Dico o non dico… Preti cattolici ne discutono senza condannare
Interviste pubblicate sul quotidiano l’Unità del 14 e 15 febbraio 2007.
E’ bastato l’annuncio di una legge per regolamentare le coppie di fatto e per far iniziare l’ennesima mobilitazione della gerarchia cattolica… ma contestualmente è iniziato anche un forte dibattito interno alla chiesa e alla comunità dei fedeli, come non succedeva da tempo da troppo tempo…
«Il Vaticano non vuole perdere potere. L’era Ruini prima finisce meglio è» di Massimiliano Amato
«Di solito non vedo Porta a Porta, Vespa non mi piace, ma la puntata sui Dico non me la sono persa. E il giorno dopo mi sono congratulato con la ministra Bindi. Ho letto e riletto i 14 punti del provvedimento del governo. E non capisco le preoccupazioni dei vertici della Cei».
Padre Pierangelo Marchi è un veneto che non le manda a dire. A Caserta, dove esercita la sua missione sacerdotale nella Comunità dei Sacramentini, si occupa di immigrati, ragazze madri, minori a rischio, disabili psichici. Un impegno che lo ha spinto spesso ad assumere posizioni scomode: come la lettera appello alla vigilia del referendum sulla fecondazione assistita, che invitava le alte gerarchie ecclesiastiche a lasciare libertà di scelta ai credenti.
Arrabbiato, don Pierangelo?
«Un poco sì: ma di che cosa si lamenta la Chiesa? Dov’è lo stravolgimento, dov’è l’attacco alla famiglia? È un testo che è già arduo definire un compromesso.
Ci sono paesi molto più cattolici del nostro che hanno legislazioni sulle coppie di fatto molto più avanzate di quella che il governo ha proposto. E allora si dica chiaramente perché ci si agita tanto…».
Lei si è fatto un’idea?
«Certo: si ha timore di perdere potere. Guardi, c’è una caduta di consenso inarrestabile, e la reazione è un arroccamento senza precedenti.
La Chiesa non può difendere posizioni superate dalle dinamiche sociali. Deve aprirsi al confronto, altrimenti diventa un ramo secco e la gente scappa. Per fortuna, le coppie di fatto sono una realtà già recepita e accettata dalla stragrande maggioranza dei cattolici».
Non sembrerebbe, a giudicare dal dibattito…
«E invece le dico che la stragrande maggioranza dei cattolici non vive i famosi 14 punti del provvedimento del governo come un problema. Non vivrebbe come un problema nemmeno i Pacs».
E Ruini? È un generale senza esercito?
«Guardi, l’era Ruini prima finisce e meglio è. Ma il problema non è tutto interno alla Chiesa, c’è un problema più generale».
Si spieghi meglio.
«L’offensiva di questi giorni dimostra come sia fragile anche la cultura laica. Dove sono i laici responsabili? Se sui diritti civili dobbiamo sforzarci di arrivare a soluzioni di compromesso, dov’è finito lo Stato laico?».
Lo dica lei.
«Non c’è perché non si è mai potuto formare compiutamente. Dobbiamo risalire alla Breccia di Porta Pia? Si è chiesto perché Ruini non ha messo pari ardore nel condannare i Pacs di Zapatero».
Perché?
«Ma è semplice: Madrid è lontana dal Vaticano. E la partita del potere la Chiesa se la gioca da noi. Mi chiedo: dove ci porterà tutta questa confusione?».
«Attacco a una legge moderata. Avrei voluto maggiori diritti» di Osvaldo Sabato
L’offensiva della Chiesa contro il disegno di legge del governo sulle coppie di fatto è totale: ambienti vaticani rispolverano la minaccia della scomunica per costringere i cattolici a prendere le distanze dai Dico. Ma anche fra i preti c’è chi dice che non è d’accordo con il «non possumus» dei vescovi.
È il caso di don Alessandro Santoro, parroco nel quartiere delle Piagge a Firenze, realtà di frontiera fatta di mix multietnici e solidarietà diffusa. È in questo ambiente che don Alessandro si confronta quotidianamente con i suoi parrocchiani. «Devo dire che la base è molto più aperta dei vertici» osserva. Cioè la politica messa in campo dalle gerarchie della Chiesa non è a passo con i tempi? «A me sembra che sui Dico si sia scelta una mediazione al ribasso» commenta don Santoro.
Lei avrebbe voluto una legge più netta a favore delle coppie di fatto?
«Sì. E avrei voluto maggiore chiarezza e nettezza sulla soluzione di alcuni nodi che restano irrisolti anche con i Dico». Figuriamoci cosa sarebbe successo se già ora la Chiesa ha alzato la voce. «Io parlo da libero cittadino».
