Dayspring. Quando la luce si fa carne

Testo di Anthony Oliveira* tratto dal libro Dayspring (Strange Light editore, aprile 2024, 432 pagine). Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata
In principio era la Parola,
e la Parola era presso Dio,
e la Parola era Dio.
Tutte le cose furono fatte per mezzo di lei, e senza di lei nulla fu fatto di ciò che esiste. La Parola era vita, e la vita era la luce di tutti. E la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa.
E la Parola si avvolse a spirale verso l’esterno: in un cosmo di orbite e contro-orbite, in cento miliardi di soggettività, in un trilione di domande prospettiche e di principi organizzatori, come luci che filtrano da fessure, come lame che penetrano la pelle.
E dalla Parola sgorgò una trama di materia ed energia che si intersecarono: un planetario abbagliante, sconcertante, instabile; un vortice che si allarga, un andare avanti per moltiplicarsi.
E la Parola si fece carne: peli ispidi, sorriso storto, il sapore di sale sulla sua clavicola.
Io sono (Giovanni) il discepolo che egli amava. Quando ricordo ciò che c’era prima, vedo un cielo nero, un lampo, e poi un suono simile al fragore di acque impetuose. Giacevo scomposto tra il groviglio di corde, dure e ruvide, a poppa della barca di mio padre.
Quel legno ormai è secco, ovunque sia approdato il suo relitto; ma allora puzzava delle sue cento reti di pesci antichi, e lo scafo di cedro sudava pigro la sua resina, fino ad appiccicarsi ai peli delle mie gambe.
Per tutto il giorno, e nella notte, non avevamo preso nulla. Mezzo assopito fissavo un cielo chiuso e opprimente, mentre mio fratello, a torso nudo per il caldo (ma con quel suo ridicolo cappello ancora in testa), sorvegliava la rete. Fischiava una canzone di nostra madre. Ricordo mentre la cantava, ma non le parole. Ricordo il suo canto, ma non più la sua voce.
Non ero presente quando mio fratello morì. Di questo sono grato. Quanti di noi hanno sparso le ossa in campi lontani, semi in attesa di un raccolto che nessuno di noi vivrà per mietere.
Io, invece, ricordo quella mattina appiccicosa e grigia, prima di tutto: quando, da sdraiato, vidi il battito disperato della luce spezzarsi in zig-zag, e sentii mio fratello ridere, quando l’aria densa d’estate finalmente si squarciò e ci bagnò di pioggia fredda e purificante.
«Vieni a vedere!» gridò. E io vidi la superficie del mare incresparsi sotto i colpi della pioggia, e sotto di essa una rete che ribolliva di vita argentea.
(…) Sono inginocchiato sulla riva, sto annodando i lacci nelle reti di mio padre, quando avverto i suoi passi alle mie spalle, rannicchiato nella tua maglia consunta, macchiata di lacrime e terra. Perso nel deserto, lontano da ogni distrazione quaresimale.
Tra i cirri sfilacciati che scorrono rapidi, la luce del sole cola giù come una malta incandescente.
«Sei tornato.»
Mi dice: «Dovevo pensarci. È tempo di andare. Iniziare. Partire.»
Dalla tasca consunta estrai una mano: quella che negli anni avrei baciato fino a conoscerne ogni callo e curva. Quella che i Romani avrebbero spezzato, come rompono tutto, trasformandola in un grumo di carne da staccare dalla croce del loro supplizio. Quella mano che gli angeli avrebbero reso incorrotta, segno di bene. Quella che, alla fine, mi sarebbe apparsa perfetta, dorata, aliena, irriconoscibile.
«Verrai con me?»
Guardo oltre il tuo braccio teso: dietro di te, la fronte corrugata in supplica, l’aurora dalle dita rosate disfa il ricamo della notte; il fitto cespuglio scuro dei tuoi capelli afferra ciò che il cielo non ha potuto trattenere — quella luce fuggitiva, intrecciata — insieme alla sabbia e al fumo del campo.
(…) E tu mi sollevi dalle ginocchia e mi stringi al petto; un fruscio, un colpo d’aria mi investe la testa, mi entra nelle orecchie e non si placa, anzi si gonfia fino a farsi suono. Io dico — o forse non dico — «spezzami il cuore tutte le volte che ti servirà: sono tuo, finalmente; questa è la cosa per cui sono stato fatto».
Mi dici: «Andiamo. Prendi tuo fratello. Abbiamo lavoro più avanti sulla strada.»
E che potevo fare, se non seguirti, senza esitare?
* Dayspring è l’esordio letterario unico e sorprendente di Anthony Oliveira. Un libro che trascende i generi e li trasfigura: un’audace riscrittura delle narrazioni bibliche e un indimenticabile romanzo di formazione contemporaneo, in cui i secoli collassano e il tempo si intreccia attraverso i millenni.
Nei libri sacri ci sono poche storie d’amore. L’amore è ciò che rovina, ciò che costa. In queste pagine Anthony Oliveira ridà vita, con voce vibrante e poetica, al Vangelo secondo il discepolo che Gesù amava: compagno nei giorni prima della crocifissione e unica memoria capace di custodire fedelmente il suono della sua voce.
Sacro e profano si intrecciano in questi racconti di passione e desiderio, lutto e sopravvivenza, dove la bellezza nasce dalla catastrofe e la gioia si accende persino nell’apocalisse.
Oliveira, è cresciuto a Toronto in una famiglia portoghese-azoreana e si è formato nelle scuole cattoliche come chierichetto, porta nella sua scrittura l’impronta profonda della sua fede vissuta in tensione con l’esperienza queer. Accademico, giornalista e sceneggiatore Marvel, ha conseguito un dottorato in Letteratura del Seicento inglese e ha dato vita al podcast The Devil’s Party, dedicato a una rilettura radicale dei testi fondativi della tradizione cristiana.
Con il suo libro Dayspring, premiato con il Dayne Ogilvie Prize 2024, Oliveira si è affermato come un autore capace di fondere finzione, memoir, sensualità e poesia in un’opera ipnotica che rilegge la Scrittura e la storia alla luce del desiderio, riportando al cuore del Vangelo l’intensità dell’amore umano.

