Dietro il mito. Il mio incontro con Virginia Woolf
Articolo di Maria Popova pubblicato sul sito The Marginalian (Stati Uniti) il 30 ottobre 2018, liberamente tradotto da Lavinia Capogna
È una rara fortuna incontrare, e ancor di più fare amicizia, con uno dei tuoi eroi, ma è stata una fortuna che è capitata alla poetessa, scrittrice e straordinaria diarista americana May Sarton (3 maggio 1912-16 luglio 1995) quando incontrò Virginia Woolf (15 gennaio 1882-28 marzo 1941).
May Sarton aveva circa vent’anni, e proprio allora stava iniziando la sua carriera letteraria.
Durante una visita in Inghilterra, poco dopo il suo esordio letterario, la giovane Sarton decise di lasciare una copia della sua prima raccolta di poesie davanti alla porta di casa di Virginia Woolf, insieme ad alcuni fiori. Una gentile cameriera, sorprendentemente, aprì la porta e la invitò ad entrare. Impreparata di fronte all’occasione fortuita di incontrare il suo idolo, May Sarton declinò l’invito borbottando qualcosa, porse il libro alla cameriera e si allontanò.
Sapendo però con quanta disperazione lei volesse incontrare la Woolf, l’importante scrittrice Elizabeth Bowen si diede da fare per trovare un modo più sicuro, e decise di invitare sia Virginia sia la giovane poetessa a cena nella sua casa di campagna in Irlanda, che era uno dei centri della comunità creativa dell’epoca, e dove avrebbe ospitato altri titani della letteratura come Eudora Welty, Carson McCullers, Iris Murdoch.
In “The Writer’s Chapbook: A Compendium of Fact, Opinion, Wit, and Advice from the 20th Century’s Preeminent Writers” la meravigliosa raccolta, pubblicata nel 1989, delle interviste della rivista “Paris Review”, Sarton racconta il momento in cui Woolf entrò nella casa come una visione strana e sbalorditiva:
“Entrò con un ‘robe de style’, un grazioso vestito lungo dall’aspetto piuttosto settecentesco con un ampio colletto, come un cervo abbagliato e raggiunse – questa era una bella casa in Regent’s Park – le lunghe finestre, e rimase lì a guardare fuori.
Il mio ricordo è che non mi venne nemmeno presentata, aveva semplicemente attraversato la stanza, molto timidamente, e stava lì, assolutamente bellissima. Era molto più bella di qualsiasi foto che la ritrae. E poi ha scoperto che ero io la persona che le aveva lasciato le poesie”.
Sarton ricorda quanto in seguito fu brillantemente diplomatica e gentile Virginia Woolf nella sua risposta sulle poesie, consapevole che la fragile fiducia della giovane scrittrice avrebbe potuto poggiare troppo precariamente sulla sua approvazione o disapprovazione, dicendole solo: “Grazie mille, i fiori sono arrivati proprio quando qualcuno mi aveva regalato un vaso, ed erano perfetti, e non vedo l’ora di leggere le sue poesie”.
“In altre parole, non metterti mai nella posizione di dover giudicare. Quindi non ha mai detto una parola sulle mie poesie, ma è stata felice di scoprire che ero io la persona che le aveva lasciate.”
Alla cena di Elizabeth Bowen, May Sarton si ritrovò a conversare con Virginia Woolf mentre “i signori bevevano brandy e fumavano sigari nell’altra stanza”: “Abbiamo parlato di parrucchieri. Era come qualcosa che accade nel romanzo ‘Le onde’! Abbiamo parlato come i personaggi di un romanzo di Virginia Woolf. Lei aveva un grande senso dell’umorismo. Molto pericoloso. Le piaceva prendere in giro le persone, in modo affascinante, ma era una grande presa in giro.
Ma mi aveva messa a mio agio, e l’ho vista abbastanza spesso, dopo. Ogni volta che andavo in Inghilterra prendevo il tè con lei, ed avevamo una conversazione di un paio d’ore. Mi faceva tante domande.
“Quello era il suo lavoro di scrittrice di romanzi. Ho sempre sentito in lei la romanziera al lavoro mentre parlavamo. Mi chiedeva dove avevo comprato i miei vestiti, chi stavo frequentando, di chi ero innamorata. Tutto quanto. È stato estasiante per una giovane donna essere ritenuta così interessante da Virginia Woolf. Ma penso che fosse il suo modo di vivere, in un certo senso. Indirettamente, attraverso le altre persone”.
Contemplando lo strano fascino di questa singolare donna geniale, che da molto tempo incantava, ma che aveva anche tanto lottato interiormente, May Sarton corregge l’immagine manipolata che i mass media hanno dato dei disturbi psicologici della Woolf: “Non è mai stata calorosa. È vero. Non c’era calore. Era in parte una questione fisica, credo. Era una persona fisicamente poco calorosa.
Non riuscivo ad immaginare di baciarla, per esempio, sulla guancia. Ma era deliziosa e buffa, piena di umorismo e risate. Non l’ho mai sentita come una persona sull’orlo della follia. Hanno distorto la sua immagine, perché aveva un grande autocontrollo”.
Il racconto di May Sarton prosegue come uno straordinario inno alla solitudine, quindi rivisita le idee della stessa Woolf su ciò che serve per essere un’artista, il rapporto tra solitudine e creatività, e perché la mente più creativa sarebbe la mente androgina.
Testo originale: Meeting Virginia Woolf