, ci ha parlato del ruolo centrale che il corpo ha nella liturgia ortodossa, e della funzione del digiuno come preparazione alla Pasqua, memoria fisica del cammino di Gesù verso la croce.
Di corpo e liturgia abbiamo parlato anche con Luca Negro, pastore battista, responsabile di Rete di Liturgia, che ha evidenziato come attualmente assistiamo ad una atrofia del corpo all’interno, soprattutto, del culto riformato.
I gesti all’interno del culto sono ridotti al minimo, la comunità è spesso spettatrice passiva di ciò che accade sul pulpito, i cinque sensi non trovano il loro spazio, assopiti, atrofizzati, appunto.
La chiesa come corpo di Cristo che si riunisce attorno alla cena del Signore: Eucaristia come liturgia del corpo di Cristo. La dimensione del culto finale ha cercato di ripercorrere le differenti tappe della nostra riflessione: al centro della nostra piccola assemblea c’é il pane preparato dal laboratorio “cucina” (sapori, odori, colori, cibi buoni), e un grande striscione colorato, fotografie e parole di speranza e di lavoro.
Abbiamo cercato di comunicare con i nostri corpi il messaggio della “risurrezione “delle ossa secche, profezia vissuta dal profeta Ezechiele, ossa che Dio fa diventare corpi e che formano una grande schiera.