Daniel Zamudio è morto di omofobia. Pestato e torturato solo perchè gay
Articolo di Giacomo Lagona trartto da openworldblog.org, 26 marzo 2012
Daniel Zamudio è un ragazzo cileno di 24 anni la cui unica colpa è di essere gay. In quattro lo hanno pestato e torturato per ore fino a mandarlo in coma. Daniel è stato dichiarato cerebralmente morto.
Siamo a Santiago, la capitale del Cile colpito oggi da un sisma che ha fatto pensare al peggio (rischio tsunami, fortunatamente rientrato), ma che venti giorni fa ha vissuto uno dei giorni più tragici della sua esistenza.
Daniel Zamudio è un 24enne che come tanti la sera del 3 marzo (2012) era andato a vedere il concerto di Ricky Martin.
Finito il concerto, forse troppo sbronzo per i tanti aperitivi bevuti durante la serata, si addormenta in una panchina di un parco vigilato da polizia e guardie di sorveglianza dei vicini centri commerciali.
Accade qualcosa di inquietante, qualcosa che non doveva accadere quella sera né mai. Daniel viene aggredito, pestato, torturato per ore e massacrato da quattro fanatici neonazisti per la più deplorevole delle motivazioni: Daniel è gay.
I quattro animali lo torturano per sei lunghe ore. Lo prendono a pietrate e col collo di una bottiglia rotta nella sua testa lo sfregiano con la svastica su molte parti del corpo.
Gli spengono le cicche sul capo, lo prendono a calci e pugni. Lo mandano in coma per le tante percosse subite.
Il Cile, come un po’ tutto il Sudamerica, è omofobo. Non c’è bisogno di provocare o atteggiare movenze normali – come un bacio o una carezza – per scatenare la furia omicida dei violenti. Daniel non l’ha fatto, era solo quella notte.
E’ bastato che lo conoscessero, che sapessero che era omosessuale per scatenare contro il giovane tutta la furia assassina di cui sono stati capaci.
Per Daniel è stata dichiarata la morte cerebrale. Le quattro bestie che l’hanno conciato così hanno la sua stessa età, tre intorno ai 25 anni e uno di 19, e sono i simboli della “loro specie”.
Daniel è l’ennesima croce su questa sciagurata parte del mondo, e anche se «Sta diventando un simbolo», come annunciano le associazioni contro le discriminazioni sessuali, la strada da percorrere in Cile e in America Latina è molto lunga.