Dentro l’armadio di vetri colorati: esplorando l’omofobia dei consacrati nella Chiesa cattolica
Articolo di Timothy W. Jones*, pubblicato su The Conversation (Australia) il 1 agosto 2013. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
(…) Papa Francesco affermando che «Se una persona è omosessuale e cerca il Signore con buona volontà, chi sono io per giudicarla?», non ha portato a un cambiamento nell’insegnamento della Chiesa cattolica, che continua a definire l’omosessualità “intrinsecamente disordinata” e i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso come peccaminosi. Ha però dato l’impressione di rivedere la dura posizione del suo predecessore Benedetto XVI. (…)
«Il Catechismo della Chiesa cattolica lo spiega molto bene», ha affermato Papa Francesco, le persone omosessuali «non devono essere messe ai margini a causa di questo orientamento, ma devono essere integrate nella società».
Scandali a catena
L’atteggiamento più aperto di papa Francesco nei confronti delle persone omosessuali potrebbe aver contribuito ad allentare le tensioni che circondano la questione dentro il Vaticano. L’ultimo anno di pontificato di Benedetto XVI era stato invece segnato da numerosi scandali sessuali, con accuse sull’esistenza di una lobby gay nella Curia e, nel marzo 2013, dall’esplosione dello scandalo “Vatileaks”, con la diffusione di altre voci su una rete di rapporti omosessuali all’interno del Vaticano.
Lo scandalo “Vatileaks” era esploso nel gennaio 2012, quando il maggiordomo di papa Benedetto aveva fatto trapelare documenti che lasciavano intravedere gravi illeciti finanziari. Nel marzo 2012 papa Benedetto XVI aveva nominato una commissione di cardinali per indagare.
Il 17 dicembre 2012 la commissione aveva denunciato una rete di prelati omosessuali coinvolti in orge in varie località di Roma. Secondo il quotidiano La Repubblica, questo rapporto avrebbe influito sulla decisione del pontefice di dimettersi.
A ridosso dello scandalo, il cardinale scozzese Keith O’Brien fu costretto a dimettersi dopo rivelazioni di comportamenti sessuali inappropriati con giovani sacerdoti negli anni Ottanta.
Giornalisti e commentatori sottolinearono senza remore l’ironia della situazione: la Chiesa cattolica, una delle voci più critiche sui diritti delle persone omosessuali, veniva smascherata come piena di uomini che avevano rapporti con altri uomini. Come spiegare questa “sacra”omofobia ?
Una storia diversa
Storicamente, la Chiesa cattolica ha rappresentato un rifugio sicuro per gli uomini attratti da persone dello stesso sesso. Il celibato religioso permetteva agli uomini omosessuali di avere un ruolo sociale rispettato, libero dalle richieste di avere una famiglia eterosessuale. Creava inoltre spazi per l’amicizia e l’intimità tra persone dello stesso sesso.
Il linguaggio religioso e il contesto ecclesiale santificavano l’espressione dell’affetto tra uomini, distinguendola dall’amore carnale “che non osa pronunciare il suo nome”. La Chiesa aveva persino sviluppato una propria incipiente “cultura camp”, parallela alle sottoculture omosessuali emergenti.
Questa cultura cattolica camp raggiunse il suo apice proprio quando i sessuologi laici coniavano i termini con cui ancora oggi si descrivono gli atti e le identità omosessuali. Ironia della sorte, proprio questa nuova classificazione del desiderio omosessuale rese necessario nasconderlo – nell’armadio.
Col tempo, le comprensioni religiose e scientifiche del desiderio omosessuale si intrecciarono. Già nei primi decenni del Novecento, le Chiese arrivarono a considerare l’omosessualità, o l’“inversione sessuale”, come parte della natura di una persona. Questo portò a risposte pastorali più attente nei confronti degli uomini omosessuali, come la promozione della depenalizzazione dei rapporti tra uomini negli anni Cinquanta.
Un altro risultato fu il riconoscimento esplicito dei bisogni sociali degli uomini omosessuali all’interno della Chiesa cattolica. Proprio in un’epoca in cui gli uomini omosessuali nella società tendevano a chiudersi nell’armadio, il cattolicesimo offriva un “armadio di vetri colorati”: uno spazio di tacita accoglienza in cui gli “invertiti”, come venivano chiamati, potevano trovare comunità e status.
Dietro i vetri colorati delle porte ecclesiali, l’invertito cristiano era più visibile e più a suo agio del suo equivalente nel mondo laico.
Venti di cambiamento
Tutto iniziò a cambiare negli anni Sessanta. La depenalizzazione dei rapporti tra uomini in Gran Bretagna nel 1967 e i moti di Stonewall a New York nel 1969, che segnarono l’inizio della liberazione omosessuale, aprirono nuove prospettive.
La crescente accettazione dell’omosessualità nella società laica permise a gay e lesbiche di uscire allo scoperto e vivere apertamente.
Le dottrine cattoliche sulla sessualità non cambiarono, invece, con la rivoluzione sessuale. Così, sacerdoti, vescovi e cardinali omosessuali non poterono dichiararsi.
Per mantenere il loro status e la posizione privilegiata all’interno di una Chiesa non aperta al cambiamento in materia sessuale, furono costretti a continuare a proclamare i valori eteronormativi della tradizione.
E così ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: la Chiesa cattolica, che un tempo era stata un rifugio sicuro per uomini e donne attratti da persone dello stesso sesso in una società ostile, è diventata la principale sostenitrice dell’omofobia in una società che si stava liberalizzando.
E se pure Papa Francesco sembra avere ammorbidito i toni duri usati dal suo predecessore, il paradosso resta.
* Timothy W. Jones è ARC DECRA Research Fellow presso la La Trobe University in Australia. Si occupa di storia della sessualità, studi religiosi e cultura.
Testo originale: Inside the stained-glass closet: exploring holy homophobia

