Dal Pride al Vangelo e viceversa
Testo di Jesús Espeja* pubblicato su Periodista Digital (Spagna) il 5 luglio 2017.
Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Si udivano da lontano le grida festose provenienti dai carri del Pride che sfilavano lungo il Paseo del Prado (Spagno), mentre una comunità cristiana stava celebrando l’Eucaristia.
Il Vangelo non offre soluzioni immediate ai problemi della vita umana, ma dona una luce per discernere la presenza di Dio in ogni avvenimento.
Per questo, durante la celebrazione, ci siamo soffermati su una frase del Vangelo: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». In altre parole, chi vive solo per se stesso, ignorando gli altri, non si realizza davvero, mentre cresce in umanità chi sa pensare a cosa sarà dell’altro e riesce a mettere a rischio le proprie sicurezze.
Da questa prospettiva evangelica abbiamo cercato di comprendere il significato del Pride. Ne sono emerse tre riflessioni.
Prima riflessione. Secondo il Vangelo, i diritti umani hanno qualcosa di divino. Il diritto di essere se stessi appartiene alla dignità della persona. È motivo di gioia vedere donne e uomini, un tempo ridotti al silenzio o disprezzati, poter finalmente essere e manifestarsi per ciò che sono.
Forse questa manifestazione pubblica può rompere schemi e modelli culturali, ma il Vangelo non definisce in alcun modo le forme in cui si è persone sessuate, né offre ricette per l’esercizio della sessualità.
Ciò che è naturale e umano si svela progressivamente nella storia: ciò che un tempo si considerava accettabile – come la schiavitù o la sottomissione della donna all’uomo – oggi lo riconosciamo come una deformazione dell’umanità.
Dunque, come possiamo giudicare chi è diverso senza la stessa misericordia con cui Dio ci guarda in Gesù Cristo? “Perdere la vita”, come dice il Vangelo, è un invito a lasciar andare le nostre sicurezze per accogliere, nella logica della gratuità, la singolarità dell’altro. È questa la Chiesa “in uscita” di cui parlava Papa Francesco.
Seconda riflessione. Il Vangelo non dà regole per l’esercizio della sessualità, ma offre un orientamento per realizzarci come persone sessuate: “perdere la vita” per ritrovarla, cioè uscire da noi stessi nella logica dell’amore che si dona, perché l’altro possa crescere con dignità e così maturare insieme. Questa è la logica relazionale e comunitaria della sessualità, valida tanto per le relazioni tra uomo e donna quanto per quelle tra persone dello stesso sesso.
Terza riflessione. Le manifestazioni pubbliche del Pride chiedono giustamente l’uguaglianza nel riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. È positivo che le autorità politiche diano sostegno a questa richiesta.
Tuttavia, la stessa uguaglianza viene invocata anche da migliaia di persone impoverite che, senza carri né applausi dei governanti, continuano a chiedere un lavoro dignitoso per poter vivere come esseri umani. Quando il Vangelo afferma che «chi vuole salvare la propria vita la perderà», ci mette in guardia dalla logica della mercificazione e dell’avidità di accumulare ricchezze, che non conduce alla vera realizzazione umana.
Bisogna introdurre la logica della gratuità – “perdere la vita”, uscire dalle false sicurezze – affinché tutti possano vivere con dignità.
E queste riflessioni non venivano solo dal presbitero che presiedeva la celebrazione, ma erano ciò che l’intera comunità sentiva e pensava, ascoltando insieme il Vangelo e le voci festose del Pride.
* Jesús Espeja è un teologo e domenicano spagnolo, noto per il suo impegno nel dialogo tra fede e modernità, autore di numerosi testi di spiritualità e rinnovamento ecclesiale.
Testo originale: “Orgullo gay y Evangelio”

