Crescere come un gay cattolico. L’autore di “Wicked” si racconta

Riflessioni di Gregory Maguire pubblicate sul blog di New Ways Ministry il 17 dicembre 2024, liberamente tradotte da Lorenzo Russo
Il post dell’ospite di oggi è di Gregory Maguire, autore di oltre 40 libri per adulti e bambini, tra cui il più famoso: “Wicked: The Life and Times of the Wicked Witch of the West“ (Wicked: Vita e Opere della Perfida Strega dell’Ovest), un best-seller del 1993 che è stato l’ispirazione per il musical “Wicked”, uno degli spettacoli più longevi nella storia di Broadway. Il musical è stato di recente trasposto in un film di successo, con Cynthia Erivo e Ariana Grande come protagoniste, proiettato ovunque nei cinema.
In quanto gay cattolico, che, insieme a suo marito, Andrew Newman, ha cresciuto tre figli adottivi, durante il New Ways Ministry’s Sixth National Symposium del 2007 Gregory ha tenuto un workshop su famiglie formate da persone gay e lesbiche.
È inoltre intervenuto riguardo alla vita della sua famiglia durante un evento stampa dal titolo “Five minutes with the Pope”, nel corso della visita di Papa Benedetto XVI negli Stati Uniti nell’anno 2008.
Sono arrivato a scrivere il romanzo che ho nominato “Wicked: Vita e Opere della Perfida Strega dell’Ovest” nel 1993. Ci stavo pensando da alcuni anni, ma stavo attendendo fino a quando non avessi percepito di essere abbastanza capace per lo scopo. Ho iniziato il romanzo a Londra, nel giorno in cui compii 39 anni.
La mia mamma biologica morì in ospedale una settimana dopo che io nacqui, per complicazioni dovute al parto. Pur avendo avuto una seconda madre che mi ha supportato interamente – è sorprendente che lei fosse la migliore amica d’infanzia della mia mamma biologica, – il peso schiacciante del racconto della mia nascita ha gravato su di me fino a quel momento. Francamente, questo peso grava ancora su di me. Io non ho chiesto di nascere, e la mia prima madre non chiese di morire. Ma la tragedia è avvenuta, e io ho dovuto vivere con un preciso ed inevitabile senso di colpa.
Sono nato in una famiglia cattolica, in un quartiere cattolico – avevo l’impressione che la maggior parte dei quartieri nella Albany (New York) di metà secolo scorso fossero cattolici.
Quindi ho sgobbato durante l’infanzia, a fatica: inalando i concetti di dovere, di debito morale, della responsabilità di addossarmi ogni cosa; ed espirando la paura che non sarei stato consono al compito che sembrava che Dio mi avesse assegnato.
Quale compito? Quello di vivere una vita sufficientemente virtuosa, e facendo del bene agli altri, così che io potessi in qualche modo sopperire al costo del mio esistere. Sentivo, e al tempo credo di poter dire che avessi circa dodici anni, sentivo che la mia vita avrebbe dovuto essere utile il doppio, allo scopo di ricompensare lo spirito e l’anima della mia defunta mamma, che credevo vegliasse su di me e sui miei tre fratelli più grandi.
Ma a circa sedici anni e quando le prime avvisaglie di attrazione verso gli altri maschi iniziarono a manifestarsi, caddi in preda ad un tormento di colpevolezza. Era per questo che mia madre era morta, per il fatto che sarei inevitabilmente cresciuto queer-invertito-difettoso? Che barzelletta crudele. Le tre “ i “, ho riflettuto dopo: illegale. Immorale. Infetto (NdT infetto per mantenere l’iniziale “i” dall’inglese “ill”).
Ho represso il crescente senso di orrore per più tempo possibile. Mi rifiutavo, credo; non ne potevo essere sicuro. E nella mia generazione, per lo meno nel mio ambiente cattolico irlandese, il concetto di “sperimentazione” era raramente discusso, figurarsi esserne coinvolti.
Voglio dire, se la pratica sessuale tra etero non era accennata dai genitori agli adolescenti, allora, la possibilità o persino l’esistenza dell’omosessualità non era nemmeno sussurrata negli spogliatoi. Penso che molti giovani che crescono oggi in un era di accessibilità e di politiche dell’identità non possono immaginare quanto abbandonato, derelitto, un ragazzo gay in un liceo cattolico potesse sentirsi. Solo quanto un’Elphaba dalla pelle verde, sola senza simili in un mondo di cittadini tranquillamente ordinari.
