“Dio non fa preferenze di persone”. Nella mia debolezza si è manifestata la sua forza






Testimonianza di Carlo alla Veglia per il superamento della violenza dell’omotransbifobia tenutasi nella Parrocchia della Beata Vergine Maria delle Grazie dell’Isolotto di Firenze il 20 marzo 2025
Sono emozionato e un po’ intimidito mentre prendo la parola davanti a voi, per questo ho deciso di leggere questa testimonianza, perché ogni parola che ascolterete è stata scelta con cura, nella speranza che possa arrivare al vostro cuore.
Mi chiamo Carlo, sono figlio della Chiesa fiorentina. Sono stato battezzato 53 anni fa nella parrocchia della Divina Provvidenza alle Cure. Quella chiesa è legata a uno dei miei primi ricordi: avrò avuto quattro anni, ogni tanto mia madre mi portava a giocare nei giardini lungo il Mugnone e, lungo il tragitto, si fermava lì per una breve preghiera. Ricordo ancora quanto mi piacesse la luce calda e rassicurante che avvolgeva l’interno di quell’edificio sacro.
A otto anni ci trasferimmo nel quartiere di San Jacopino dove, sotto la guida di Don Dei, cominciò per me un cammino importante tra catechismo e Azione Cattolica: prima in ACR e nel gruppo giovani, poi, con sempre più entusiasmo, come catechista, animatore e volontario.
Amavo ascoltare parole di amore, di comunione, di carità e di Vangelo. Mi piaceva pregare, confrontarmi con gli altri, incontrarli.
Vivevo una vita serena, in apparenza.
Ma a 12 anni conobbi il gelo dell’omofobia. Alcuni compagni di classe iniziarono a prendermi in giro con insulti come “frocio”, “femminuccia”, “buco”… Non capivo perché lo facessero, forse perché ero educato e tranquillo.
All’epoca non conoscevo neppure il significato di quelle parole ma capivo che si riferivano a cose nefande e disdicevoli, così tanto da convincermi che non dovevo parlarne con nessuno.
La famiglia, la Chiesa, la televisione, i film, i giornali: tutto mi aveva trasmesso l’idea che fosse qualcosa da disprezzare, vergognoso e perverso.
Così restavo in silenzio.
Da quel momento mi impegnai in tutto per essere “conforme”, irreprensibile, integrato, il classico bravo ragazzo.
Ma su ciò che sentivo nel profondo calò una cappa pesante: desideri messi a tacere, emozioni nascoste.
Quando uscì il Catechismo della Chiesa Cattolica, la prima cosa che andai a leggere furono gli articoli sull’omosessualità. Con dolore e rassegnazione, trovai quelle parole: “intrinsecamente disordinato”, e furono proprio quelle parole che usai per giustificare la profonda rimozione che stavo operando su me stesso.
Provate a mettervi nei panni di un ragazzo giovane, impaurito e ferito, come ero io allora: quanto può fare male sentirsi dire, dalla Chiesa che si ama, che la propria capacità di amare è sbagliata?
Così iniziai due relazioni importanti con due ragazze splendide, che mi hanno voluto davvero bene. Cercavo di rispondere alle loro attese, ma ero infelice. Anche nel corpo sentivo disagio. Volevo loro bene, ma dentro mi sentivo inquieto, soffocato.
Alla fine compresi che non ero chiamato alla vita di coppia e questa consapevolezza mi portò un momento di sollievo.
Ma presto capii che neanche la solitudine era la mia strada.
Dentro di me si fece forte una chiamata: sentivo che Dio mi chiedeva una vita di dedizione, di preghiera, di fraternità. Così vissi cinque anni fondamentali in un cammino di speciale consacrazione. Anni centrali per la mia crescita umana e spirituale. Ringrazierò sempre i formatori e i confratelli di quel tempo.
Eppure, in quegli anni, sperimentai una sorta di “narcosi del cuore”, una profonda anestesia dei sentimenti. Ero convinto di non saper amare e, ancor peggio, di non essere degno di essere amato.
Poi accadde un piccolo grande miracolo. Capii che quella mia scelta era stata, in fondo, una fuga: essere consacrato dava sicurezza e rispettabilità, nessuno ti chiedeva conto del perché non avevi una compagna. Ma quella non era una motivazione autentica, anzi, era una distorsione della vocazione. E decisi di lasciare l’Ordine.
E fu grazie a una persona preziosa, la compianta Itala Meucci, psicoterapeuta di grande esperienza, che arrivai a comprendere davvero il mio cuore. Dentro di me desideravo affetto, reciprocità, un amore corrisposto, seppur in una forma diversa da quella che tutti si aspettavano da me: l’amore per un uomo.
Ricordo ancora la gioia profonda che provai quando presi coscienza di tutto questo. E soprattutto quando capii che il buon Dio mi amava, senza condizioni, esattamente per quello che ero.
Eppure, ho ancora negli occhi lo sguardo sconsolato di mia madre quando le confidai la verità: “Cosa dirà la gente?” – “Come farai a essere felice?” – “Quanto dovrai difenderti?” – “Dove ho sbagliato?” – disse piangendo.
Domande dure, certo, ma piene di amore perché dette da una persona semplice, a cui era stato insegnato a disprezzare le persone omosessuali.
E allora mi chiedo: perché una madre che ama suo figlio dovrebbe trovarsi a vivere questo conflitto?
Solo perché la società le ha insegnato a temere ciò che non conosce?
Perché dobbiamo accettare che l’omofobia entri nelle nostre case, soffochi il dialogo, avveleni l’amore con la vergogna?
Perché dobbiamo tollerare che l’omofobia distrugga i legami più belli dentro le famiglie?
Il miracolo più grande, per me, è che non ho perso la fede. Nonostante le cattiverie ascoltate, nonostante certe ferite, la fede è rimasta.
Lo devo al Gruppo Kairos, ai tanti fratelli e sorelle con cui ho camminato per integrare la dimensione spirituale con quella affettiva. E lo devo a tanti religiosi e religiose che non si sono tirati indietro, che ci hanno accompagnato, che ci hanno messo la faccia, anche quando era difficile e che, come ha detto il caro papa Francesco, hanno preso “l’odore delle pecore”.
Ma conosco anche tante persone che si sono allontanate dalla Chiesa, ferite da parole dure e questo mi addolora profondamente.
Poiché l’omosessualità non è una malattia, né una perversione, perché continuare ad allontanare da Cristo proprio chi cerca amore e verità?
Io non ho scelto di essere omosessuale – anzi ne avrei fatto volentieri a meno – ma ho scelto il modo di esserlo cercando di far risuonare il Vangelo nella mia vita.
E oggi posso dire con serenità: sono fiero del mio cammino, anche dentro la Chiesa, e di essere me stesso. E sono felice di poter dire: “So amare e sono amato”, grazie a Innocenzo, che da vent’anni è il mio compagno, un dono prezioso di Dio per la mia vita.
> Liturgia della Veglia per il superamento dell’omotransfobia 2025 di Firenze (file pdf)
> Tutte le città dove si veglierà a maggio/giugno 2025 per il superamento dell’omotransbifobia