Ma lei è anche un prete…
«Lo so. Ma anche un prete deve salvaguardare la sua laicità. Lo diceva anche Bachelet che bisogna essere nello stesso tempo figli della Chiesa e cittadini dello Stato. Io da cittadino avrei preferito una legge che tutelasse meglio i diritti di queste persone. Come figlio della Chiesa, posso comprendere la difficoltà che hanno le gerarchie su questa proposta, anche se non riesco a capire come si possa dire che questa legge mini l’istituzione familiare. Non c’è nulla che vada contro la famiglia».
Lo ha detto il Papa Benedetto XVI al Congresso sul Diritto Naturale che «colpendo la famiglia si ferisce la società».
«Insisto, questa legge non mina la famiglia perché resta ancora l’istituzione più importante nella nostra società».
Tutela e diritti anche per le coppie gay?
«Vorrei che fosse riconosciuto il diritto alla convivenza anche a queste persone, che il Dico chiama convivenze affettive, cioè legate da un sentimento e da una storia comune».
I laici denunciano la forte ingerenza della Chiesa.
«La Chiesa ha il diritto di dire ai credenti come la pensa. Però questo diritto non dovrebbe portare a un’ingerenza così forte su questo tema, che riguarda milioni di cittadini, e non tutti cattolici. Bisogna essere capaci di parlare al proprio popolo, ma permettere allo Stato di salvaguardare i diritti di tutti».
Immagino che le sue parole non faranno la felicità dei vertici ecclesiastici.
«Penso di avere il diritto di parlare come libero cittadino, pur essendo parte della Chiesa. Non vedo in che modo le mie parole possano minare la fedeltà profonda alla storia e alla gente della mia Chiesa».
«Ruini ha paura, ma i protettorati non servono» di Massimiliano Amato
«Con tutto il rispetto che si deve alle gerarchie, mi sembra che il cardinal Ruini sia poco sereno. E che stia alimentando una tremenda confusione che non fa bene a nessuno: al mondo laico, ma anzitutto alla stessa Chiesa». Padre Giorgio Pisano è il titolare della parrocchia del Sacro Cuore di Portici. Sacerdote di frontiera per vocazione, opera in un territorio assalito da criminalità e degrado.
È diventato il prete delle famiglie che affollano le sue funzioni domenicali, senza far mai mancare l’impegno a favore dei giovani e degli emarginati. Diventando un punto di riferimento anche per il mondo laico: ha creato un gruppo, «Agorà», che discute le tante emergenze che affliggono la sterminata banlieue napoletana.
Don Giorgio, cosa pensa dei Dico?
«Come pastore cattolico non devo temere alcun provvedimento dello Stato. La Chiesa ha il compito di formare le famiglie, formarle cristianamente intendo. E deve cercare di farlo nella massima serenità. Credo profondamente nel valore della famiglia cristiana, ma sento forte il dovere pastorale di essere vicino alle tantissime persone che ritengono più giusto seguire altre strade».
Le alte gerarchie ecclesiastiche non la pensano così…
«Penso che la Chiesa farebbe bene a fermarsi, per riflettere serenamente sulla lezione del Concilio Vaticano II. Sono passati più di quarant’anni, ma quella lezione è ancora di straordinaria attualità: la Chiesa che si apre al mondo, che si confronta con il secolo, con la società, che nel frattempo è cambiata moltissimo. Non possiamo fare passi indietro, sarebbe esiziale».
Perché questo arroccamento allora?
«Forse per paura. Ma la Chiesa non può e non deve avere paura delle novità. Non può vivere nell’incubo di perdere le pecorelle».
L’irrigidimento di Ruini sui Dico pone anche altri problemi, però…
«Io non sono nessuno per parlare del delicato problema dell’autonomia tra Stato e Chiesa, però è stato Gesù a dire “Date a Cesare quel che è di Cesare”.
Purtroppo viviamo in tempi in cui si fa una tremenda confusione tra Vangelo, Parola di Dio e preoccupazioni politiche. Ecco: questa confusione fa arretrare di molto la Chiesa».
È angosciato da questa prospettiva?
«Molto preoccupato. Si cresce nel confronto: ce lo ha insegnato Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam Suam. Riproporre un’immagine stereotipata del mondo cattolico non serve a nessuno, come hanno capito tanti uomini di Chiesa noti e meno noti: penso al cardinale Martini, al vescovo di Campobasso, ma anche ai tanti parroci che si rifiutano di alzare barricate».
Le sue parole semineranno scandalo tra i teocon…
«È in atto una strumentalizzazione: molti teocon sembrano vicino ai vescovi, in realtà li confondono ancora di più. Ho paura che molte di queste persone non abbiano a cuore né il Padreterno né la vita della gente. E poi, mi permetta di dire una cosa: ma davvero la Chiesa ha bisogno di protettorati politici? Io non lo penso. La Chiesa deve formare le coscienze. E per farlo, deve essere serena. Oggi, purtroppo, ha solo paura».