Quando iniziai ad essere capace a leggere abbastanza bene, e capii la storia di Oscar Wilde e cosa alcuni (pochi) ragazzi maschi facevano quando schernivano i maschi tra noi più sensibili o che leggevano queer ( io fui raramente il bersaglio, fortunatamente per me), la realtà di cosa tutto questo significasse davvero- quando si trattava di amore, di passione,di promessa-sembrava come un’imponente lavagna nera di ardesia sulla quale nessuno, mai, aveva scritto una parola leggibile. Sapevo di Michelangelo e forse Shakespeare e Oscar Wilde. Ma non incontrai personalmente nessuno che era gay e out fino a che non mi diplomai al college- sebbene mi sono certo imbattuto in persone che rispondevano all’affetto e anche al corteggiamento, inclusi alcuni uomini che mi amarono, in qualche modo.
Cosa mi aiutò a sopravvivere a questa bizzarra tormenta di ignoranza fu proprio la cosa che mi minacciò di più: la mia fede ed identità cattolica.
Non ho intenzione di difendere e nemmeno di definire cosa la mia fede significa per me adesso. Sono da tempo arrivato alla conclusione che questo è un compito al di là della mia capacità di spiegarlo. Ad ogni modo la mia comprensione di quanto io sia devoto o scettico oscilla con tutta la geolocalizzabilità di un elettrone intrattabile, secondo quanto afferma il Principio di Indeterminazione di Heisenberg.
Ma posso affermare che Essere Buono mi sembrava necessario almeno il doppio di quanto l’insegnamento della chiesa richiedeva, di quanto Gesù chiedeva, per il fatto che dovevo essere buono per me stesso e per la mia defunta madre, anche.
Ho considerato il suicidio, sebbene non così intensamente. La chiesa insegnava che il suicidio è un peccato mortale. Nemmeno riunirmi in fine a mia madre in cielo rese questa soluzione impossibile. Lessi anche “Death by choice” di Daniel C. Maguire (nessuna parentela). Un teologo di tutto rispetto, non mi fornì un modo per compiere una simile scelta. Inoltre, io sono cresciuto in un’era in cui gli uffici cattolici di consulenza per aiuto avevano poster confortanti che riportavano che “ Dio non crea scarti”, uno slogan dell’orgoglio black che veniva utilmente riproposto per più o meno qualsiasi crisi morale da liceo cattolico. Io credevo nella bontà di Dio e nel mistero del piano di Dio, e nella grazia sacra del discernimento. Realizzai che non avevo altre opzioni se non tenere duro, farcela, e capire cosa Dio avesse in serbo per me, qualcosa che nessuna suora o prete caro poteva nominare. E nessun genitore avrebbe osato menzionare in un discorso.
Così sublimai il mio dolore e il mio senso di isolamento. Certo che lo feci. Molti di noi lo fanno. Ma poiché sono cresciuto in una famiglia che amava la scrittura e la lettura, e i racconti divertenti a cena, in una famiglia il cui unico vero privilegio era una moltitudine di tessere per la biblioteca tra noi nove, io lessi per sopravvivere. Si; non furono le pie suore e i nobili preti, i genitori faticatori e emozionalmente timidi a salvarmi. Fu la biblioteca.
Lessi di Aslan e delle creature sofferenti di Narnia, congelate nell’inverno senza fine della Strega Bianca. Vidi il perdono di Aslan verso il peccatore, Edmond, piansi per come Meg Murray, in “A Wrinkle in Time”, riuscì a salvare il suo fratellino mediante il potere dell’amore ( con tanto di simbolismo cristiano a ricordarle di cosa fosse in grado)
E compresi come tenere un diario potesse costruire il cuore e la mente di uno scrittore grazie a “Harriet the Spy” di Louise Fitzhugh. Comprai un diario segreto, iniziai ad osservare il mondo, e così (infine) a capirmi ed uscire fuori. Mi insegnai ad essere onesto, e ad onorare l’onestà, anche se fu atroce trasporre a voce alta alcuni pensieri (sulla pagina segreta).
E in questo modo il mio essere un cattolico romano e il mio essere gay, un’accoppiata di caratteristiche apparentemente irrisolvibili, furono congiunti da una terza identità: quella di essere uno scrittore.
Cosa che ci conduce, attraverso Narnia e attraverso l’amore, alla mia vita in Inghilterra quando compii 39 anni, e al fatto che iniziai a sentire che era arrivato il mio momento. Se un giorno fossi stato più vecchio di quanto mia madre sia mai stata- lei morì a 38 anni- allora sarei stato, per definizione, un adulto. (Nessuno considera mai di diventare più anziano della propria madre.) Dopo aver cominciato come un autore per bambini, sentii di essere abbastanza vecchio per scrivere ora un romanzo adulto. Misi da parte la mia paura e la mia esitazione, comprai un nuovo notebook, e iniziai a scrivere “Wicked” a mano. Fu pubblicato quando avevo 41 anni, quasi 30 anni fa.
