Diario del Sinodo. I cattolici LGBTQ+ condividono le loro storie al Sinodo
Articolo di Michael J. O’Loughlin* pubblicato sul sito di America The Jesuit Review (USA) il 9 ottobre 2024, liberamente tradotto da Luigi e Valeria de La Tenda di Gionata
Dieci anni fa, nel mese di ottobre, arrivai a Roma per un servizio sul Sinodo sulla Famiglia. Era la prima volta che, da giovane reporter, seguivo questo incontro internazionale di vescovi.
Nel 2014 la nomina di papa Francesco era ancora recente e la sua richiesta di portare avanti un dialogo sincero su una serie di questioni che riguardano le famiglie cattoliche furono uno scossone per la Chiesa. Il Sinodo stesso era una occasione straordinaria per un giovane reporter. Giornalisti famosi arrivavano a Roma, cardinali e vescovi erano estremamente disponibili nelle interviste, e una sensazione di essere in un “momento magico” riempiva le conferenze stampa.
Ora sono di nuovo a Roma, per il Sinodo sulla Sinodalità, e negli ultimi dieci anni le sensazioni sono cambiate, per così dire.
Gran parte di questo cambiamento è frutto di una scelta precisa. Papa Francesco ha esortato i delegati del Sinodo, che ora includono anche persone laiche, uomini e donne, a essere più riservati nelle loro interazioni con la stampa.
Di conseguenza, alcuni delegati descrivono i lavori come caratterizzati da un’atmosfera più contemplativa, un’evoluzione che forse si realizza a scapito di una certa trasparenza. I giornalisti che seguono le conferenze stampa quotidiane raramente se ne vanno con molte notizie da riportare. Ma ciò non significa che non stia succedendo nulla.
Ieri, Outreach e America Media hanno organizzato un incontro per i delegati del Sinodo che aveva come tema: «Qual è l’esperienza dei cattolici LGBTQ+?». Il nostro evento era internazionale; ha coinvolto persone provenienti da Uganda, Zimbabwe, Malta, Cile, Regno Unito e Stati Uniti. Il cardinale Stephen Chow, S.J., vescovo di Hong Kong e delegato al Sinodo, ha proposto una preghiera di apertura, e il pomeriggio si è concluso con una preghiera di Julia Oseka, una studentessa dell’Università di St. Joseph a Filadelfia, nata in Polonia.
I nostri ospiti si sono riuniti per pranzo e poi hanno partecipato a una conversazione di circa un’ora, in cui i relatori hanno risposto a domande apparentemente semplici ma profonde: Che cosa ami della Chiesa cattolica? Chi è Gesù per te? Cosa vuoi che i delegati del Sinodo sappiano della tua esperienza come persona cattolica LGBTQ+? Le loro risposte si trovano su Outreach, ma vorrei riflettere un momento su ciò che ha significato promuovere questo evento.
Ci siamo riuniti in una sala all’interno della Curia dei Gesuiti, la sede della Compagnia di Gesù, a pochi passi dal Vaticano. Poiché l’incontro è stato privato, non posso rivelare i nomi di chi ha partecipato. Ma posso dire che c’era un buon numero di persone che probabilmente già sostengono la missione di Outreach, che è quella di celebrare, promuovere e rafforzare la comunità cattolica LGBTQ+ e rendere la Chiesa più accogliente. Sono stato felice che fossero presenti e, guardando i loro volti sorridenti, mi sono sentito un po’ meno nervoso mentre facevo alcune considerazioni in apertura dell’incontro.
Nelle mie osservazioni conclusive, tuttavia, ho espresso un ringraziamento particolare a coloro che, secondo me, potrebbero non essersi sentiti completamente a loro agio. Avevamo diversi ospiti provenienti da parti del mondo dove le questioni LGBTQ+ rimangono tabù, dove discussioni di questo genere raramente hanno luogo.
I relatori hanno offerto risposte meditate, cordiali e talvolta provocatorie alle domande, ma ciascuno di loro ha affrontato lo scambio con spirito di carità e buona volontà. I loro punti di vista erano tutti unici e personali; le sfide affrontate da un uomo gay in Zimbabwe sono sicuramente diverse da quelle di una dottoressa lesbica a Londra. Ma raccontando episodi delle loro vite, spiegando perché rimangono fedeli alla Chiesa, i relatori hanno offerto una occasione di incontro autentico con altri cattolici, compresi alcuni che forse non avevano mai ascoltato storie del genere prima.
Forse è diventato un cliché descrivere questo tipo di esperienze come sinodali, ma ieri nella sala qualcosa di particolare certamente stava accadendo. Ammetto di non aver provato la stessa sensazione che avevo nel 2014. Penso che ci sia la percezione che questo Sinodo non porterà ai risultati che alcuni cattolici speravano allora.
Tuttavia, non ho potuto fare a meno di sentire un po’ di quel trasporto mentre concludevamo il pomeriggio. Il dialogo è stato caratterizzato da riflessione e rispetto, e il fatto stesso che si sia svolto ha dimostrato che uno spirito di dialogo si è diffuso negli ambienti sinodali.
Papa Francesco ha ripetuto più volte che il Sinodo non è un parlamento e che lo scopo non è raggiungere un risultato specifico. Piuttosto, vuole cambiare il modo in cui la Chiesa interagisce con sé stessa e con il mondo. Ha riconosciuto la tossicità della polarizzazione e vede nel cammino sinodale un’opportunità per camminare insieme. Non so quale sarà il risultato del nostro incontro di ieri, se ce ne sarà qualcuno. Ma almeno per un’ora, la Chiesa ha davvero camminato insieme mentre meditava sulle esperienze di vita di un gruppo di persone LGBTQ+ piene di fede.
*Michael J. O’Loughlin è il direttore esecutivo di Outreach: una risorsa cattolica LGBTQ+
Testo originale: Synod Diary: LGBT Catholics share their stories at the synod