“Dikaiosýne”, per quelli che hanno sete di “giustizia”
Testo a cura di Annamaria Fabri tratto da Castello7, n.16, del 27 gennaio 2008
Iniziamo insieme un viaggio attraverso le parole del nuovo testamento che hanno un significato che a volte ci sfugge. Ecco la parola “Dikaiosýne” ovvero “giustizia”.
Nell’antico testamento il concetto di giustizia non si basa sulla conformità o meno ad una norma data o una convenzione sociale, ma diventa l’entrare in un rapporto di fede (Gen. 15,6) con un Dio che si è legato al suo popolo con un patto che ne avvalora l’intervento.
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia…» (Matteo. 5,6)
La parola greca dikaiosýne deriva dal sostantivo diké e significa giustizia, direttiva, indicazione, ordine. Per la mitologia greca Diké era il nome di una delle figlie di Zeus e partecipava con lui al governo del mondo. La giustizia è quindi, nel mondo grecoromano, una regola che guida l’agire fornendo una norma a cui gli uomini si devono attenere.
Nell’antico testamento il concetto di giustizia non si basa sulla conformità o meno ad una norma data o ai criteri che regolano i rapporti tra le persone stabiliti da una autorità o da una convenzione sociale, ma
diventa l’entrare in un rapporto di fede (Gen. 15,6) con un Dio che si è legato al suo popolo con un patto che ne avvalora l’intervento.
Sottoporsi al giudizio di Dio significa quindi ottenere da lui quella giustizia alla quale Egli si è impegnato. La giustizia di cui parlano i libri dell’antico testamento è quindi il dono di Dio che salva il suo popolo e deriva direttamente dalla sua fedeltà e dalla sua misericordia (cfr. Sal. 103,6). In una parola: giustizia è salvezza.
Dall’agire di Dio nei confronti del suo popolo nasce l’esigenza che anche il popolo mostri altrettanta fedeltà e misericordia. Fedeltà nei confronti di Dio, misericordia nei confronti del prossimo. Il giusto quindi sarà colui che si farà guidare dalla dikaiosýne di Dio (Isaia 58,8). E’ con questi significati che la parola dikaiosýne entra nel linguaggio del nuovo testamento.
Il vangelo di Matteo metterà la giustizia di Dio come base del progetto di salvezza che Cristo inaugura con la sua presenza (Matteo 3,15). In questo senso sono “beati” coloro che hanno fame e sete di giustizia (5,6) cioè tutti coloro che ricercano il pieno compiersi della giustizia antica nella novità del Regno (5,20; 6,33) che si annuncia come il suo trionfo definitivo, e il compimento della Legge che Gesù Cristo non è venuto ad abrogare, ma a portare a pienezza (cfr. 5,18).
Giusto sarà quindi chi, come Giuseppe, lo sposo di Maria (1, 19), è attento alla voce di Dio e risponde prontamente conseguendo così una giustizia simile a quella di Abramo. Sarà soprattutto l’apostolo Paolo a sviluppare tutta una sua teologia sulla giustizia, descrivendola come dono di salvezza di Dio che trasforma la condizione dell’uomo.