“Wicked” parla dell’essere gay, parla dell’essere cristiani in qualche modo? Non esplicitamente. Ma provai davvero ad inserire nel tessuto del mio sguardo antropologico nei confronti del regno lieto di cartapesta, nonsense, e show di varietà di L.Frank Baum qualcosa della serietà morale della Terra di Mezzo e di Narnia. Prima di tutto, ho preteso una fede per Oz- una fede sconfinata in Oz. Non una fede magica, come in Narnia, non una fede di miracoli e interventismo divino, ma una fede umana, praticata e spesso abusata. E più di una unica fede, perchè la mia Oz aveva lo scopo di emulare il nostro mondo reale con le sue crociate e credenze, i suoi attriti e i suoi paradossi.
Ho anche preteso possibilità romantiche più numerose per il popolo di Oz, sebbene io abbia suggerito ciò in maniera non manifesta. Il figlio di Elphaba, Liir, ha una storia d’amore omosessuale (nel sequel “Son of a Witch”), e quando lo rincontriamo a metà di “The Witch of Maracoor” cinque libri dopo nella mia saga, Levi e Trism sono sulla mezz’età, e hanno una casa. Quando le persone mi chiedono se Elphaba sia basata su di me, rispondo che ogni punto di forza dell’ambizione di Elphaba è la mia ambizione, e quasi ogni debolezza è un autoritratto. Ma Liir- che è inetto, confuso, piagnucolone, romantico, un fante sulla strada del suo personale Calvario, probabilmente- Liir sono proprio io.
Come Tolkien, la cui cristianità giunse trasversalmente nella Terra di Mezzo, ho provato ad indicare la forza, il valore,il pericolo del fervore religioso in Oz senza preferire un sistema di fede o un altro. Ho cercato di essere onesto. Una delle motivazioni principali di Elphaba nella seconda metà del romanzo è la ricerca del perdono, un progetto complicato dal fatto che lei non è sicura di avere un’anima. In più, ho dato ai cittadini di Oz una maggiore varietà di preferenza affettiva, e ho cercato di evitare di patologizzare i miei amati personaggi, e di evitare di assegnare cause ovvie o dirette per le quali le persone sono così come sono.
Se chiedi “ Esiste un affare romantico del tipo Gelphie- una crush tra Galinda e Elphaba?- trovo che non so rispondere. Se voi potete, rispondete al meglio per la vostra soddisfazione. La vostra ipotesi è valida quanto la mia.
Molte cose sono ignote, come il percorso di un elettrone intorno al nucleo di un atomo. Al fine di conversare, e per fornirci una falsa sensazione di stabilità in un universo i cui pianeti dondolano tanto selvaggiamente come fanno gli elettroni, facciamo dichiarazioni generiche di certezza riguardo a questo o quello. Questo ci da un provvisorio e temporaneo appiglio. Probabilmente cambieremo idea prima o poi. Alla fine, la vera sfida è accettare il mistero dell’ignoto, e rifiutare il nostro istinto a categorizzare, a dividere il mondo tra noi e loro, buoni e cattivi, me e te. ( Etero e gay,anche. Devoti e non praticanti). Se io non posso nemmeno conoscere me stesso fino in fondo, come faccio a dire di conoscere te? Se non posso essere sicuro che io sia una persona di fede o una persona di fede tremolante, o di nessuna fede, come posso essere sicuro di chi tu sia, e in che cosa credi, o casa vuoi, o di cosa sei capace?
Ciò che “Wicked” cerca di fare è di essere pazienti rispetto all’ambiguità. Nelle parole del titolo del libro del filosofo Alan Watts, “The Wisdom of Insecurity”( La saggezza del dubbio )- un altro lavoro letterario che mi fu utile a mantenermi efficiente quando stavo per iniziare il college. Potevo farlo. Potevo mantenere l’equilibrio in aria. Potevo fare qualcosa di me stesso, e ripagare il mio debito morale. Potevo, forse, sfidare un po’ la gravità. Per un po’. E scrivendo “Wicked”, e gli altri circa quaranta miei libri, potevo provare a dare conforto agli altri che cercano l’appiglio sul quale sono stati educati a fare affidamento, ma non lo trovano.
Diventiamo la balaustra l’uno dell’altro.
Nei paragrafi di apertura di “Wicked”, che di recente ho avuto necessità di rivisitare, mi accorgo che quando descrivo la Strega che vola, Elphaba non cavalca la sua scopa nel modo in cui un giocatore di polo farebbe con un cavallo, o non si siede all’amazzone come una gentildonna in una caccia alla volpe. No. Lei usa la scopa come una balaustra. Questo modo di volare è replicato sia nel musical teatrale che nel film, imitando la mia descrizione nel romanzo. Elphaba a mezz’aria usa la scopa come un appiglio. Per un attimo, lei inventa il proprio corrimano.
E il prima possibile arriverà il momento per lei di essere per qualcun altro un appiglio. Come, io credo, tutti aspiriamo a diventare.
Testo originale: On Elphaba and Growing Up a Gay Catholic: ‘Wicked’s’ Author Reflects