Dal Forum 2012. Se la Chiesa cattolica si sforza di capire le persone omosessuali
Articolo di Delia Vaccarello tratto da L’Unità, 2 aprile 2012, p.30
«Sono stata responsabile dell’oratorio. Oggi che ho una relazione stabile con la mia compagna e abbiamo una figlia non mi danno più un ruolo in parrocchia». «Qual è la sofferenza più grande nel rapporto con la Chiesa? Il giudizio degli altri». Più di 110 uomini e donne omosessuali cristiani riuniti ad Albano Laziale in rappresentanza di 28 gruppi di gay e lesbiche italiani raccontano la loro storia.
«Dopo 17 anni di scoutismo, quando stavano per promuovermi a capo dei ragazzi dai 17 ai 21 anni mi è stato detto che dovevo tacere il mio amore per una coetanea altrimenti avrei confuso i giovani. Non ho accettato compromessi». Diversa la scelta della compagna. «Lei ha deciso di non dire nulla di sé ed è rimasta capo».
Non solo delusioni. «Il mio parroco è un grande, facciamo iniziative nel quartiere, a me e al mio compagno ha dato la responsabilità del sito web, la gente affolla la chiesa a mezzogiorno, mi sembra un sogno…».
Fuori dal grande salone che ha al centro un grande crocifisso, gli ulivi appena potati verdeggiano contro il cielo azzurro. I delegati restano ad Albano per tre giorni, il programma prevede workshop, preghiere, discussioni sui dati raccolti tramite un questionario, testimonianze di percorsi all’interno dei gruppi.
L’aria è salubre. La primavera è esplosa, e non solo sugli alberi. Di primavera, nel senso di «verità», parla il teologo Vito Mancuso invitato dai gruppi ad affrontare le «prospettive teologiche sull’amore». Mancuso analizza le due obiezioni che vengono mosse contro l’omosessualità, una in nome della Natura e l’altra in nome della Bibbia. Dice che se è per legge di natura che si incontrano uomo e donna, questa legge non è una norma assoluta che non ammette altre possibilità. L’omosessualità è, per Mancuso, una «variante» fisiologica.
Dunque, occorre lavorare per superare le posizioni del Magistero della Chiesa che la considerano malattia o peccato. Valutazioni ancora largamente diffuse, secondo Mancuso, e che traspaiono quando gli attori sociali non sono «politicamente corretti».
Secondo san Paolo
Bisogna parimenti abbandonare le interpretazioni rigide della Bibbia perché, come dice San Paolo «la lettera uccide». Seguire la Bibbia alla lettera vorrebbe dire oggi avere schiavi oppure esercitare la totale supremazia dell’uomo sulla donna. L’invito rivolto a gay e lesbiche è quello di non fare del proprio essere omosessuale un punto di vista privilegiato (dice di aver sofferto leggendo le parole di Busi, così sprezzante sulla scelta del silenzio da parte di Dalla di cui lui era molto amico), e di non smarrire una dimensione antropologica dell’amore.
Numerosi i nodi emersi nel dibattito. «L’amore che ci unisce è un dono che vogliamo fare agli altri, abbiamo un bambino: come battezzarlo all’interno di una comunità che lo considera un figlio del peccato?», dice una donna. «L’omosessualità non è solo sessualità o fisiologia. Le nostre unioni non hanno valore nell’immaginario sociale. Se l’omosessualità si tace, è come se non esistesse. Se la si dichiara viene disprezzata. Cosa fare per inserirsi in una prospettiva antropologica dell’amore?».
Le risposte di Mancuso invitano a scegliere sempre una dimensione «universale». «Ogni vita matura sta con un piede dentro e uno fuori l’istituzione». Ad ascoltarlo anche padre Michele, sacerdote della struttura ospitante: «Non benedirei mai le unioni gay. Noi preti, ad esempio, facciamo voto di castità – dice – ci volgiamo ad un amore più grande».
Pausa lavori. I delegati vanno a pranzo. Echeggiano nell’aria fina le parole di Mancuso che promuove «una teologia dell’autenticità»: «Noi siamo passione, se si spegne la passione, si spegne anche la vita».